I consulenti digitali cercano ancora il proprio posto

Il vombato è un simpatico marsupiale australiano, tozzo, dalle zampe corte, peloso: vive sulle montagne, nel sud-est dell’Australia e in Tasmania. È salito all’onore delle cronache per una caratteristica unica nel mondo animale di questo pianeta: per questa caratteristica, il gruppo di scienziati che lo ha studiato ha vinto il simpatico e autoironico premio IgNobel […]

Il vombato è un simpatico marsupiale australiano, tozzo, dalle zampe corte, peloso: vive sulle montagne, nel sud-est dell’Australia e in Tasmania. È salito all’onore delle cronache per una caratteristica unica nel mondo animale di questo pianeta: per questa caratteristica, il gruppo di scienziati che lo ha studiato ha vinto il simpatico e autoironico premio IgNobel 2019.

Il vombato produce delle feci cubiche. Sì, è l’unico essere vivente al mondo che fa la cacca a mattoncini. E li impila pure. Non si offenda nessuno in Lego, ma non sono arrivati per primi. E non se la prendano neanche i molti consulenti che usano i mattoncini perserious play”. Anche il vombato ha importanti ragioni per produrre questi scarti della sua dieta in formati tanto scomodi.

Nessuno consiglierà mai al vombato che esistono formati molto più comodi e semplici. Viceversa, tutti noi veniamo continuamente consigliati su una moltitudine di ambiti.

 

Guidati dalle app, nella vita, nella salute e nel lavoro

La rivoluzione digitale ci racconta che possiamo fare una infinità di cose in modi più semplici, facili e rapidi rispetto al passato. Un mondo di applicazioni ci circonda per consigliarci su quasi ogni argomento dello scibile umano. Non ci muoviamo più senza consultare le applicazioni che ci raccontano del ristorante migliore, dell’hotel più confortevole, della dieta più appropriata, ma anche delle medicine ottimali, del percorso più rapido e del vestito più à la page.

Con amici abbiamo recentemente organizzato un magnifico viaggio in Giappone: a Tokyo. Usciamo dalla metropolitana con l’intento di visitare una nota via commerciale. L’immancabile portale segnava l’inizio della via ed era proprio davanti a noi, assolutamente visibile a tutti. Ma Google Maps ci indicava un altro percorso. Abbiamo ovviamente seguito i consigli della nostra app, senza la quale oggi sembra impossibile viaggiare: non chiediamo più indicazioni a nessuno. Una volta si litigava perché qualcuno non voleva mai chiedere le indicazioni stradali e allora intervenivano altri più coraggiosi e disinibiti. Si attaccava bottone, si scoprivano scorciatoie, posti sconosciuti, bellezze di luoghi nascosti; si conoscevano persone nuove.

Se Google Maps fa le bizze o l’orientamento dell’app diventa un mistero e la freccia da seguire indica direzioni improbabili, ci rigiriamo tra le mani lo smartphone per cercare di riprenderne il controllo e imprechiamo perché l’app ci sta abbandonando, ma non cediamo alla tentazione di chiedere a qualcuno. Abbiamo anche smarrito il gusto di perderci. Il gusto dell’imprevisto, del posticino scoperto per caso. Non abbiamo più molta pazienza e tolleriamo sempre meno l’incerto.

Ci sono app che suggeriscono il miglior viaggio in funzione del nostro profilo genetico: l’Osservatorio sull’Innovazione Digitale del Politecnico di Milano evidenzia come personalizzazione e assistenza sono i trend maggiori nell’ambito dell’evoluzione digitale nel turismo.

Proprio in questo ambito si tocca un tema cruciale: il viaggio turistico è un’esperienza emozionale e gli attuali sviluppi digitali a supporto dei viaggiatori non sono ancora emotivamente coinvolgenti tanto che la prevista scomparsa delle agenzie viaggio non è avvenuta. Anzi: dopo un periodo di crisi, c’è un ritorno a farsi supportare dalle agenzie per organizzare i propri viaggi di piacere. Perché l’emozione è un tratto distintivo dell’essere umano.

