L’inverno in cui tornarono i delfini

Refrain: In questi giorni di stravolgimento delle abitudini, sono tornati i delfini nei porti di Ancona e Trieste, le anatre selvatiche nelle fontane di Roma, i cerbiatti nei paesi di periferia dell’Appennino. A Milano, Torino e Bologna si respira aria di montagna. Un mio amico mi ha detto: erano anni che nel condominio non sentivo […]

Refrain: In questi giorni di stravolgimento delle abitudini, sono tornati i delfini nei porti di Ancona e Trieste, le anatre selvatiche nelle fontane di Roma, i cerbiatti nei paesi di periferia dell’Appennino. A Milano, Torino e Bologna si respira aria di montagna. Un mio amico mi ha detto: erano anni che nel condominio non sentivo l’odore della pasta al forno.

Abitudini e Cambiamenti

Ci sono parole che stanno letteralmente perdendo significato per quanto siano state abusate in “tempo di pace” come mi piace dire raccontando questi tempi per descrivere in maniera figurativa la differenza fra come eravamo prima, come saremo dopo. Fra le parole più ricorrenti sui social e nei blog si parla di abitudini e cambiamenti che secondo la maggioranza delle opinioni saranno inevitabili, perché giustamente qualsiasi organizzazione di buon senso non può che approfittare di questa situazione per testare e dimostrare l’efficacia di modelli che si diceva fossero “impossibili da realizzare”.

Iniziamo però a considerare anche l’ipotesi, non così improbabile, che questa emergenza a molti non insegni nulla e blocchi qualsiasi volontà di trasformazione. È bene dircelo adesso in tempi non sospetti, perché è molto alto il rischio che questo cambiamento ancora una volta rappresenti l’ennesima buzzword da sbandierare su post e blog a favore di un ottimismo che si sposa perfettamente con i buffet dei Convegni e delle Convention Aziendali, ma poco, pochissimo, con la realtà dei nostri luoghi di lavoro.

A supporto di questa ipotesi non ritornerò nuovamente sul tema di quanta poca cultura del lavoro abbiano dimostrato tante aziende anche multinazionali alla prova dello smart working, o telelavoro o lavoro agile nei mille modi in cui lo hanno chiamato in una babele linguistica imbarazzante; sono tuttavia sufficienti i commenti di alcuni imprenditori di seconda generazione che hanno la responsabilità di Persone ed economie e a cui dovremmo poi affidare la vita di operai e collaboratori (immagino quali possano essere le priorità di salute e sicurezza sul lavoro):

[…] ti assicuro che ognuno di noi preferirebbe starsene a casa sul divano coi propri figli a cazzeggio facendo smart work (ovvero facendo una beato cazzo di nulla pagati dall’azienda)….i motivi che “costringono” i poveri industrialotti a stare aperti risiedono nel fatto che purtroppo o per fortuna si lavora in un mercato dettato da regole globali e in un sistema complesso del quale noi facciamo parte….se nessun altro si ferma, compresi i nostri clienti…come pensi sia possibile serrare baracca e burattini mentre il resto del mondo gira ?? per loro sarà semplicissimo individuare fornitori alternativi, magari tedeschi o turchi no ? cosa ne pensi ?? poi cosa credi, che passato tutto questi ritornino a comprare in Italia ?? quando al posto che consegnare la loro merce gli hai fatto trovare il cancello chiuso ?? questo significherà anche la morte di molti head hunters mi sembra ovvio..oltretutto considera che come ben sai, se si ferma il NORD Italia significa smettere di alimentare il buco nero di roma e tutto quello che gli sta sotto….

Non ho tralasciato un solo punto sospensivo, ma credo che questo intervento possa rappresentare la “summa” del pensiero medio-industriale. A scanso di equivoci, stiamo parlando di un’azienda multinazionale italiana del Nord.

Fare rete

Viene da riflettere anche su quanto sia complesso fare rete in momenti di vera crisi.

Se questi tempi ci stessero restituendo uno scollamento solo fra forze politiche, non saremmo nemmeno così sorpresi. È invece grave vedere lo scollamento fra Presidenti di Regione e Governo centrale, fra atleti che esigono la loro corsetta quotidiana e i sindaci, fra industriali che pretendono l’apertura totale delle fabbriche e le migliaia di lavoratori terrorizzati che raccontano storie di ordinaria follia nei loro reparti, fra le metropolitane ancora stracolme di gente e chi non interrompe il servizio, fra chi vuole tutto chiuso e chi invece #nonsiferma.

Ma ancor più grave è l’atteggiamento dei Baroni, di chi è a capo della “verità” in tema di salute e in diretta dalle comparsate televisive ormai giornaliere, si preoccupa di sottolineare la paternità di un’informazione o la propria superiorità accademica. Cose che in tempo di pace vedevamo tutti i giorni nelle Università (così bene raccontato da Matteo Fini) e negli uffici: assistere adesso a queste scene, in “tempi di guerra”, è davvero scoraggiante.

Un pò di speranza arriva dai colossi del settore auto Fca e Ferrari, controllate della holding Hexor, che insieme a Marelli metteranno i loro impianti emiliani e i loro dipendenti a disposizione di Siare Engineering per la produzione della componentistica e l’assemblaggio di nuovi respiratori polmonari necessari per i pazienti nelle terapie intensive, strategia intrapresa nei giorni scorsi anche da General Motors e Ford e ventilata anche da Tesla negli Stati Uniti. (notizia di Wired)

Cambierà forse anche la percezione dei mestieri del futuro?

Ne parla molto bene Silvia Zanella, che proprio in questi giorni ha pubblicato un “aggiornamento”.

