Alta moda toscana sempre meno italiana

Esiste una linea di collegamento che unisce uno straordinario Paese, simbolo di altissima ingegneria civile e maestria manuale. Costata quasi 300 miliardi di lire; costruita in otto anni; consegnata tre mesi prima della data stabilita; e che ancora oggi esprime un sentimento di grande orgoglio per chi l’ha realizzata. Se state pensando a qualche nazione […]

Esiste una linea di collegamento che unisce uno straordinario Paese, simbolo di altissima ingegneria civile e maestria manuale. Costata quasi 300 miliardi di lire; costruita in otto anni; consegnata tre mesi prima della data stabilita; e che ancora oggi esprime un sentimento di grande orgoglio per chi l’ha realizzata.

Se state pensando a qualche nazione straniera, sbagliate. Questo asse, quest’arteria pulsante, è l’Autostrada del Sole, e il Paese in cui sì è compiuta questa straordinaria opera è l’Italia. L’A1 ha segnato la svolta dell’Italia da Paese contadino a una delle maggiori potenze industriali del mondo.

Sembra quasi un déjà vu: nonostante oggi il mondo intero vada verso la quarta rivoluzione industriale, la necessità di un rilancio economico sembra essere la stessa di allora.

 

L’invasione di capitali stranieri in Toscana

Il Global Competitiveness Report 2018 realizzato dal World Economic Forum indica puntualmente le azioni necessarie per una crescita economica stabile e duratura nell’Industria 4.0, e mostra come la forza delle istituzioni rappresenti un driver fondamentale per condurre i Paesi a un utilizzo sempre più consapevole delle nuove tecnologie, la cui implementazione è diventata un imperativo. Nel rapporto vengono quindi favorite politiche di globalizzazione, piuttosto che di proibizionismo, come unica possibilità per evitare il rischio di un incolmabile divario tra gli Stati che si sono già adeguati e quelli che invece stentano a rimanere al passo.

In termini di crescita economica e competitività, l’Italia, su scala mondiale, si posiziona al 31° posto, mentre è al 17° in Europa. Sebbene il PIL sia aumentato dell’1,5% dalla crisi del 2008, rimane il Paese che sta crescendo di meno. Affascinante come nel rapporto venga suggerito all’Italia quali siano i passi da intraprendere per sbloccare il suo potenziale, e come ci venga esplicitamente chiesto un maggior coraggio nei giusti investimenti e nella capacità di avere “a more positive risk-taking attitude”, ovvero un atteggiamento di assunzione dei rischi più positivo.

Classifica Livello di Competitività Globale 4.0, anno 2018

 

C’è da chiedersi che cosa ne pensi a riguardo uno degli imprenditori francesi più ricchi al mondo, che nel 2001 mise addirittura a rischio la sua azienda nella lotta d’acquisto per uno dei marchi italiani più blasonati, Fendi. L’imprenditore è Bernard Arnault. Un anno prima la multinazionale francese LVMH (Louis Vuitton Moet Hennessy), anch’essa di sua proprietà, aveva acquistato i diritti sul logo e la produzione del brand toscano Pucci, rilanciandolo a livello internazionale. Gucci, fondata da Guccio Gucci nel 1921 a Firenze, oggi appartiene al gruppo Kering con sede a Parigi, controllato da François-Henri Pinault, il maggior competitor di Arnault. Si può immaginare quindi tra chi fosse, all’epoca, la contesa per l’acquisizione della sopracitata casa di moda romana.

È ormai in possesso del fondo Qatar Mayhoola un colosso come Valentino. Solo quattro anni fa, inoltre, la Cina di Shenzhen Marisfrolg si è aggiudicata Krizia. In termini di politica industriale, quando i marchi italiani passano sotto il controllo di altri Paesi anche le decisioni strategiche diventano del proprietario. Il controllo non è più italiano: l’unica cosa che rimane in Italia è la produzione. Certamente, perché il tanto agognato Made in Italy equivale a qualità, ricercatezza nei dettagli e sapienza nella produzione artigianale; i compratori esteri lo sanno, lo vogliono e sono disposti a pagare molto per questo.

 

La Toscana, Firenze e l’artigianato dell’alta moda

CNA Toscana analizza in quest’ottica il Sistema Moda di Firenze. Gli ultimi dati rivelano un sistema sempre più contoterzista (al 64% vs il 17% di produzione in conto proprio). L’analisi comprende 533 imprese artigiane manifatturiere, rappresentative delle 4.761 attive nel settore Firenze e provincia. Si parla di alta moda: pelletteria (62%), abbigliamento (24%), calzaturiero (8%). Le griffe che beneficiano della produzione toscana sono soprattutto Gucci (57%), Dolce e Gabbana (13%), seguite da Ferragamo, YSL, Bottega Veneta, Fendi e Prada (6% ognuna). La domanda non manca, anzi.