Tutto quello che sta avvenendo nel mondo del turismo, in realtà, sta avvenendo in tutti gli altri ambiti. Le nostre app stanno diventando dei consulenti sempre presenti, pronti ad ascoltarci e a consigliarci, coinvolgendoci e prendendosi cura di noi. Come farebbe un essere umano.

È interessante seguire la convergenza tra grandi multinazionali nel mondo farmaceutico e i grandi player del mondo informatico al fine di sviluppare farmaci per migliorare e prolungare la vita umana basandosi su piattaforme terapeutiche e scienza dei dati, reimmaginando la medicina attraverso l’intelligenza artificiale.

Sono accordi certamente rivolti a “ottimizzare il modo in cui i farmaci vengono scoperti e sviluppati ma anche commercializzati”, come sottolinea il Il Sole 24 Ore in merito all’accordo tra Novartis e Microsoft: la relazione umana tra medico e paziente riassunta nel giuramento di Ippocrate potrebbe seguire nuove strade nel futuro.

 

L’avvento dei consulenti digitali

Nel nostro mondo complesso, le azioni di ciascuno di noi dipendono sempre più dagli altri: l’interdipendenza è un fattore critico e le relazioni umane sono diventate cruciali, ma molto più difficili rispetto al passato.

La velocità e il diluvio di stimoli a cui siamo sottoposti ci distrae continuamente. L’attenzione verso l’altro è sempre più ridotta a pochi fugaci istanti: il tempo che una notifica ci distragga dal nostro interlocutore. Proprio la tecnologia che ha permesso tutto questo ci offre una via di fuga: le relazioni umane diventano connessioni digitali e le applicazioni si sostituiscono ad altri uomini. La tecnologia sembra ridurre l’incertezza e il rischio della relazione umana.

Ma affidarsi alle cure digitali di applicazioni e robot permetterà di crescere uomini e donne capaci di relazionarsi reciprocamente? Bambini e adolescenti oggi cresciuti con consulenti digitali onnipresenti sapranno prendersi cura di altri uomini, domani?

Siamo indotti a fidarci dei nostri consiglieri digitali non solo perché la promessa è quella di renderci la vita più semplice ma perché le loro cure sono – quasi sempre – gratuite. Apparentemente gratuite: ci chiedono solo di poter usare le informazioni che ci riguardano, ma questo ci sembra un prezzo assolutamente accettabile per avere una vita meno complicata.  E abbiamo sempre la sensazione che, in fin dei conti, se il consulente digitale diventasse troppo invadente potremmo spegnerlo quando vogliamo.

Ma forse non è così semplice: i nostri consulenti non solo sono molto più abili di noi a elaborare la realtà, attraverso algoritmi normalmente sconosciuti e opachi, e a proporci soluzioni vantaggiose per noi, ma stanno anche iniziando a prescriverci che cosa fare. Un’automobile autonoma non solo ci consiglierà il percorso migliore, ma deciderà la conduzione del veicolo per noi. Se vorremo spostarci, non è detto che potremo o saremo più in grado di farlo senza essere accompagnati.

 

Assunti (e licenziati) da un’Intelligenza Artificiale

Anche nel mondo del lavoro proliferano i consulenti digitali.

Il primo che incontrai fu Cortana: comparve qualche anno fa sul mio pc e da allora mi segue, pronta a ricordarmi promemoria, incontri in agenda, notizie utili e via dicendo. La uso poco, ma dopotutto non sono un early adopter delle tecnologie.

