Spoiler – “Ce l’ho, mi manca” nel prossimo Senza Filtro

Il piccolo Danny Torrance, co-protagonista del thriller di Stanley Kubrick, lo shining ce l’ha, così come Dick Hallorann, il cuoco dell’Overlook Hotel, che si accorge subito delle capacità extrasensoriali del ragazzo (Shining, S. Kubrick, 1980); anche lo scienziato Doc, co-protagonista del cult di Robert Zemeckis, ce l’ha: nel suo caso, però, si tratta di una […]

Il piccolo Danny Torrance, co-protagonista del thriller di Stanley Kubrick, lo shining ce l’ha, così come Dick Hallorann, il cuoco dell’Overlook Hotel, che si accorge subito delle capacità extrasensoriali del ragazzo (Shining, S. Kubrick, 1980); anche lo scienziato Doc, co-protagonista del cult di Robert Zemeckis, ce l’ha: nel suo caso, però, si tratta di una macchina del tempo, con la quale conduce l’amico Marty McFly… Back to the Future (id., R. Zemeckis, 1985).

Mentre al magnate statunitense Charles Foster Kane, protagonista del capolavoro di Orson Welles, “Rosebud” decisamente manca. Tant’è che ne invoca disperatamente il nome in punto di morte (Citizen Kane, O. Welles, 1941); mentre all’affascinante Sugar Kane, cantante e suonatrice di ukulele col vizio dell’alcool e protagonista della commedia di Billy Wilder, manca disperatamente un miliardario da sposare (Some like it hot, B. Wilder, 1959). E il pugile Jack La Motta, detto “il toro del Bronx” per le capacità furenti di picchiatore — e raccontato nel cult di Martin Scorsese — il titolo di campione del mondo dei pesi medi ce l’ha; poi, nel 1951 lo cede a Ray Sugar Robinson e, da quel momento… gli manca (Raging Bull, M. Scorsese, 1980).

Ma cos’hanno in comune i personaggi di questi film, classici del cinema di sempre, apparentemente così distanti fra loro?

Dalla telecinesi alla possibilità di andare avanti e indietro nel tempo; da un marito facoltoso a un importante titolo sportivo, passando per una slitta, che solo in apparenza è il rimpianto dell’infanzia perduta e che, a un’analisi più attenta, diventa apertamente il simbolo della principale trasformazione degli Stati Uniti: dall’età dei pionieri all’era delle banche. Danny, Doc, Kane, Sugar e Jack La Motta: ciascuno di questi personaggi, dunque, diventa portatore e portavoce di istanze differenti. Che però – è proprio il caso di dirlo! – in ciascun caso ci sono o… mancano!

Nel mondo del cinema, dunque, la dicotomia possesso – mancanza coinvolge immancabilmente l’arco di trasformazione di un personaggio e si determina, a sua volta, con la rottura di un equilibrio iniziale. In parole povere, si concretizza proprio nel passaggio da uno stato in cui ce l’ho a uno stato in cui mi manca.

Un esempio classico è quello di Ladri di biciclette (id., V. De Sica, 1948), icona del Neorealismo italiano, in cui il disoccupato Antonio trova lavoro come attacchino comunale. Per lavorare, però, deve possedere una bicicletta, che con grandi sforzi riesce a riscattare al Monte di Pietà. Ma proprio durante il primo giorno di lavoro, la bicicletta viene rubata. La donna che visse due volte (Vertigo, A. Hitchcock, 1958), entrato nella storia come classico del genere thriller, prende invece le mosse dal suicidio di Madeleine, moglie di un ex compagno di scuola dell’investigatore John “Scottie” Ferguson, incaricato di sorvegliarla. Mentre The Tree of Life (id., T. Malick, 2011), una riflessione ontologica sul senso della vita, prende il via dal lutto che colpisce una famiglia texana composta dal padre (la Natura), la madre (la Grazia) e i tre figli. Uno dei quali, appunto, scompare prematuramente.

Dal lavoro ai sentimenti, dalla soluzione di un caso ad attente riflessioni esistenziali. La dicotomia ce l’ho, mi manca è rintracciabile con chiarezza fra le trame semplici e complesse del cinema. Da sempre. E acquista, a volte, forme che col tempo diventano sempre più frequenti e codificate. Come ad esempio, nel caso della categoria dell’intelligenza.