Probabilmente sì. Ma lasceremo l’ardua sentenza alle classifiche dei “cento migliori…” dei vari Capital e ForbesItalia nelle loro tipiche “storie di copertina a basso costo”. Mentre, se vogliamo affrontare concretamente il tema, sarà il caso di rivalutare seriamente il lavoro di chi tragicamente in queste settimane si sta rivelando indispensabile per tenere in piedi una nazione intera lottando non solo contro il virus, ma anche contro un diffuso senso di irresponsabilità che costringe il Governo di una nazione democratica a rivedere le proprie misure (al momento in cui scrivo) per ben 4 volte, come se parlasse a una scolaresca di bambini indisciplinati in gita scolastica.

Bellissimo, ma sconsolante, il gesto dei medici e degli infermieri, costretti a improvvisarsi musicisti (nell’insolito ruolo di Persone come tutte le altre) per vedere se, non essendoci riusciti i cazziatoni dei medici cinesi, le reprimende del Governo, le pattuglie dell’esercito e della polizia, ci riescono Mogol e Battisti.

Come svegliarsi con una doccia gelata

Questa emergenza è stata una vera secchiata d’acqua gelata in faccia anche a chi si ritiene impermeabile ai temi della politica, che speriamo risvegli la nostra attenzione sui temi dei finanziamenti e delle risorse, rendendoci elettori più consapevoli. Non è più un’opinione o il soggetto di una frase ad effetto ripetere che la nostra Sanità e la Ricerca (i settori più coinvolti dal fenomeno dei cervelli in fuga) non hanno rappresentato una priorità per nessuno dei Governi di cui io ricordi. Per tacer di Formigoni.

Stesso si può dire per la famigerata “digital transformation”, un bug di sistema che riguarda evidentemente non solo la Pubblica Amministrazione, ma anche le imprese e i servizi, totalmente impreparati di fronte a un’emergenza seria come questa, al netto dei “noi lo facciamo da sempre” di alcuni fenomeni sottovuoto assenti alla parola “impresa”, nascosti nei coworking ad assunzioni zero. Parliamo di cose serie, per favore.

Della mancanza di un piano davvero strategico di innovazione ne hanno fatto le spese per prime le scuole primarie, che così come gli ospedali si sono affidate alla buona volontà di quegli insegnanti aggiornati a proprie spese o per cultura digitale personale. Tuttavia, in un sondaggio fra amici e parenti sicuramente poco significativo dal punto statistico, la maggior parte degli insegnanti ha fatto con quel che poteva in assenza di supporti, o come poteva in assenza di una cultura digitale.

Camere senza finestre

Ci sarà da pensare anche alle rappresentanze dei lavoratori, così come a quelle delle imprese. Adesso è (finalmente) evidente quanto poco è stato fatto da decenni di contrattazioni di secondo livello pensando molto di più al mantenimento del proprio potere contrattuale che per il reale beneficio dei propri dipendenti. E adesso, liberi tutti! In questa emergenza mi sarei aspettato dalle Associazioni di Categoria e dagli Ordini Professionali un supporto di carattere strategico, una proiezione a lungo termine che aiutasse gli imprenditori e di supporto ai professionisti per riorganizzarsi, la capacità di mettere in collegamento le filiere facendo da ponte fra i territori e preparandoli ad affrontare la crisi che – era evidente – sarebbe stata imminente.

E invece abbiamo visto il solito tiro della fune fra politica e associazionismo, un proliferare di comunicati stampa utili solo a marcare il territorio e a dimostrare ai propri associati di “essere lì al loro fianco” con la modalità di sempre: quella del corporativismo e della presunzione di superiorità. Il NOSTRO vale più di tutti gli altri. Chiusi in camere senza finestre verso l’esterno.

La qualità del tempo

“Questa è la crisi più dura dal secondo dopoguerra” ha dichiarato il Premier Conte alle 23,30 di sabato 21 marzo e nessuno di noi ha dubbi che sarà così e l’ottimismo squinternato dei #Nonsiferma o dei balconi canterini non sarà sufficiente ad alleggerire la salita. Suggerirei anche di evitare la solfa dell’ideogramma cinese crisi/opportunità perché è un fraintendimento linguistico più volte già smentito.

Di certo, questa è la crisi che ci permetterà di rivalutare prima di tutto le nostre priorità. Costringendoci a cambiare gli stili di vita, forzatamente ci rimetteremo in discussione come figli, fratelli, genitori, amici, compagni/e, senza la scappatoia del “non c’è tempo”. Banalmente mi viene da dire che ci permetterà di migliorare la nostra capacità di approfondire, imparare e diventare più attenti e riflessivi se passeremo meno tempo sui social e più tempo su tutte le piattaforme che abbiamo a disposizione per conoscere. Dai libri di carta accumulati nelle librerie al proliferare di webinar, serie televisive sottotitolate e strumenti musicali appesi alle pareti. E in tutto questo ultimo paragrafo sto parlando soprattutto di me, ma spero che in molti ci si riconoscano.

E non parlo di lavoro. Non ne parlo appositamente perché è evidente che, se miglioriamo come Persone, miglioreremo anche come lavoratori, portando nei nostri ambienti professionali più intelligenza, consapevolezza, pensiero.

Ancora Refrain: In questi giorni di stravolgimento delle abitudini, sono tornati i delfini nei porti di Ancona e Trieste, le anatre selvatiche nelle fontane di Roma, i cerbiatti nei paesi di periferia dell’Appennino. A Milano, Torino e Bologna si respira aria di montagna. Un mio amico mi ha detto: erano anni che nel condominio non sentivo l’odore della pasta al forno.

Alla fine di questo periodo, sapremo se saremo diventati migliori scegliendo di offrire i nostri porti a quei delfini o facendoli definitivamente allontanare.

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