Ci sono moltissime applicazioni che aiutano, guidano e consigliano chi opera nei più svariati settori, migliorando molto spesso l’efficienza, l’efficacia e la sicurezza. Si va da applicazioni che supportano la compilazione delle note spese fino ad applicazioni per le gestioni tecniche più complesse. In particolare, nel mondo produttivo ci sono molte applicazioni che coadiuvano gli operatori nella conduzione di impianti, negli interventi di ripristino delle condizioni di corretto funzionamento e nella segnalazione di malfunzionamenti. Ricordo una applicazione 3D che guidava gli operatori di manutenzione nelle cabine elettriche, dove il pericolo di folgorazione è molto alto.

Gli autorevoli Osservatori sulla Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano dedicano un capitolo particolare alle pratiche innovative in ambito HR nate come conseguenza della diffusione delle nuove tecnologie ICT. In particolare, uno degli ambiti maggiormente coinvolti dalla trasformazione digitale è la gestione delle persone, che è diventata cruciale per la sopravvivenza delle aziende e molto più complessa rispetto al passato. Puntualmente sono nate app che supportano il recruiting, promettendo di facilitare il lavoro ai selezionatori e rendere quanto più possibile asettico e oggettivo il processo di scelta di nuove risorse da inserire in azienda. D’altra parte la caccia ai talenti è diventata più che critica e determinante per la sostenibilità e lo sviluppo delle aziende.

Statistiche Gallup mostrano come le organizzazioni non riescono a identificare il giusto talento per posti manageriali nell’oltre 80% dei casi, e che sempre più, nella scelta di una risorsa, su elementi competenziali e tecnici prevalgano elementi motivazionali ed emotivi, ovvero elementi prettamente umani. Gli HR di domani riusciranno a sviluppare quelle sensibilità e competenze che già oggi sembrano essere carenti, se nella selezione del personale verranno sostituiti da applicazioni e chatbot? E gli algoritmi dei consulenti digitali non rischiano di replicare i bias cognitivi presenti in tutti noi, rendendo le decisioni tutt’altro che oggettive?

 

I rischi umani della rivoluzione digitale

Il mondo iperconnesso ha esponenzialmente accresciuto l’interdipendenza delle persone e reso le relazioni umane molto più complesse rispetto a pochi anni fa – anche in ambito lavorativo.

Recentemente è stata annunciata un’app che permette di allenarsi per preparare un colloquio di licenziamento, o ancora applicazioni di AI che, in base alle performance, segnalano la necessità di licenziare un dipendente. Indossare un visore e simulare il licenziamento di un’entità digitale per allenarsi a licenziare un essere umano che suda, respira e invecchia neutralizza la relazione umana; la nega in nome di una semplificazione apparente della complessità, in contraddizione con la necessità, vitale per chi fa business, di valorizzare le persone nel mondo del lavoro.

Uno studio del 2010 dell’Università del Michigan, ha scoperto che gli studenti universitari di oggi provano una minore empatia rispetto a quelli degli anni Ottanta e Novanta. Gli autori di quello studio associarono la mancanza di empatia degli studenti con la crescente diffusione e uso dei social media. Ma per le aziende l’empatia è diventato un elemento imprescindibile nei profili dei nuovi leader.

Nel 2019, la diffusione delle applicazioni su smartphone ha superato quelle su personal computer. I nostri consulenti digitali saranno con noi sempre e ovunque. Onniscienza e onnipresenza erano attributi dedicati alle divinità: ironicamente, nessun consulente in carne e ossa era riuscito a fregiarsi di questi titoli.

I cubetti prodotti dai vombati permettono di comunicare la loro presenza sul territorio ad altri vombati: madre natura ha risolto il problema di relazione tra di loro. La tecnologia ci sta dando molte risposte e spesso consideriamo tante applicazioni come prodotti maturi: in realtà siamo solo agli esordi e la cultura della connessione è solo agli inizi. E sono ancora poche le domande che ci facciamo sull’impatto che le nuove tecnologie hanno nelle relazioni tra gli uomini.

Non si tratta di opporsi allo sviluppo digitale, ma di accettare la complessità e trovare il giusto posto dove confrontarsi sui problemi e le conseguenze di questa nuova avventura umana.

 

 

Photo credits: Gestalt.it

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