Perché, indubbiamente c’è chi ce l’ha

Come il matematico John Nash: quando, diciannovenne e talentuoso, viene ammesso all’Università di Princeton dove si distingue come studente brillante e quando poi, accolto al prestigioso Massachusetts Institute of Technology in piena Guerra Fredda, si occupa della decodifica di codici segreti. Ma anche quando, nonostante la schizofrenia paranoide, manterrà la consueta lucidità intellettuale (A Beautiful Mind, R. Howard, 2001). E come Maximilian Cohen, matematico eccentrico, costantemente affetto da emicranie e che, ossessionato dal trovare connessioni numeriche con la realtà quotidiana, scopre un numero correlato con l’andamento delle borse e con l’essenza della vita (π, D. Aronofsky,1998).

… E c’è a chi, invece, l’intelligenza… manca.

Come nel caso dell’archivista militare Joe Bauers e della prostituta Rita che, scelti per un esperimento di ibernazione asciutta, vengono svegliati dal loro letargo cinquecento anni dopo, in un’epoca in cui il quoziente intellettivo medio si è drasticamente abbassato. E in cui il problema principale dell’umanità consiste nella carestia. Perché i campi di coltivazione non vengono più irrigati con acqua ma con l’energy-drink “Brawndo” (Idiocracy, M. Judge, 2006). E come nel caso di Forrest Gump, palesemente affetto da una lieve forma di ritardo mentale. Che però non gli impedirà di laurearsi, di diventare prima campione di ping-pong e poi miliardario con la pesca di gamberi, di scatenare lo scandalo Watergate e di incontrare ben tre presidenti degli Stati Uniti (Forrest Gump, R. Zemeckis, 1994).

E anche nel mondo seriale, c’è chi l’intelligenza ce l’ha e c’è a chi, invece, manca. Stewie Griffin, per esempio, costruisce armi di distruzione di massa finalizzate al controllo del pianeta (Family Guy, S. MacFarlane, 1999 – In corso) e il fisico teorico Sheldon Cooper, dotato di un Q.I. di 187 punti, disserta immancabilmente sulla teoria delle stringhe (The Big Bang Theory, C Lorre, B. Prady, 2007 – In corso).

E poi ci sono anche personaggi, come Homer Simpson (The Simpsons, M. Groening, 1978 – In corso) e Peter Griffin (Family Guy, S. MacFarlane, 1999 – In corso) che rappresentano la quintessenza della semplicità. E a cui l’intelligenza, è proprio il caso di dirlo, simpaticamente manca.

Ma la dialettica ce l’ho, mi manca coinvolge anche il mondo dei supereroi, dei superpoteri e dei supergruppi, metafora di una realtà di diversità ed emarginazione, che trova riscatto in un mondo magicamente mutato.

Peter Parker aka Spider-Man, ad esempio, è un ragazzo timido ed emaciato, oggetto di bullismo da parte dei compagni del liceo. E che, accidentalmente investito dalle radiazioni, acquisisce forza e agilità, la capacità di aderire alle pareti e un sesto senso che gli permette di percepire minacce esterne (Spider-Man, S. Raimi, 2002). Mentre gli X-Men sono un gruppo di supereroi formato da cinque adolescenti, modificati geneticamente in seguito a una mutazione e dotati di straordinarie capacità, come leggere nel pensiero e volare. E, proprio per questo, disprezzati ed emarginati da chi vede in loro un potenziale pericolo per la sopravvivenza umana (X-Men, B. Singer, 2000).

E, infine, c’è il caso di “Towlie”, l’antieroe per antonomasia (South Park, T. Parker, M. Stone, 1997 – In corso). Smart Towel RG-400 — questo il nome “tecnico” — è un asciugamano parlante, modificato geneticamente e irrimediabilmente dipendente da marijuana, metanfetamina, crack, e spray per computer. Ma quando il governo statunitense sequestra a Stan, Kyle, Cartman e Kenny la console  Okama Gamesphere e i ragazzi si infiltreranno in un laboratorio segreto per recuperarla, sarà proprio “Towlie” a salvare loro la vita. Assumendo le sembianze del supereroe dopo un’impensabile, quanto agognata canna.

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