Ogni manager ha lo stagista che si merita

Era il Duemila, e per la prima volta, da fresco responsabile logistica di Automobili Lamborghini, fui mandato a Ingolstadt per imparare le best practice della casa madre, Audi, da portare e avviare come novello predicatore in quel di Sant’Agata Bolognese. Giornate intense e ricche di spunti tra sistemi di programmazione della produzione, lean manufacturing, linee […]

Era il Duemila, e per la prima volta, da fresco responsabile logistica di Automobili Lamborghini, fui mandato a Ingolstadt per imparare le best practice della casa madre, Audi, da portare e avviare come novello predicatore in quel di Sant’Agata Bolognese.

Giornate intense e ricche di spunti tra sistemi di programmazione della produzione, lean manufacturing, linee guida operative e, all’interno dell’organigramma dell’area, una figura che non conoscevo: Ausbildung. Chiesi cosa fosse e la risposta in buona sintesi fu:

“È la persona che sta completando il suo percorso di formazione, alternando ore di aula a ore in azienda. Gli vengono dati compiti di supporto all’ufficio commisurati alle sue competenze ed esperienze scolastiche, mentre lui vive la sua prima esperienza qualificante nel mondo del lavoro.”

Be’, per uno come me, che veniva da un percorso di studio dove la distanza tra la teoria studiata e la realtà era misurabile in anni luce e le aziende – quelle vere – erano qualcosa di sconosciuto e un po’ terrificante, come l’impero Klingon in Star Trek, fu un’illuminazione. Anch’io avrei avuto il mio Ausbildung!

Sono passati diciott’anni da allora. Ho cambiato più aziende e settori, dall’automobile ai beni di lusso per poi tornare in meccanica, e tutte le volte, nel mio creare nuove strutture gestionali e operative, ho riservato uno spazio per accogliere studenti che fossero alla fine o avessero appena finito il loro percorso di studio, permettendo loro un momento di inserimento “protetto” nel mondo del lavoro. Bello, bellissimo. Ma che fatica!

In realtà, nella mia esperienza hanno sempre ben accolto questi stagisti – ora “tirocinanti”, per allinearci ai tempi – ma il vero problema è trovarli.

 

Tirocinanti, dove e perché?

Spieghiamo il perché avere un tirocinante può essere un problema e facciamolo per punti:

  • Che cosa gli faccio fare?
    • Qui il primo e forse più importante dei problemi. Il lato oscuro di qualsiasi manager inizia subito a pensare a fotocopie, archivi, pulizie e tutte quelle attività che sono odiate dai collaboratori, ma se un manager ha una coscienza (ebbene sì, può capitare) e lungimiranza, sa bene che il tirocinante, magari fresco di studi, deve avere opportunità per imparare, e perché no, per mettersi in mostra (non si sa mai). A questo proposito eventuali progetti di cambio di sistema informatico, creazione di reportistiche o l’introduzione di nuove modalità operative possono venire in aiuto, creando un ruolo di supporto al team. Se il tirocinante è in gamba e ben preparato si capirà rapidamente, e magari darà anche una mano con l’archivio e le fotocopie. Come tutti noi.
    • Morale: se vuoi un tirocinante pensa prima a che cosa fargli fare. Se sarà un lavoro in cui impara, in un contesto protetto, con rispetto della sua poca esperienza, sarà un mutuo arricchimento.
  • Dove lo trovo?
    • Il lato oscuro del manager pensa subito di ribaltare l’onere alle Risorse Umane e di ordinare un tirocinante come configurerebbe un’automobile (un po’ ingegnere, un po’ economista e magari con l’apertura mentale del filosofo, ma che sappia anche utilizzare SAP e fare report con grafiche strepitose). Fate voi, e rapidamente!
    • A me piace tantissimo partecipare alla selezione dei miei collaboratori, di qualsiasi tipo esse siano. Leggere CV e fare interviste, pur avendo un’idea in partenza, può portare a soluzioni inattese e aprire opportunità interessanti. Da questo punto di vista avere un HR animato dalla stessa curiosità e spirito di ricerca permette veramente di non porsi dei limiti nella’indagine, magari organizzando assessment per cercare di capire i comportamenti dei candidati.
    • Ma torniamo all’inizio, dove li trovo? Si, è vero, parliamo di laureandi e neolaureati, e il luogo classico dove trovarli sarebbe l’università, ma qui il sistema si inceppa. È vero che esistono i career days (che siano benedetti) e uffici competenti in molte università, ma il mondo universitario e quello dell’industria soffrono di incomunicabilità ai massimi livelli.
    • Nella mia esperienza in diciotto anni ho avuto venti tirocinanti gestiti direttamente e altrettanti da parte dei miei collaboratori, di cui una decina hanno fatto la loro tesi di laurea nella mia struttura; per cinque di loro sono stato relatore di laurea, un’esperienza esaltante che in molti casi è continuata diventando colleghi o vedendo la loro crescita in altre aziende. Su quindici tirocini posso dire abbastanza serenamente che solo quattro o cinque sono nati grazie a canali “istituzionali”, in cui la scuola ha contattato l’azienda segnalando gli studenti (più frequente per le business school) mentre nei rimanenti casi l’incontro è nato o per conoscenza personale dei professori che hanno segnalato i candidati o per segnalazioni spontanee andate a buon fine.

