Coronavirus: malati di pubblicità

Di corsi sulla comunicazione dell’emergenza ne abbiamo visti tanti, anche prima del COVID-19. Il problema è che molte aziende non sapevano esattamente cosa volesse dire “emergenza”. Perché nessuno lo aveva davvero vissuto, un periodo come questo. Spostare eventi, riunioni, restituire un senso alle parole “task force” e “attività necessaria”, accettare di buon grado che ciò […]

Di corsi sulla comunicazione dell’emergenza ne abbiamo visti tanti, anche prima del COVID-19. Il problema è che molte aziende non sapevano esattamente cosa volesse dire “emergenza”. Perché nessuno lo aveva davvero vissuto, un periodo come questo. Spostare eventi, riunioni, restituire un senso alle parole “task force” e “attività necessaria”, accettare di buon grado che ciò che chiamavamo urgente era, nella maggior parte dei casi, a malapena importante, ci mette di fronte a una nuova comunicazione.

Concetti e parole nuove, ma anche attitudini differenti. FiordiRisorse non è nuova a certi ragionamenti. Ho iniziato a frequentare i primi eventi nel 2012, e già si parlava di questi temi. Ricordo perfettamente che a Pesaro, con Sebastiano Zanolli, parlammo già dell’importanza di avere un Piano B e di come “avere alternative è la misura della dignità”. Non mi sorprende che le analisi di questo numero di Senza Filtro vengano da lontano, siano lucide e misurate nel tempo. Non sono il frutto di considerazioni fatte in poche ore, ma provengono da incontri, momenti informali, discussioni, conversazioni su LinkedIn, ore di MUSTer e di buone letture tra amici. Tante delle cose che ho imparato in quegli incontri le ho messe in pratica nella community de La Content Academy, un luogo virtuale in cui cerchiamo di alzare l’asticella della produzione di contenuti.

Sono particolarmente entusiasta che questo reportage sia stato affidato a professionisti della nostra Community. È da tempo che ci confrontiamo sulla pubblicità ai tempi della crisi, su come ripensare le attività culturali, su come sia ancora più fondamentale ricercare la bellezza e la cultura, sul valore della reputazione. Non c’è spazio, né ce ne sarà per un po’, per la pubblicità fine a se stessa, che ostenta il prodotto alla ricerca del profitto per la marca: il pubblico si aspetta dai brand messaggi autentici, e ancor di più coerenza nell’azione, nei fatti. Se ci saranno, sarà disposto a continuare a sostenere la marca, a scoprirla o riscoprirla; se invece si sentirà ingannato da comunicazioni azzardate per convenienza commerciale, per apparire più belli o più integri di fronte all’emergenza, facilmente, da domani non sarà più disposto a concedere la sua fiducia.

Adesso la priorità è capire cos’è davvero l’emergenza, il significato profondo, e poi – caso mai – la lezione o le lezioni che possiamo trarne. E chissà che il suo significato più profondo non sia proprio quello di far “emergere” qualcosa di nuovo, di migliore.

 

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Foto di copertina: Kai Oberhäuser on Unsplash

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