Associazioni terzo settore: sopravvivere alla quarantena, a testa alta

Un’emergenza tira l’altra. Mentre ancora non si intravede con nettezza come e quando la pandemia per COVID-19 sarà superata, se possibile sono ancora meno chiare le sorti che toccheranno al terzo settore. Dall’inizio di marzo, le tradizionali modalità di reperimento fondi sono state per forza di cose abbandonate a favore di altre, più compatibili con […]

Un’emergenza tira l’altra. Mentre ancora non si intravede con nettezza come e quando la pandemia per COVID-19 sarà superata, se possibile sono ancora meno chiare le sorti che toccheranno al terzo settore.

Dall’inizio di marzo, le tradizionali modalità di reperimento fondi sono state per forza di cose abbandonate a favore di altre, più compatibili con il dettame rimbalzato da finestre e balconi: “Restate a casa che andrà tutto bene”. Se l’esortativo in sé non era poi di difficile esecuzione, tutt’altro discorso vale per quell’esercizio di ottimismo che veniva richiesto e disegnato da tanti bambini, foglio bianco e scatola di pennarelli alla mano, con l’arcobaleno. A quel tipo di slancio fanno in genere riferimento le Fondazioni e le Onlus impegnate nel finanziamento alla ricerca o nell’assistenza a debolezze e fragilità di vario tipo, in Italia e all’estero: è la generosità che sostiene i loro sforzi, e né la paura né l’incertezza riguardo il futuro aiutano ad avvicinare nuovi donatori o a impedire che i vecchi, ossia i donatori acquisiti, non si allontanino troppo.

Le conseguenze di questa tendenza generale rischiano di essere ben diverse e gravose per le realtà di medie e piccole dimensioni rispetto a quelle più grandi e strutturate.

 

Specializzazione e internet: come sopravvivere alla quarantena in due mosse

Nel campo della ricerca oncologica, la parte del leone spetta senz’altro all’AIRC, che solo nel 2019 ha saputo impegnare 98,3 milioni di euro su 556 programmi e progetti di ricerca e per l’erogazione di 85 borse di studio. Sono cifre inavvicinabili per altre associazioni, che pure negli anni hanno saputo fare la differenza.

È il caso dell’ABG, com’è anche nota l’Associazione Bianca Garavaglia, che l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano ha riconosciuto come prima sostenitrice per le ricerche e l’assistenza nel settore pediatrico. Con un bilancio che lo scorso anno ha registrato poco più di un milione di euro di entrate e circa 821 mila euro di uscite, la caratteristica e insieme la chiave di volta che ha permesso all’ABG di farsi un nome di tutto rispetto sta proprio nella scelta di convogliare i propri sforzi in una specifica branca della ricerca, ovvero quella impegnata al contrasto dei tumori contratti in età infantile e adolescenziale: “Se così non fosse, certamente saremmo stati fagocitati ben prima che suonasse l’emergenza del coronavirus”, rimarca Claudia Garavaglia, figlia di Carlo e Franca, che fondarono l’ABG nel 1987 in memoria della sorellina Bianca, venuta meno ad appena 5 anni di vita proprio a causa di una rara forma di neoplasia. Lo stesso simbolo dell’ABG, un fiore verde e fucsia, non è che la riproduzione di un disegno eseguito dalla piccola Bianca su un letto di ospedale.

Con tali premesse si capisce come la scelta sia stata obbligata, quanto dettata dalle ragioni del cuore. Le stesse che hanno dato ai volontari le risorse necessarie ad affrontare il periodo della quarantena: “Quando è iniziata la prima fase dell’emergenza, stavamo iniziando la nostra tradizionale campagna per la Pasqua. Ogni anno distribuiamo colombe e uova di cioccolato in tutta la Lombardia. Invece ci siamo inventati un gioco da comporre e l’abbiamo offerto in cambio di donazioni sul nostro sito internet. Poi, intorno al 25 aprile avremmo dovuto organizzare la Corsa della Speranza, una manifestazione podistica non competitiva che lo scorso anno alla prima edizione ci ha portato 30.000 euro dalle circa 1.500 iscrizioni avute. Stavolta eravamo pronti a offrire una borraccia in ricordo a ognuno dei partecipanti, e invece abbiamo fatto come per il gioco pasquale: le abbiamo messe online e offerte in cambio di ogni donazione minima di 10 euro. In un paio di settimane abbiamo ricevuto un centinaio di ordinazioni. Sempre su internet siamo tornati a promuovere un libro scritto da mia madre quattro anni fa come campagna per la Festa della Mamma, che ci vedeva al solito presenti nelle piazze con omaggi floreali”.