L’innesto di forze fresche per favorire l’innovazione

Come si può ben capire, lo strumento del tirocinio mi piace. Mi piace come piccola rivalsa verso il mio percorso universitario, dove il mondo aziendale era troppo lontano per pensare di farci qualcosa, ma soprattutto per la possibilità di inserire in strutture consolidate persone fresche di studi e con occhi, orecchie e testa ancora liberi dai condizionamenti della routine, dell’“abbiamo sempre fatto così”.

Ero in Ferrari quando una business school mi presentò un laureato in giurisprudenza che si era iscritto al suo MBA e voleva “convertirsi al mondo della meccanica”. Ero sinceramente scettico, ma quando lo intervistai trovai in lui una strepitosa volontà di fare e fare bene. Ben pochi mesi dopo il ragazzo era parte attiva nella realizzazione del nuovo magazzino montaggio motori, dove aveva dato valore aggiunto nel disegnare i flussi secondo logiche di visual management allora innovative, anche grazie alla sua capacità di vedere la cose con un punto di vista diverso. Oggi questo ragazzo è responsabile acquisti in un grande gruppo giapponese, dove ha saputo unire perfettamente le sue competenze legali al fuoco sacro per la meccanica.

Il tirocinio tra studenti e professori

Potrei ricordare chi è entrato in azienda con gli occhi bassi da timida studentessa per poi diventare una manager del lusso di primo livello, o chi dopo aver fatto un percorso nel mondo della meccanica ha saputo rientrare nell’azienda vinicola di famiglia portandola a un respiro internazionale. Ma se i ragazzi regalano spunti e idee non sarebbero da meno i professori; peccato ne abbia incontrati veramente pochi con l’entusiasmo e la voglia di condividere il percorso del laureando o di creare opportunità di scambio di idee.

Ripeto: parlo per la mia esperienza personale e non voglio generalizzare, ma che abbia trovato terreno fertile con professori di sociologia invece che di ingegneria potrebbe stupire, anche se in realtà ho scoperto che, lavorando su gestione e cambiamento delle organizzazioni aziendali, le modalità di approccio e codifica date dalla sociologia permettono di trovare spunti interessanti, e avere momenti di confronto con luminari del settore è esaltante.

Così come quando hai la fortuna di aver incontrato, nel 2001, un giovane professore del Politecnico che sponsorizzava uno dei suoi studenti più brillanti per la sua tesi di laurea in Ingegneria (studente veramente in gamba) e lo ritrovi come padre di Industria 4.0 in Italia, e hai l’immenso piacere di confrontarti sull’argomento con chi lo ha codificato.

Questi sono gli aspetti positivi. Purtroppo qualche volta capita che non scatti la magia, anche se la situazione peggiore è quando lo studente si candida, lo selezioni, e poi impatti in problemi burocratici (le convenzioni, le assicurazioni, “ripassi domani”), o peggio quando il professore non è d’accordo, e non concede il titolo di laurea perché a lui le tesi sperimentali sul campo non piacciono. Che tristezza.

L’Ausbildung all’italiana, come al solito, è basato sulla nostra incredibile capacità di saperci arrangiare, ma la mia generazione ha il dovere, potendo, di aiutare chi entra nel mondo del lavoro a farlo nel modo migliore possibile.

 

Foto by unsplash

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