Il Veneto che divora se stesso

“Balza subito agli occhi che l’identità veneta è ambigua e sfuggente; essa oscilla inquieta tra ansie di autosufficienza e di separatezza e volontà di proiettarsi all’esterno mescolandosi agli altri nel mondo; oscilla caparbia tra l’orgoglio di una tradizione secolare che resiste all’usura del tempo e l’ambizione di riconoscere le proprie tracce nella comune civiltà dell’Europa.” […]

“Balza subito agli occhi che l’identità veneta è ambigua e sfuggente; essa oscilla inquieta tra ansie di autosufficienza e di separatezza e volontà di proiettarsi all’esterno mescolandosi agli altri nel mondo; oscilla caparbia tra l’orgoglio di una tradizione secolare che resiste all’usura del tempo e l’ambizione di riconoscere le proprie tracce nella comune civiltà dell’Europa.”

Cesare De Michelis, Identità veneta, 1999

 

Servono lo sguardo, la sensibilità e le competenze dell’antropologo per cercare di leggere la metamorfosi di una regione come il Veneto, che non cessa di stupire, di farsi ammirare e – paradossalmente – anche screditare. Sorprende la vitalità socioeconomica che le consente di sfidare (e vincere, grazie alla formidabile energia dei suoi imprenditori) quelle crisi che sembrano insormontabili e irreversibili per il Paese-Italia, e che diventano occasione per creare nuovo valore attraverso un apparato industriale che non teme di misurarsi con la competizione innescata dall’aumentata integrazione dei mercati.

 

Corruzione e inquinamento in Veneto

Nello stesso tempo in cui si constatano le performance, però, destano inquietudine fatti ed eventi che evidenziano contraddizioni esplosive interne al sistema regionale: quelle cioè che riportano alla luce le falle etico-civili e le debolezze – nel senso di incompetenze – nella governance politico-istituzionale regionale che ha accompagnato le costanti accelerazioni del suo sviluppo nell’ultimo mezzo secolo.

E qui l’elencazione diventa un rosario doloroso da sgranare: dai cantieri in stand by del Mose che rischiano di usurare ulteriormente le paratoie mobili, oggetto dapprima della corruzione e ora della corrosione, alla Grande Infrastruttura della Pedemontana, che ripete la sconfortante pratica del project financing allegro e irresponsabile, come è avvenuto precedentemente per la realizzazione dei nuovi Ospedali: tutte opere che con i loro sovracosti graveranno per decenni sulle tasche dei contribuenti veneti.

Per non dimenticare i 205.000 risparmiatori truffati delle Popolari, i quali, mentre ascoltano il trionfante annuncio del Governo di previsione nel DEF del rimborso di 1 miliardo e 500 milioni – che rappresenta indubbiamente una buona notizia – debbono constatare da un lato che la somma prevista è ben poca cosa, circa il 15 % del capitale perso con il crac, e dall’altro l’epilogo in versione goldoniana che ha al centro uno dei protagonisti di primissimo piano della catastrofe, ovvero Gianni Zonin.

Questi, per venticinque anni non solo dominus assoluto della “sua” banca ma anche baricentro inossidabile della politica e dell’economia vicentina, nell’ambito del processo che lo vede imputato al Tribunale di Vicenza, è descritto dal suo avvocato difensore come un coraggioso Ettore che, al pari dell’eroe greco difensore della sua Troia, ha lottato fino all’ultimo per tenere in piedi la banca, “inconsapevole” di ogni attività illegale ordita alle sue spalle (sic!).

Sottolineiamo l’aggettivazione perché la “inconsapevolezza” è un sentiment diffuso tra i veneti: la troviamo nei tecnici, sindaci e rappresentanti del mondo agricolo, che solo di fronte alla certificazione di valori fuori legge nel sangue per migliaia di persone sottoposte a osservazione hanno riconosciuto l’immane tragedia che sta colpendo il territorio regionale, con l’inquinamento da PFAS, penetrato in fiumi, canali e falde di tre province (Vicenza, Verona e Padova). Un disastro ambientale provocato dalla Miteni di Trissino, che ha sversato per decenni i residui della sua produzione industriale di componenti del fluoro nelle acque sotterranee nell’intorno e all’interno del suo stabilimento.

 

Una terra avvelenata

Ma se il clamore suscitato dall’avvelenamento collettivo non ha potuto essere insonorizzato, rimane sostanzialmente sottovalutato il dossier dell’ARPAV – Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale del Veneto – che ha censito 580 siti inquinati, descritti come “aree nelle quali, in seguito ad attività umane svolte o in corso, è stata accertata un’alterazione puntuale delle caratteristiche naturali del suolo o della falda da parte di un qualsiasi agente inquinante”.

Di fronte a questo quadro tratteggiato con poche pennellate rivelatrici, ci si chiede perché la reattività dell’opinione pubblica veneta sia stata finora flebile (escludendo i soggetti e i territori più direttamente coinvolti dalle disgrazie), e abbia preferito subire il fascino di una narrazione tutta centrata sull’oscuramento delle crepe e dei fallimenti e sul (velleitario) riscatto autonomistico.