A livello nazionale il primo semestre del 2018 ci consegna però una debole crescita, rispetto al 2017, delle esportazioni della Toscana (+2,3%), se confrontata con le altre regioni aperte al commercio internazionale: Lombardia (+6,1%), Emilia-Romagna (+5,9%) e Veneto (+3,3%). Il problema nasce nel momento in cui vengono a mancare i cosiddetti “talenti del futuro” e la capacità da parte delle aziende di adottare le nuove tecnologie. Basti pensare a quanto sia basso l’utilizzo dell’e-commerce (7% del campione). Sconcerta poi come i social media (utilizzati dal 20% degli intervistati) vengano relegati a una nicchia, in un sistema in cui la competitività interna e internazionale si gioca proprio su questi canali.

 

Sicuramente si ha bisogno di nuovi artigiani, giovani talenti che vogliano apprendere l’arte della lavorazione del pellame e proseguire un mestiere tanto nobile quanto raro. Manca però la presa di coscienza delle aziende sui temi dell’innovazione, come attestano anche i dati del CNA. TV, fiere e pubblicità sui quotidiani stanno perdendo progressivamente la loro influenza sui consumatori: è in rete che si trovano le persone, i potenziali clienti, ed è lì che si può entrare in contatto con loro. Il marketing digitale e il social media marketing sono il fulcro dell’attività strategica di un’azienda. La rivoluzione portata da internet è solo all’inizio.

La tecnologia in sé non è la soluzione, bensì abilita le soluzioni. Canali come Facebook o Instagram sono disponibili in modalità freemium (senza pagamento) e tutti vi hanno accesso, ma non è detto che si abbiano le capacità di utilizzarli al meglio per il proprio business. Una campagna di marketing, per avere successo, deve essere guidata da esperti del settore digitale, a loro agio con le nuove tecnologie, che sappiano studiare le abitudini delle persone attraverso l’analisi di quantità enormi di dati e statistiche. Individuare la strategia giusta, il modo corretto in cui parlare al consumatore, dove trovarlo, come creare un legame con lui: nulla è lasciato al caso, come insegnano le maggiori griffe del settore.

Quando un’azienda straniera vende i prodotti realizzati in Toscana a compratori esteri, e lo fa sotto il suo brand, la parte preponderante degli utili rimane nelle mani di quell’azienda. Tanto ci siamo fatti sfuggire. Non ci possiamo permettere di perdere altre occasioni, perché qui, in casa nostra, vivono ancora grandi realtà della moda toscana di proprietà italiana, come Patrizia Pepe, Ferragamo ed Enrico Coveri, la cui Maison ha compiuto 45 anni nel 2018 – solo per citarne alcuni.

 

Lusso e alta moda, due eccellenze italiane da salvare

Quindi relegare la Toscana esclusivamente a polo di produzione artigianale, seppur di alta moda, limiterebbe di gran lunga le potenzialità imprenditoriali di una regione ricca di intelletto e professionisti, alcuni dei quali si formano presso eccellenti istituti, come il Polimoda di Firenze fondato nel 1986. Marco Crisci insegna lì, e ogni giorno ne coltiva i talenti. Marco ha deciso di credere nella creazione di professionisti del settore di alta moda, grazie alla sua nota e pluriennale esperienza nel settore Luxury and Fashion. Ha uno spirito brillante e altruista, e durante la nostra intervista mi parla con professionalità della meraviglia del suo lavoro e dell’importante formazione che il Polimoda consegna ai ragazzi.

In particolare, mi racconta con passione della luce che vede negli occhi dei suoi studenti: “I ragazzi di oggi sono svegli e pronti, hanno le idee chiare e vogliono mettersi alla prova in un settore che amano. Nostro compito è rispondere alle loro domande e formarli al meglio”. La sua opinione in merito alla situazione toscana conferma come le potenzialità del territorio siano davvero innumerevoli, ma come ci sia bisogno di una coscienza maggiore nel creare relazione tra le imprese, di una reale capacità di instaurare e coltivare network professionali generando un business efficace.

Una mancanza di grandi poli aggregatori italiani del lusso a livello imprenditoriale, quindi, ha consentito le acquisizioni dei grandi marchi all’estero. Non ci sono stati il coraggio né la lungimiranza che avrebbero permesso il giusto sviluppo economico, come indicano per altro le analisi sulla competitività commerciale.

L’investimento da incentivare è quello sui talenti che vengono educati e cullati nel fiorentino, facendo il modo che non vedano l’unica possibilità di realizzarsi oltre i confini del Paese – spesso a favore dei nostri diretti competitor. L’occasione che si ha adesso è quella di riconoscere i nostri imprenditori e imprenditrici nei professionisti che sono ancora qui, consentendo loro di entrare nella gestione strategica delle imprese italiane per generare ricchezza utile al territorio. Nella speranza che un’etica del lavoro e una dignità reale diano il giusto riconoscimento alla maestria di artigiani d’eccellenza, riconoscendo valore alla loro arte unica e desiderata in tutto il mondo: il Made in Italy.

 

Photo credit by https://www.beautydea.it/foto-video-sfilata-gucci-autunno-inverno-2016-2017/

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