Da Blockchain a Sardex: la nuova finanza nasce dalla comunità

Negli anni Novanta, un insieme di giovani esperti di informatica, attivisti e anticonformisti, appartenenti di subculture come quella “cypherpunk”, pensarono a un luogo in cui i membri della loro comunità potessero ritrovare la propria privacy e la libertà di scambio. Anni dopo questo luogo è stato creato con la tecnologia Blockchain, il sistema su cui oggi è possibile […]

Negli anni Novanta, un insieme di giovani esperti di informatica, attivisti e anticonformisti, appartenenti di subculture come quella “cypherpunk”, pensarono a un luogo in cui i membri della loro comunità potessero ritrovare la propria privacy e la libertà di scambio. Anni dopo questo luogo è stato creato con la tecnologia Blockchain, il sistema su cui oggi è possibile scambiare i Bitcoin, la moneta virtuale.

Blockchain e Bitcoin sono due chiari esempi di come finanza e comunità siano profondamente legate. L’appartenenza a una determinata comunità, e quindi una condivisione generale degli stessi valori e delle stesse idee, si riflettono sulla finanza e in particolare sulla moneta. Nelle nuove tecnologie, questi due elementi sono le fondamenta stesse del sistema finanziario.

Per capirlo basta pensare all’identità culturale della Sterlina che il Regno Unito sta cercando di mantenere, remando contro a una sempre maggiore unità, politica ed economica, dell’Unione europea. Ma questo, in un sistema virtuoso, non dovrebbe sfociare in un localismo estremo. «Chiudere un mercato non è quasi mai una cosa positiva», spiega Giacomo Zucco, ceo di BlockchainLab, partner del network di consulenza WMO, e ideatore di Assob.IT, associazione che riunisce tutti gli esperti del settore. Questo perché «il valore di una moneta, e quindi del mercato, risponde agli effetti-network: aumentano enormemente in base al numero di persone che lo usano». Per questo, sottolinea, «limitare un mercato a un territorio significa limitarne il valore stesso».

In questo senso il sistema Blockchain, che in sostanza è una rete fatta di tanti nodi ciascuno legato all’altro, vuole essere inclusivo, poiché «sono le parti della rete che garantiscono la correttezza delle transazioni». Se infatti «nel sistema economico tradizionale a garantire i passaggi di denaro sono istituzioni come le banche, qui il terzo elemento garante è la rete stessa, poiché ogni nodo, quindi ogni partecipante della rete, controlla la bontà delle transazioni».

È proprio il sentimento di comunità, insieme a quello di avere potenzialmente infinite possibilità, che alimentano questo genere di sistema finanziario. “Ho scelto di partecipare e quindi rispetto il sistema”. «Il Bitcoin stesso è, oltre che una tecnologia, anche una community, una sottocultura che si basa molto, paradossalmente, anche sulla fiducia», evidenzia Zucco.

Lo scopo della rete, aggiunge, «è quello di poter fare liberamente transazioni anche tra persone che paradossalmente non si conoscono, ma aderiscono alla stessa comunità e parlano lo stesso linguaggio informatico ed economico». In questo contesto, la fiducia verso l’altro è ancora di più un valore: «In un sistema iper- regolamentato ci sono pochi attori che controllano la maggior parte delle attività e di cui dobbiamo per forza fidarci – evidenzia Zucco – in un sistema “permissionless”, invece, si ha molta più responsabilità e decisamente più attenzione alle truffe».

Sebbene nella finanza tradizionale stia andando in direzione opposta, con un sistema sempre più polarizzato, le principali banche del mondo stanno già scommettendo su questo business. Tanto che nei primi nove mesi del 2015 i venture capital di tutto il mondo hanno investito circa 462 milioni di dollari, il doppio del 2014, in startup che applicavano la tecnologia Blockchain a diversi settori. Fra gli ultimi, in ordine di tempo, i 30 milioni investiti a fine 2015 nei servizi finanziari di Chain.com da Citi, Nasdaq e Visa.

Diverso dal Bitcoin, ma ugualmente basato sul concetto di comunità, è il Sardex, il primo di una serie circuiti di credito locali complementari al sistema euro, nato in Sardegna nel 2010 e poi diffuso in altre regioni, dall’Emilia Romagna alla Lombardia.

«Il Sardex è un sistema di compensazione – spiega Carlo Mancosu, fra gli ideatori dell’iniziativa – in cui creditori e debitori si scambiano beni e servizi fra loro. Non si tratta di una moneta vera e propria, piuttosto di un circuito commerciale in cui gli operatori all’interno della comunità convivono e cooperano. Il rapporto che si istaura va oltre il mero scambio economico. È una comunità che coopera e fa nascere nuove iniziative anche in base a una condivisione di principi. La relazione sociale precede e segue quella economica».

Il legame con il territorio è quindi fondamentale, «perché la fiducia reciproca su cui si regge il sistema che non può esistere se non all’interno di una comunità», perché «non c’è una vera e propria legge che obbliga i contraenti a rispettare la transazione, esiste un contratto ma sono le parti che volontariamente scelgono di entrare nel sistema e di accettarne le regole e gli obiettivi», aggiunge Mancosu.

Nel 2015, nel sistema oltre tre mila aziende hanno scambiato beni e servizi per un valore di 31,3 milioni di euro. Il sistema, però, resta ancora limitato alla regione, e rischia di restare un sistema funzionale e virtuoso ma chiuso nelle quattro mura isolane.

(Credits Photo: http://www.livialima.com/research/alternativecurrenciesinstall.html).

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