Amaro Lucano. Cosa vuoi di più dall’impresa?

“L’amaro è una parola tutta italiana, ed è un qualcosa, come genere di prodotto, indiscutibilmente legato alla nostra nazione”. Francesco Vena, AD di Amaro Lucano, introduce così l’inclinazione familiare nei confronti della bevanda, auspicando che fra gli addetti ai lavori si faccia davvero qualcosa per proteggere questo vocabolo, nella doppia veste di tutela per la […]

L’amaro è una parola tutta italiana, ed è un qualcosa, come genere di prodotto, indiscutibilmente legato alla nostra nazione”. Francesco Vena, AD di Amaro Lucano, introduce così l’inclinazione familiare nei confronti della bevanda, auspicando che fra gli addetti ai lavori si faccia davvero qualcosa per proteggere questo vocabolo, nella doppia veste di tutela per la produzione in Italia e di riconoscimento in America riguardo l’invenzione e l’ampliamento dei modi di consumo. Già, uno sforzo in più a salvaguardia di un bene prezioso, come fosse un limone IGP o comunque uno dei nostri tanti generi alimentari tipici proprio perché connesso alla storia, alla cultura e alla tradizione liquoristica del Belpaese.

Ma che cosa significa per Francesco l’amaro? È un oggetto che fin dall’infanzia crea, come per incanto, un affetto e un impegno personalissimo con l’azienda. E quindi con la famiglia, siccome tale dinastia e tale impresa disegnano in Basilicata una relazione indissolubile da ben quattro discendenze.

 

L’AD Francesco Vena racconta la nascita dell’Amaro Lucano

“La prima generazione è segnata dal fondatore Pasquale, che alla fine dell’Ottocento, in un piccolo borgo della provincia di Matera, svolge l’attività di pasticcere. La parte avvincente è che sono in tutto otto fratelli, cinque dei quali si trasferiscono negli Stati Uniti per cercare fortuna perché, all’epoca, la regione viveva una situazione estremamente problematica”. Pasquale, per l’appunto, rimanelucano”; fa apprendistato presso un importante laboratorio di arte bianca come Scaturchio a Napoli, intercettando in quel territorio una serie di erbe officinali (che saranno alla base dell’Amaro Lucano) e sperimentandole poi, evidentemente, nel retrobottega. “In quel periodo si usava fare le bagne o corredare con i rosoli i vari dolci”. A quei tempi la tecnica della pasticceria e dell’erboristica erano strettamente imparentate.

“Ci tengo a dire che noi siamo nati come biscottificio a Pisticci. Poi l’arguzia di Pasquale fu quella di trasformare un mix di 36 erbe differenti in un nettare sorprendente”. Da allora il segreto è sempre stato custodito con grande responsabilità, e “grazie a mio nonno Leonardo, diventato pure Cavaliere del Lavoro, e suo fratello Giuseppe, la produzione liquoristica non solo prende piede localmente, ma si allarga a livello nazionale”.

Siamo nel secondo dopoguerra, anni Sessanta. L’Italia è nel pieno del suo boom economico. Nello scalo di Pisticci si assiste alla realizzazione del primo plugging industriale, per poi arrivare agli anni Ottanta “a fare il grande salto sotto la gestione dei miei genitori, con la pubblicità e il suo inseparabile tormentone ‘Cosa vuoi di più dalla vita?’”. È un attimo e si finisce ai giorni nostri, dove l’Amaro Lucano è praticamente esportato in tutto il mondo; un brand che ha saputo mantenere il suo spirito fondato sul rispetto della passione di famiglia e della terra in cui è nato. “La ricetta vincente, mantenendoci il più modesti possibile – e perciò incrociando le dita e toccando ferro – è data dal fatto che gli stessi lucani, i primi ambasciatori universali, hanno garantito l’autenticità del prodotto nel corso degli anni, rendendolo al tempo stesso oggetto di una felice rappresentazione e rappresentatività”.

 

Le prospettive di un successo senza orpelli

Si dice spesso che i lucani sono accoglienti, educati, e che non si lasciano andare a grossi trionfalismi, o quantomeno che in loro non si palesano comportamenti megalomani. Confermo: trovo nelle parole di Francesco un’obiettività non trascurabile, frutto anche di un annus mirabilis per i suoi luoghi natii. “Siamo sostanzialmente umili e consapevoli delle nostre potenzialità, anche perché, nello specifico, stiamo cercando di portare avanti un nuovo progetto che vede coinvolta la realizzazione di una filiera di erbe officinali e dove l’Amaro Lucano svolgerebbe il ruolo di capofila di un gruppo di agricoltori under 40”.

Non c’è dubbio, si sente e si respira questo loro modo di non prendersi troppo sul serio, perché ovviamente “una bottiglia di amaro, per carità, non dovrà sicuramente salvare il mondo ma, grazie a quell’espressione che ci contraddistingue, desideriamo celebrare una forma di stare insieme serena e scanzonata”.

Eh sì, non è la festa che fa il Lucano, bensì il Lucano che fa la festa. E probabilmente, anzi molto probabilmente, il tutto diviene più semplice da raccontare con l’ausilio di un’etichetta singolare, in cui viene riprodotta la “Pacchiana” (in campano, la contadina), con in mano un cesto di erbe, “che si deve sottoporre a vari trattamenti sul viso per risultare sempre bella nonostante gli oltre 125 anni che si porta addosso”. Qui la donna diviene improvvisamente protagonista; quella donna del sud che ricalca il modello di una società basata sulla forza e sul carattere di una figura che fa crescere i figli e che si dedica all’attività rurale. “Mi lasci ancora dire che, quando noi cerchiamo un nuovo accordo commerciale in altri Paesi per diffondere il prodotto, ci affidiamo moltissimo alle comunità dei lucani sparse per il mondo, come testimonia quella particolarmente forte in Canada”.

Chiedo se esistono altri dieci amari che possono rientrare nel gradimento dell’affabile amministratore delegato. La risposta è una miscela di astuzia e simpatia: “Scriva dieci volte Amaro Lucano, e così siamo a posto”. Me la sono cercata; ma sono contento di aver incontrato un entusiasmo del genere, perché c’è ancora tanta voglia di crescere nel variegato universo della mixologia contemporanea, ma anche diffondere il prodotto in circostanze più “bizzarre”, come il suo utilizzo nella rivitalizzazione dell’impasto e del lievito madre in una pizza speciale. Per esempio quella appositamente dedicata a Matera Capitale della Cultura 2019 in occasione della ventottesima edizione del Campionato Mondiale della Pizza.

Ci aspettano presto altre sorprese dall’Amaro Lucano. Altri progetti importanti e innovativi, sempre con l’ottica precisa della famiglia Vena di trasformare i beni in patrimonio d’impresa.

 

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