Il lavoro è una forma d’arte, anche se temporanea

La bellezza salverà il mondo, diceva Dostoevskij. In questi giorni sul lago d’Iseo, sono stati terminati i moli galleggianti “The Floating Piers” di Christo, l’impacchettatore, rivestiti di 90 mila metri quadrati di tessuto giallo, saranno accessibili al pubblico dal 18 giugno al 3 luglio. Tre chilometri di pontili, per sentire la sensazione di camminare sulle […]

La bellezza salverà il mondo, diceva Dostoevskij. In questi giorni sul lago d’Iseo, sono stati terminati i moli galleggianti “The Floating Piers” di Christo, l’impacchettatore, rivestiti di 90 mila metri quadrati di tessuto giallo, saranno accessibili al pubblico dal 18 giugno al 3 luglio. Tre chilometri di pontili, per sentire la sensazione di camminare sulle acque, accesso gratuito, 500 posti di lavoro a tempo determinato, 18 milioni di euro di indotto stimati, per 700 mila visitatori, una moltiplicazione temporanea del lavoro che non c’è.

I media lo chiamano “effetto Bilbao”, la rinascita della città marinara portoghese grazie al museo Guggenheim, che dal 1997 l’ha inserita nel grande circuito internazionale dei luoghi d’arte più gettonati. La forma di nave futurista, rilucente di scaglie in titanio, ideata dall’architetto Frank Gehry, colpisce la fantasia e le menti, è il simbolo della riprogettazione urbana di una città. Bilbao, precipitata in una fortissima crisi, dopo la reindustrializzazione, è rinata come l’araba fenice, dalle proprie ceneri, grazie alla scelta di porre la cultura come assetto principale di investimento per lo sviluppo.
L’indotto assicurato dal museo, costato circa 170 milioni di euro, produce circa 250 milioni di euro l’anno in spese esterne alla struttura (circa un decimo la spesa interna al museo), 40 milioni di incassi per l’erario basco e poco meno di 5 mila posti di lavoro. Un milione di visitatori l’anno, una ricchezza generata che vale l’1,5 per cento del Pil dei Paesi Baschi, un caso di studio per le facoltà di economia, sinora non ripetuto in Italia, anche se non mancano i tentativi di imitazione.

Una buona emulatrice è Torino, salita da un milione di visitatori l’anno nel 2004, ai sei milioni dell’anno scorso, anche grazie all’effetto traino di musei e cultura, consacrata all’inizio dell’anno dal New York Times, tra le mete da vedere assolutamente. Merito della rinascita della reggia di Venaria Reale, del riallestimento del museo Egizio, della Mole nuova casa del museo del Cinema, la nascita del museo dell’Auto e di quello del Risorgimento, non ultimi una serie di eventi lungo l’arco dell’anno, tra i quali la punta di diamante è il “Salone del Libro”.

Un altro effetto benefico della cultura, come asset strategico di riqualificazione sociale ed urbana, volano di sviluppo economico, è ispirato alla città francese di Lens, in cui è stata aperta una vera succursale del Louvre. Una città operaia nel nord della Francia, che ha beneficiato di un indotto più che positivo, il museo nel primo anno di apertura ha avuto 900 mila visitatori, con la creazione di 400 nuovi posti di lavoro. Nei mesi scorsi, Catania ha chiesto di ospitare una nuova “filiale” del museo Egizio di Torino, che ha ben 17 mila reperti, ancora da catalogare ed esporre.

Un treno da non perdere è quello che sta per transitare a Matera, designata Capitale Europea della Cultura per il 2019. Un evento che potrebbe costituire un volano per amplificare la competitività dei luoghi, farli diventare più attrattivi per la potenziale domanda turistica internazionale, creando nuove opportunità di sviluppo economico e nuovi posti di lavoro.
Un esempio di come l’identità culturale, posta a fondamento dello sviluppo turistico, sia un asset da non sottovalutare è dato dal Salento, che è diventato una delle mete estive più visitate della Puglia, con un incremento di presenze record nel 2015 del 30 per cento, rispetto all’anno prima. Il Festival “La Notte della Taranta”, itinerante lungo la provincia di Lecce, ha fatto registrare l’anno scorso 200 mila presenze alla serata finale. La cultura popolare salentina, con il tarantismo e la pizzica, sono stati efficaci veicoli promozionali che stanno contaminando con la loro presenza, feste ed eventi in tutta Italia.