Abbiamo accennato a una riposta parlando di inconsapevolezza adottata come alibi per non riconoscere la realtà fattuale (e le colpe). In verità i veneti stanno accettando da tempo, seppur obtorto collo, un trade-off in cui entrano in gioco il diffuso benessere materiale conquistato con enormi sacrifici e duro lavoro, e i costi di uno sviluppo travolgente che in alcuni decenni ha generato enormi ricchezze, ma contestualmente ha logorato il tessuto comunitario e compromesso  un grande patrimonio di risorse naturali: per entrambi ora è richiesto uno scatto di ragionevolezza e civismo per riannodare i fili delle reti amministrative e sociali, e per riorientare la crescita nel segno della sostenibilità.

 

I costi del progresso “scorsoio” di Zanzotto

Il conto che presenta il passato di sviluppo sfrenato, senza programmazione e controlli, è pesantissimo.

Solo per esemplificare: il delitto ambientale (rimasto impunito) della Tricom Galvanica Pm di Tezze Sul Brenta: la più allarmante contaminazione da cromo esavalente d’Europa, costata finora tredici milioni; il Sito di Pernumia con 52 milioni di tonnellate di scarti, pericolosi e non, di un’azienda fallita per cui occorrono oltre dieci milioni di euro di bonifica; l’aria del cielo veneto con lo sforamento del limite del Pm10 (50 microgrammi per metro cubo) per più di 35 giorni di seguito in sei capoluoghi su sette.

Avranno la società veneta e i suoi rappresentanti politico-istituzionali, sia a livello locale che regionale, l’intelligenza di prendere in seria considerazione il monito severo, sulla pericolosa deriva dissipativa imboccata dal territorio regionale, che era stato espresso da Andrea Zanzotto in una “conversazione” edita da Garzanti con il titolo In questo progresso scorsoio, e che altro non era se non la metà di un epigramma del grande poeta ed intellettuale trevigiano: In questo progresso scorsoio / non so se vengo ingoiato / o se ingoio. Il titolo e l’aforisma facevano riferimento alla corsa (irrefrenabile, in potenza) verso il progresso-a-tutti-i-costi, verso il consumismo senza fine e fine a se stesso.

Valutati sotto il profilo storico potremmo ritenere che i fatti e gli eventi che abbiamo rapidamente passato in rassegna costituiscano degli alert: che indichino i rischi connaturati al dinamismo caratterizzante una regione per molti versi unica, e di cui parlo con l’amore e la passione di un cittadino che la sente come una piccola patria, un patrimonio da accudire e preservare con cura.

 

I mali (e la cura) del Veneto

Un compito di protezione che deve essere assunto da nuovi gruppi dirigenti, in ambito sociale, culturale, imprenditoriale, con la saggezza e l’onestà necessarie per rigenerare i valori. E riprogettare il futuro di un Veneto che deve misurarsi con l’impatto morale e ambientale della sua irrefrenabile ansia di incremento delle attività e del reddito; un’ansia che crea vuoti di incertezza, disagio e aggressività, esondanti in una pluralità di patologie.

Quella più evidente e veicolata, coccolata e rappresentata mediaticamente, si manifesta negli atteggiamenti e mobilitazioni xenofobe, che producono, rispettando un canone venetista, un elevato rendimento politico-elettorale.

Più profonde ed estese sono però quelle che – al pari delle sostanze venefiche per le falde freatiche – stanno intaccando e inquinando la geografia umana: dall’esplosione del gioco d’azzardo, che consuma 6 miliardi e 107 milioni, all’espansione del consumo di droghe, che le rende un’emergenza drammatica di cui l’opinione pubblica non si cura, anche perché ormai è considerata una pratica cool, che non fa più paura (si muore di meno e il consumo appare coniugabile con la vita quotidiana). Ciò determina l’abbassamento dell’età del primo “sballo”, quadruplicando i minori sanzionati e rivelando un terrificante sconquasso familiare.

E a tal proposito non possiamo sottacere i tremila casi di violenza sulle donne, l’80 % dei quali tra le mura domestiche: una strage silenziosa con l’aumento di vittime di botte, abusi, stupri, crudeltà psicologiche, fino al femminicidio (a quota tredici nel 2017).

Senza un sussulto etico-civile, che archivi la lunga stagione del believing without belonging, nel Veneto è destinato a insediarsi e progredire un processo di entropizzazione, causa certa di (ulteriore) regressione politico-culturale – con il corredo di altre clamorose vicende giudiziarie – e di aumento delle sofferenze e ingiustizie sociali, i cui segnali più preoccupanti sono il rischio povertà per bambini, oggi a quota 148.000 (18%) con un + 25.000 rispetto al 2009, e l’emigrazione di giovani, a frotte di decine di migliaia, delusi dal non trovare più opportunità professionali soddisfacenti nella loro terra.

Per superare tale stato di cose con ragionevole ottimismo e una buona dotazione di energie antropologico-culturali è necessaria una seria meditazione sui valori e sulla visione, che hanno costituito i vero propellente per il decollo e la crescita economico-sociale della regione dagli anni Sessanta a oggi. Per non lasciare che sia il passato a decidere l’orientamento, ma – attraverso la rivisitazione critica – per far sì che sia parte di ciò che il Veneto vuole diventare.

 

Foto Roberto Monaldo / LaPresse

 

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