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Chi resta a casa col pupo, oggi?
Uno sguardo sui padri italiani al lavoro: non chiedono aspettative extra ma usano tutto il congedo parentale possibile, e non solo. Padri fondatori ma anche padri di famiglia, che molto del loro successo devono proprio alla gestione del nucleo affidato alla compagna. Lo squilibrio nella suddivisione dei carichi di lavoro domestico è infatti tuttora alla base delle […]
Uno sguardo sui padri italiani al lavoro: non chiedono aspettative extra ma usano tutto il congedo parentale possibile, e non solo. Padri fondatori ma anche padri di famiglia, che molto del loro successo devono proprio alla gestione del nucleo affidato alla compagna. Lo squilibrio nella suddivisione dei carichi di lavoro domestico è infatti tuttora alla base delle difficoltà delle donne a salire i gradini della carriera professionale, anche in Paesi ritenuti al top per welfare e attenzione alla parità di genere. In Finlandia solo 1 papà su 5 usa il congedo genitoriale che gli è riservato, in Svezia 1 papà su 4 e le mamme rimangono a casa ad accudire i figli mediamente 13 mesi, contro i tre e mezzo dei padri, il che incide su carriera, stipendi, copertura previdenziale e pensione, perché il lavoro domestico non viene monetizzato.
Cosa fa l’Europa
Intanto si attende una legge dall’Unione Europea che possa consentire agli Stati membri di armonizzare al meglio e in modo uniforme il capitale professionale, con le esigenze di una famiglia che cresce. Una proposta avanzata lo scorso maggio dalla Commissione Europea, puntando all’uguaglianza di genere nel lavoro e a rompere schemi ormai improponibili alla società odierna, voleva definitivamente il termine “maternità” con “congedo parentale” e si soffermava sull’importanza di garantire il lavoro a distanza, una flessibilità che favorirebbe entrambi i genitori oltre che l’azienda, come avviene da tempo in Svezia. La Commissione proponeva anche quattro mesi di congedo parentale, che non possono però essere scambiati con l’altro genitore. O sta a casa la mamma, o il papà. Anche qui un elemento in comune con le forme di tutele garantite ai genitori svedesi, forme che non riescono però ad evitare qualche polemica, perché “comunque uno dei due vive un senso di colpa”. Questo almeno secondo alcune interviste rilasciate da alcune coppie alla stampa scandinava, in materia di congedo alternato. Secondo gli intervistati, chi sta a casa affronta sì il lavoro domestico, ma ha anche il privilegio di godersi il figlio che cresce e rallentare i ritmi del lavoro a distanza, compatibilmente con le cure da riservare al neonato. Il genitore che va al lavoro come sempre rinuncia a tutto questo a favore dell’altro, il che traduce in continuità contributiva e salari invariati, ma anche in maggiore stress emotivo.
“Quando vedo mia moglie restare a casa insieme al nostro piccolo – racconta Mattias, un papà svedese di 32 anni – provo emozioni contrastanti. È giusto sia lei a star tranquilla, anche perché ora sta allattando. Però anche a me piacerebbe essere con loro durante il giorno, stare con il mio bambino più ore durante la setttimana. Se però stessi a casa al posto di mia moglie, sento che per tutto il tempo mi sembrerebbe di rubarle qualcosa, di toglierle momenti importanti. Non è facile spiegarlo. Non è facile scegliere”.
La cultura mammona dell’Italia. E’ sempre vero?
E in Italia? Il congedo di paternità è ancora troppo recente per parlare di dati effettivi e molto modesto in termini di tempo: non supererà i 2 giorni al mese secondo la Legge di stabilità 2016 e si arriverà a metterne uno obbligatorio, per “trattenere” a casa i papà, mentre le mamme si vedranno lo stipendio decurtato mediamente del 15%. Ma è proprio vero che gli uomini italiani sono così distaccati di fronte a questo evento, che a casa col pupo non ci vogliono stare? Lo abbiamo chiesto ad un uomo che ci porta dati opposti a quelli pronosticati dall’immaginario collettivo. Luca Vignaga, HR Director del Gruppo Marzotto, 4.100 dipendenti in tutto, il 41% concentrati al nord Italia.
Per genere, i dipendenti sono spaccati esattamente a metà, ma se si sale ai vertici, il 90% delle posizioni è detenuto da uomini, che quando diventano papà …
“Sono molto partecipi alla vita della famiglia e vicini alla neo mamma – spiega Vignaga – e tutti scelgono di usufruire del congedo di paternità. Davvero tutti, e con grande trasporto. La sensibilità verso i doveri di genitore è molto cambiata sul pieno emotivo rispetto al passato, soprattutto tra i giovani. Preciso che nessuno chiede aspettative extra alla nascita del figlio, ad esempio un’aspettativa anche breve e non pagata. Ma tutti cercano di rallentare. Non solo tra i vertici, intendiamoci. I venditori chiedono di poter lavorare se possibile un po’ più vicino a casa per raggiungere la famiglia prima possibile. I manager cercano di ritagliare quante più occasioni, compatibilmente con i loro carichi, per essere più presenti a casa. Le nascite, del resto, sono eventi che purtroppo in Italia si fanno sempre più rari”.
Come ripartono i genitori dopo la nascita di un figlio?
“Il rientro è un altro aspetto profondamente cambiato rispetto al passato, a mio avviso. Un tempo, per le neo mamme, si parlava di reintegrazione, di corsi di aggiornamento. Oggi vedo donne sempre più reattive, e con una gran volontà di tornare al lavoro. Non solo per una necessità economica, per il secondo stipendio, come accadeva precedentemente, ma anche per la propria professionalità, per un’identità sociale, personale, che si aggiunge al ruolo di madre. E questo vale per tutti i profili professionali. I papà usano il congedo parentale molto volentieri, qualcuno sceglie di usufruire di qualche giorno di ferie subito dopo la nascita del figlio, per stare vicino alla moglie. Sono momenti di sicuro molto particolari”.
La sua posizione personale in merito?
“Ah, personalmente chiederei un mese di aspettativa subito dopo la nascita. Sì, mi piacerebbe fare così. Anzitutto perché, per ovvi motivi, la mamma ha un ruolo e quindi esigenze particolari che vanno dall’allattamento al recupero delle energie. E poi perché certi momenti, come il primo mese di vita di un figlio, non tornano più. Sono convinto che questo modo di pensare e di sentire l’evento della paternità, di viverlo fino in fondo, si stia diffondendo sempre più perché è la sensibilità che sta cambiando e lo sta facendo anche molto velocemente”.
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