Editoriale 22. La Selezione

Se per ottenere un posto di lavoro guardassimo al Festival di Sanremo, oggi al via, ne vedremmo delle belle. I parallelismi non mancano e sono pure curiosi. C’è una sezione per i campioni e una per i giovani, quei giovani che chiamano da sempre nuove proposte: distinzione sacrosanta per una competizione dove il nuovo si […]

Se per ottenere un posto di lavoro guardassimo al Festival di Sanremo, oggi al via, ne vedremmo delle belle. I parallelismi non mancano e sono pure curiosi. C’è una sezione per i campioni e una per i giovani, quei giovani che chiamano da sempre nuove proposte: distinzione sacrosanta per una competizione dove il nuovo si misura col nuovo, stessa inesperienza, stessi sogni, vinca il migliore. Fanno venire in mente le forzature dei profili senior e junior con cui il recruitment ha ingolfato la nostra lingua e le nostre ossessioni. Le aziende ci vorrebbero freschi fuori ma esperti dentro, poco esigenti in busta paga e facilmente gestibili con le crisi ma così facendo i “vecchi” vengono prima strattonati dalla strada, facendolo sembrare distrazione, e in un baleno sono già contro il guardrail. Concetto astratto l’età, anzi beffardo, se messo in mano alle aziende e a chi per loro. A Sanremo i campioni se la battono alla pari, ne vediamo la tintura dei capelli che spinge sulle tempie ma non li giudichiamo per quello, sentiamo che il baricentro della voce non trema per colpa del pubblico e se gli imprevisti chiedono le luci della ribalta, loro sanno come cavarsela. La selezione del lavoro sta invece calpestando il rispetto dell’esperienza mentre mischia le carte sotto il tavolo, replicando con “la sua età non è in linea” pur sapendo fin troppo bene che se c’è una cosa che non dimagrirà mai son proprio gli anni.

Alla frustrazione dell’anagrafe si sommano la leggerezza di certi colloqui, le false offerte che popolano la rete, l’omertà su qualsiasi parola che negli annunci rimandi a ral, età, sesso e geografia per poi discriminare più tardi nel segreto delle stanze. Ce lo hanno confermato i recruiter coinvolti in questo numero di Senza Filtro che non hanno faticato a dire quanto la loro professione abbia ombre dirette ed indotte e che una riforma del sistema lavoro dovrebbe anche tendere a migliorare le selezioni e a pretendere valutazioni più accurate e dignitose per la vita di chi si mette in gioco.

C’è un solo candidato che non supera mai la selezione, è il tempo: abusato da chi commissiona ricerche con poca chiarezza o convinzione, rubato a chi deve decifrare quelle richieste e accontentare il cliente per farsi ricordare in futuro, infinito per chi lo subisce in attesa di risposte. Il consiglio che vale la pena dare è di iniziare a ribaltare i ruoli selezionando bene, noi per primi, i canali che poi selezioneranno noi.

La parola lavoro è sulla bocca di tutti anche se in troppi la ingoiano come un boccone amaro. Senza Filtro non si è chiesto se il lavoro ci sia o meno, impossibile capirlo dai dati sfasati che tutti leggiamo. Invece abbiamo voluto capire come gira il lavoro che c’è, cosa regola le selezioni, chi architetta il marketing della speranza, dove poggia l’infondatezza delle classifiche sui profili più richiesti per l’anno che verrà e che invece non arriva mai, quanto fa male la beffa dei lavori da sogno, perché i social network finiscono tutti per appiattirsi, come si muovono le selezioni all’estero, quanto pesano davvero i cv, che figura farebbero i nostri politici se fossero semplici candidati come noi.

Se entrare nel mondo del lavoro viene sempre più descritto come una gara in cui farsi scegliere, allora ben venga il parallelo col Festival della canzone dove, una volta superata l’emozione del palco, tutto alla fine si gioca col voto. Giuria della stampa, giuria di esperti, giuria demoscopica ma soprattutto televoto del pubblico. E’ irresistibile l’idea surreale della selezione per un posto di lavoro attraverso il voto da casa col telefono fisso, proprio come a Sanremo. Così come è impagabile la scena del candidato che implora il voto ai parenti scomodando persino quelli lontani, di chissà quale grado e mai visti in vita sua, perché il voto dall’estero varrebbe il doppio.

Tutto assurdo, certo, come del resto assurda è la logica che guida il mondo del lavoro in questo Paese di santi, poeti e navigatori che oggi nessun selezionatore sarebbe più in grado di trovare e che nessuna azienda vorrebbe più assumere. Finite le aureole, svenduti i versi, persa la bussola. Certo restano i fiori anche se, a dirla tutta, ci farebbero più comodo le opere di bene.

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