Il destino intermittente delle fonti rinnovabili e delle sue figure professionali

Un destino intermittente, un poco come l’energia che producono. È questo il destino odierno delle fonti d’energia rinnovabile, specialmente in Italia. E con questi cambiamenti muta anche il mercato del lavoro che ci gira attorno. Ma andiamo con ordine, per capire. L’Italia, dopo aver “bucato” le tecnologie delle rinnovabili, negli anni ottanta e novanta, come […]

Un destino intermittente, un poco come l’energia che producono. È questo il destino odierno delle fonti d’energia rinnovabile, specialmente in Italia. E con questi cambiamenti muta anche il mercato del lavoro che ci gira attorno.

Ma andiamo con ordine, per capire.

L’Italia, dopo aver “bucato” le tecnologie delle rinnovabili, negli anni ottanta e novanta, come del resto successe anche in altri settori quali il personal computer e i formati digitali multimediali, e dopo aver “incentivato” le rinnovabili “assimiliate” – traduzione: gli inceneritori – con il famigerato provvedimento Cip6, nei primi anni 2000 alle rinnovabili non ci pensava proprio. Anzi, quelli furono gli anni dei cicli combinati a gas metano che senza alcuna gestione razionale furono consentiti grazie al Decreto “sblocca centrali”. Risultato: 21 GWe di cicli combinati oggi fermi e fuori mercato, ma questa è un’altra storia.

Nel frattempo, in Germania, nazione notoriamente assolata, si creava il sistema d’incentivazione “conto energia” che fece decollare l’industria tedesca del fotovoltaico e le installazioni. L’Italia, nonostante un pannello fotovoltaico rendesse un 40% in più rispetto alla Germania, rimase ad aspettare, probabilmente anche a causa degli ottimi rapporti del Governo dell’epoca con “l’amico Putin” che, guarda caso, è anche uno dei maggiori fornitori di gas metano dell’Unione europea.

Bisognerà aspettare il 2007 per vedere qualche spiraglio sul fronte delle rinnovabili, con il primo conto energia e la revisione degli incentivi sull’eolico, due provvedimenti sui quali, con ogni probabilità, non contava molto nemmeno il Governo di centrosinistra dell’epoca. L’esecutivo Prodi, infatti, non fece nulla sul fronte delle politiche industriali per le rinnovabili al punto che in pieno boom del fotovoltaico nostrano fu venduta l’unica fabbrica al mondo, localizzata a Treviso, che realizzava macchine a controllo numerico per la fabbricazione di pannelli fotovoltaici, mentre uno storico industriale del fotovoltaico trasferì dal novarese al Canada, realizzandolo, il proprio progetto per una fonderia di silicio di grado solare, l’ingrediente base per i pannelli, dopo aver aspettato per anni le autorizzazioni di rito.

Insomma, mentre esplodeva il mercato interno – ossia lo zoccolo duro delle rinnovabili, con tassi di rendimento a due cifre, grazie agli incentivi che attiravano investimenti da tutto il Pianeta – il Bel Paese perdeva come sempre pezzi fondamentali dell’ennesima filiera industriale. Il tutto facendo pagare in bolletta fior di incentivi.

E il mercato del lavoro? In un quadro dominato dall’ansia, nel giro di quattro anni furono varati altrettanti “conti energia”: il mercato del lavoro crebbe in maniera frammentata, con competenze relative e governato da una continua incertezza. La sintesi: senza una politica industriale è difficile avere una politica del lavoro coerente. E infatti con i primi stop agli incentivi, per il lavoro nel settore è iniziato il tracollo. Secondo i dati delle associazioni delle rinnovabili AssoRinnovabili, Anev e Coordinamento Free, dal 2011 nel settore eolico si sono persi 10mila occupati e almeno 8mila nel fotovoltaico, mentre nel solo 2013 le imprese attive nelle rinnovabili hanno messo in cassa integrazione 4mila dipendenti.

Si tratta di un calo dovuto alla crisi del settore delle rinnovabili, indotto di sicuro da diminuzione o assenza di incentivi ma soprattutto dall’incertezza politica e normativa legata a provvedimenti retroattivi criticati dalla stampa finanziaria internazionale. Provvedimenti spesso utilizzati per etichettare l’Italia, con ragione, come paese poco attrattivo per gli investimenti esteri. E oggi la dinamica italiana è assai diversa da quella globale. Il rapporto “Renewable Energy and Jobs – Annual Review 2015” della International Renewable Energy Agency afferma che gli addetti nel settore delle rinnovabili sono oggi 7,7 milioni, con una crescita del 18% in un anno. Andando nello specifico gli addetti nel fotovoltaico sono 2,5 milioni, un milione quelli nell’eolico, 1,8 milioni nei biocarburanti, 822mila nelle biomasse, 381mila nel biogas e 1,5 milioni nell’idroelettrico. Ma ciò che dovrebbe far pensare è la previsione che fa Irena.

Al 2030 sono previsti oltre 16 milioni d’addetti nelle rinnovabili, per cui il trend è di crescita e nel nostro paese potrebbe essere vincente l’accoppiata tra rinnovabili ed efficienza, visto che abbiamo una bolletta tra le più care del mondo e siamo messi ancora in ottima posizione per settori quali la meccanica di precisione, l’elettromeccanica, l’elettronica di potenza, l’impiantistica e la quasi totalità dei materiali edili innovativi a ed alto valore aggiunto. In Italia sul fronte delle rinnovabili si lavorerà su piccole installazioni con target domestico o Pmi utilizzate per l’autoconsumo, mercato che esploderà a breve quando l’accumulo elettrico sarà maturo sotto il profilo del mercato, mentre nel campo dell’edilizia la prateria è sterminata poiché c’è da ristrutturare l’intero parco edilizio italiano.

Nel frattempo di imprese che possiedono voglia di fare e know how ce ne sono. Asja Gen, di Agostino Re Rebaudengo, ha ripreso in mano il settore della microcogenerazione ridando vita al primo cogeneratore al mondo, il Totem, che nacque nel 1972 a seguito della prima crisi energetica in casa Fiat e poi fu abbandonato. Mentre Franco Traverso, nome storico del fotovoltaico italiano, è tornato in Italia per produrre un inedito pannello fotovoltaico “bifacciale”, particolarmente adatto ai paesi arabi perché è in grado di captare anche la radiazione solare riflessa dalla sabbia «perché le competenze che servono si trovano solo nel nostro Paese».

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