Dove poi neppure internet arriva, c’è sempre il telefono: “Un’altra cosa che stiamo facendo è alzare la cornetta e contattare i nostri donatori abituali. È un modo anche solo per farci sentire, per ricordare che ci siamo e che c’è sempre chi ha bisogno del nostro aiuto. In momenti di emergenza, per i terremoti e anche adesso per la pandemia, gli slanci di generosità non mancano. L’importante è agire con correttezza e onestà. Chi ci riesce e sa dimostrarlo, non deve temere confronti né avere complessi di inferiorità. Spesso, a torto o a ragione, sono proprio le grandi realtà a ispirare meno fiducia rispetto alle piccole”.

 

Il virus porta la fame. Come ha reagito alla quarantena chi la combatte?

Può contare su una rete internazionale affermata in 48 Paesi, su tutti la Francia e gli Stati Uniti, che globalmente le assicurano risorse per 424,5 milioni di euro aggiornate al 2018: si tratta dell’ONG Azione contro la Fame, poco più di 12 dipendenti nella sede centrale a Milano che vanta un’importante rete di formatori e operatori fundraiser sparsi sull’intero territorio nazionale.

“Come dice il nome, la nostra azione si concentra sulla lotta alla malnutrizione con un programma specifico che in un anno supera tranquillamente i 20 milioni di vite salvate. Questo dà l’idea di quale problema sia la fame nel mondo oggigiorno in condizioni normali, ma non basta a dire quali dimensioni assumerà a seguito della pandemia da COVID-19. Di certo, se consideriamo che 821 milioni di persone al mondo soffrono per la mancanza di cibo e solo il 35% della popolazione africana ha possibilità di accesso all’acqua potabile, è facile prevedere che la diffusione del coronavirus porti all’emergenza nell’emergenza”, afferma Orazio Ragusa Sturniolo, a capo della comunicazione di ACF in Italia.

Per affrontare al meglio, l’una e l’altra emergenza, gli operatori del face-to-face, che abitualmente calcano strade e altri luoghi pubblici per meglio promuovere la causa e la raccolta fondi, hanno temporaneamente sospeso le attività per effetto dei provvedimenti vigenti; riprenderanno quando sarà possibile, compatibilmente ai divieti e alle regole di comportamento che saranno ritenuti più opportuni. Mentre sulle varie piattaforme internet da Zoom a Vimeo si stanno spostando i progetti che coinvolgono le scuole e i ristoranti: “Da anni organizziamo in questo periodo la Corsa contro la Fame, che tramite incontri di sensibilizzazione in classe seguiti da eventi sportivi per la raccolta di fondi è arrivata a coinvolgere 400 scuole in tutta Italia. Viste le circostanze non faremo altro che replicare incontri e gare online, e nonostante tutte le difficoltà che stanno attraversando le scuole a livello didattico abbiamo in breve incontrato l’adesione di oltre 100 istituti, a conferma di come l’iniziativa sia stata apprezzata in passato”.

Resta invece in attesa un programma rivolto ai ristoratori, cui viene proposto di segnalare ai propri clienti la possibilità di aggiungere il proprio contributo al prezzo da menù di cibi e bevande così da destinare quanto raccolto all’ONG e ai suoi progetti: “Ovviamente, dipenderà da come i ristoranti potranno riaprire. Ne riparleremo in ottobre”. Per questo, come in generale per tutte le attività avviate all’estero, ogni timore è tenuto a debita distanza: “Puntiamo a fidelizzare i nostri donatori, cercando adesioni convinte e concrete ad una causa ben precisa quella della fame e la malnutrizione infantile. Quello che diciamo sempre è che l’aria che respiriamo è la stessa da Roma a Città del Capo e certe problematiche non possono lasciarci indifferenti. Al di là poi della capacità di reperire e impiegare risorse economiche, vale la serietà del progetto. Per noi è sempre stato un valore aggiunto l’impegno di personale locale. In tutti i Paesi del mondo dove siamo presenti, chi lavora per noi è al 92% costituito da staff locale”.

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