La gelosia della leadership

Gelosia. Sostantivo femminile: sentimento tormentoso provocato dal timore, dal sospetto o dalla certezza di perdere qualcosa o qualcuno ad opera di terzi. Leader. Sostantivo: capo, guida di un partito o di uno schieramento politico o sindacale o di un movimento culturale, di un’azienda. Per estensione, chi occupa una posizione di prestigio o di primo piano. Ho voluto […]

Gelosia. Sostantivo femminile: sentimento tormentoso provocato dal timore, dal sospetto o dalla certezza di perdere qualcosa o qualcuno ad opera di terzi.

Leader. Sostantivo: capo, guida di un partito o di uno schieramento politico o sindacale o di un movimento culturale, di un’azienda. Per estensione, chi occupa una posizione di prestigio o di primo piano.

Ho voluto iniziare con le definizioni perché, come mi disse una volta una persona che stimo moltissimo e che considero il mio mentore, “Le parole hanno un peso”. Egli è un consulente di direzione conosciuto per le sue indiscutibili capacità, un profondo esploratore dell’animo umano che eccelle in molti saperi tra cui la storia, la filosofia, la teologia e la psicologia. Conosce l’economia d’impresa. Discute alla pari con avvocati e sindacalisti poiché dispone di una grande competenza nel diritto sindacale e del lavoro. E’ un uomo intelligente ed ha una mente così affilata che riesce a collegare argomenti apparentemente diversi, offrendoti una prospettiva analitica dei fatti con un punto di vista non comune e a cui non avresti mai pensato. Al contempo è umile e disponibile, prodigo di consigli, suggerimenti e quando può ti dà una mano senza risparmiarsi.

Durante uno dei nostri incontri di dialogo, conoscenza e scambio di idee, gli confessai che lo invidiavo per quello che riusciva a fare, per l’enorme cultura che aveva, per le sfide che aveva affrontato e i risultati che aveva raggiunto. Glielo dissi con profondo senso di ammirazione perché è così alta l’opinione che ho di lui che davvero un giorno vorrei assomigliargli, come persona e come professionista. Mi guardò, benevolo, come benevolmente si guarda un discente che fa un banale errore grammaticale e mi corresse dicendomi che “Invidia è una parola dal forte senso negativo. Deriva dalle parole latine in e vĭdēre, ovvero vedere male o gettare il malocchio. Preferirei che tu mi dicessi che sei geloso. Gelosia, infatti, deriva dal verbo greco ζηλoς (zelos) che esprime il desiderio di emulazione”. Con mia enorme sorpresa, quel giorno scoprii di essere geloso e che questo non solo non era un male, ma era accettato dall’oggetto di questo sentimento. Grande persona il mio mentore, riesce sempre a stupire e a stupirmi.

Invidia e gelosia in azienda

L’invidia, quindi, è una brutta bestia, meglio la gelosia. Capita però di vedere spesso la bestia in azione, troppo spesso, anche sul posto di lavoro dove la gelosia dovrebbe avere campo libero e invece è l’invidia a farla da padrona. Molti infatti invidiano i colleghi, i datori di lavoro, quelli che hanno uno stipendio più cospicuo, un livello più alto. Vogliono quello che hanno gli altri senza essere disposti a fare la stessa fatica che hanno fatto loro per ottenerla. Sprecano risorse personali nel volere il loro male invece di migliorare se stessi. Dissipano energie e tempo, cercando di mettere i bastoni tra le ruote a coloro che, a loro dire, hanno una posizione migliore, sotto ogni punto di vista, senza pensare che invece dovrebbero esserne gelosi. Sì, gelosi, costantemente. Perché se l’invidia spinge verso comportamenti controproducenti e distruttivi, la gelosia porta l’essere umano a migliorarsi. L’invidioso, infatti, denigra l’opera altrui, il geloso cerca di motivare se stesso per costruirne una più grande. L’invidioso perde tempo cercando di distruggere quelli che erroneamente considera antagonisti, il geloso cerca di costruire se stesso, di emulare l’altro e di raggiungere, se possibile, obiettivi più alti. L’invidioso è sciocco, perché gode a veder cadere gli altri pensando così di essere migliore di loro, ma in realtà non riesce a capire che a rimanere nel cuore delle persone è colui che costruisce non quello che distrugge.

La gelosia in azienda può essere quindi vantaggiosa. Se è il leader ad esserne l’oggetto, essa spinge il subordinato a migliorare la propria condizione diventando talmente competente da essere egli stesso oggetto di gelosia da parte degli altri componenti del team. Una catena virtuosa che spinge ognuno a migliorare se stesso e a diventare artefice di una condizione migliore, proficua, creativa per tutti. L’invidia invece abbruttisce tutto e non porta a nulla.

Meglio se molti leader e pochi capi

Questo ragionamento presuppone che nel gruppo ci debbano essere molti leader e pochi capi. Oppure che ci siano capi che sono anche leader e che la leadership venga concepita nell’eccezione inglese di “guida”, di riferimento, anche nelle mansioni non apicali. Ognuno di noi può, infatti, esprimere competenze che gli altri non hanno, diventando così un riferimento anche nel proprio piccolo ed essere oggetto di una sana altrui gelosia. Un apprendista infatti può essere particolarmente abile nel suo lavoro e può non esserlo un dirigente. La gelosia della leadership dovrebbe quindi essere una tensione emotiva costante verso il miglioramento di sé.

Ma in cosa dovremmo migliorare per essere a nostra volta oggetto di gelosia? Non solamente nella sterile autorità che prende il nome di una posizione, di un grado su una spallina, di una medaglia sul petto che può essere affibbiata a volte anche a chi è senza capacità, per anzianità, per compiacenza, per distruttiva invidia. Le competenze non si guadagnano saltando i gradini della scala gerarchica. Dovremmo ambire all’autorità che deriva dall’autorevolezza, guadagnata con il merito, con la fatica, con lo studio e con la tensione costante verso il miglioramento personale.

Un tempo ascoltai la frase “Il capo, per essere un leader, dovrebbe lavorare per la propria autodistruzione” e con questo concetto l’oratore invitava chiunque ricoprisse una qualsiasi posizione di responsabilità a condividere il proprio sapere affinché i dipendenti potessero raccoglierle, rielaborarle, riadattarle e migliorarle a beneficio dell’organizzazione. Al contempo quelle conoscenze rielaborate, riadattate, migliorate e condivise, sarebbero diventate oggetto di gelosia e quindi lo sprone che avrebbe portato il leader a migliorare anche se stesso.

La gelosia a tutti i livelli potrebbe muovere il mondo e invece spesso viene frenato dall’invidia. Proprio perché essa è, per definizione, la paura di perdere qualcosa o qualcuno a cui si tiene, dovrebbe essere la spinta verso la massima collaborazione all’interno di un gruppo. Essere gelosi l’uno dell’altro, il non voler perdere il collega o il capo a cui si tiene, diventa quindi il collante estremo di un team valido e spinta centrifuga nei confronti di coloro che nel team non si riconoscono, che non portano un valore aggiunto, che invidiano l’altrui opera tentando di distruggerla. Il vero leader dovrebbe quindi essere oggetto di una sana gelosia, lavorando per la propria autodistruzione e stimolando questo modo di agire anche negli altri.

Steve Jobs disse “Siate affamati, siate folli” avrebbe dovuto aggiungere anche “siate gelosi”. Ma lui non aveva il mio mentore.

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