Il turismo culturale è un fattore strategico per creare posti di lavoro. Secondo i dati dell’ultimo rapporto Federculture, si registra un incremento del 2,2 per cento degli arrivi di turisti in Italia, pari alla metà di quanto accaduto in Europa. Tra il 2009 ed il 2013 sono saliti del 14,4 per cento gli arrivi nelle città d’arte e di oltre il 10 per cento le presenze.

Il turista che cerca cultura è quello che spende di più, i dati segnalano una spesa media di 131 euro a persona, per un totale di 12 miliardi e mezzo di euro, in crescita del 5.6 rispetto all’anno precedente. Nel 2014 nei musei italiani statali ci sono stati più di 40 milioni di visitatori, con un aumento del 6 per cento e maggiori incassi per il 7 per cento. Per fare un confronto con il vecchio continente, i primi tre musei di Londra contano circa 19 milioni di visitatori in un anno, Parigi 16 milioni e 200 mila, New York 10 milioni. A Firenze arrivano 4 milioni di persone l’anno, a Venezia e Roma la metà. Anche per le mostre c’è un abisso: le prime dieci mostre di New York totalizzano 5 milioni di visitatori, Roma da sola si ferma a 714 mila, le prime dieci più viste in Italia sfiorano quota 2 milioni e 400 mila ingressi, con l’aumento del 13 per cento.

L’Italia è la nazione con il più alto numero di siti, inseriti dall’Unesco, tra quelli patrimonio dell’Umanità, circa cinque mila, tra musei e luoghi di interesse. Un primato mondiale che contrasta con il risicato livello di risorse pubbliche, destinato al settore. L’Eurostat segnala che l’Italia è all’ultimo posto in Unione Europea, per la percentuale di spesa pubblica destinata all’istruzione, ed al penultimo, prima della Grecia, per quella destinata alla cultura.
Dai dati del 2014, sulle spese nazionali divise per funzione, spicca la maglia nera assegnata al Belpaese, con lo 0,7 per cento del Pil, per le spese del settore cultura, contro la media Ue dell’1 per cento. La cultura è un fattore strategico per rafforzare il settore manifatturiero italiano, lo dicono i numeri dell’ultimo rapporto della Fondazione Symbola-Unioncamere “Io sono cultura 2015”. Investire in questo settore produce ricchezza e permette di costruire un futuro, alternativo alla crisi del manifatturiero tradizionale.

Le imprese del sistema produttivo culturale italiano nel 2014 sono 443.208, cioè il 7,3 per cento del totale nazionale delle imprese, danno lavoro ad un milione e 400 mila persone, pari al 5.9 per cento di tutti i lavoratori italiani, cifra che raggiunge il 6,3 per cento considerando il settore pubblico ed il no-profit. La ricchezza prodotta da tutte queste imprese è pari a 78,6 miliardi di euro, includendo anche settore pubblico e no profit si arriva ad 84 miliardi di euro, quasi il volume indicativo di quattro leggi di stabilità, una cifra pari al 5,8 per cento dell’economia nazionale.

L’aspetto più interessante evidenziato da Symbola è però l’effetto moltiplicatore, per ogni euro di fatturato nel settore culturale, se ne attiva un euro e settanta centesimi in altri settori, una cifra che fa lievitare la ricchezza prodotta da tutta la filiera culturale a 226,9 miliardi di euro, con notevoli ricadute sul settore turistico. Tra il 2013 ed il 2014, le imprese che hanno investito in creatività e cultura hanno visto il proprio fatturato aumentare del 3,2 per cento, per tutte le altre è sceso dello 0,9 per cento. Gli stessi dati sono confermati per l’export, chi investe in cultura sale del 4,3 per cento, soltanto dello 0,6 per cento gli altri.

[Credits foto: Lavenaria.it]

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