Aurora, cent’anni in punta di pennino

Per Aurora Penne è un 2019 da cerchiare: cento anni all’insegna del Made in Italy – o del “made in Piedmont”, se preferite – portato sulle scrivanie di ogni parte del mondo. Cento anni durante i quali ne sono passati di fiumi di inchiostro sotto i ponti, e nei quali la manifattura torinese ha superato […]

Per Aurora Penne è un 2019 da cerchiare: cento anni all’insegna del Made in Italy – o del “made in Piedmont”, se preferite – portato sulle scrivanie di ogni parte del mondo. Cento anni durante i quali ne sono passati di fiumi di inchiostro sotto i ponti, e nei quali la manifattura torinese ha superato tanti momenti difficili: una Guerra Mondiale (che si è portata via la prima storica fabbrica, a due passi da Porta Palazzo) e più di una crisi. L’ultima delle quali la più difficile, cioè quella della tecnologia. No, non legata al tormentone “i robot ci portano via il lavoro”, perché oggi come cent’anni fa le penne sono prodotte in gran parte a mano; la crisi del cosiddetto 4.0, dei computer, dei social e dei touchscreen. L’epoca in cui ai bambini viene messo in mano prima uno smartphone e poi una penna.

 

La sfida della scrittura nell’era digitale

Come ha fatto Aurora a sopravvivere in quest’epoca digitale? La risposta prova a darla Cesare Verona, attuale presidente e amministratore delegato, nonché artefice della svolta che ha permesso ad Aurora di arrivare a questo traguardo: “Molti avevano pronosticato la fine delle penne già all’apparire dei primi computer. Io mi sono dato una spiegazione, ma non so se è quella giusta. Penso che anche nell’era della digitalizzazione ci sia un forte desiderio di trovare uno spazio proprio, personale. È un po’ come gli orologi: oggi possiamo leggere l’ora sul telefono, sul cruscotto dell’auto e anche sulla lavatrice, eppure la gente continua ad amare e comprare gli orologi, anche quelli estremamente costosi. In quest’epoca di omologazione, le persone hanno piacere di avere qualcosa di differente e grazie a una penna sono piacevolmente accompagnati. Un aspetto, questo, che ho potuto constatare di persona portando avanti il mio hobby del collezionismo, una passione che mi ha fatto apprezzare gli oggetti ed educato al bello. E che mi ha anche dato un vantaggio competitivo, permettendo di capire come dare la svolta al nostro prodotto”.

La sopravvivenza e la svolta per Aurora si concretizzano con un deciso cambio di passo. Segnato proprio dall’insediamento, nel 2010, dell’ultimo rappresentante dei Verona al timone del complesso all’Abbadia di Stura, sito che, nella cintura nord di Torino, oltre alla fabbrica ospita anche l’Officina della Scrittura, il primo museo al mondo dedicato al segno nelle sue varie declinazioni. “Mio padre era tra coloro che pensavano che la digitalizzazione ci avrebbe abbattuti. Io avevo una visione differente. Negli ultimi cinque anni abbiamo messo mano al brand, all’azienda, al lavoro in fabbrica. Ci siamo posizionati in un modo diverso e con un concetto diverso, dimostrando che era possibile continuare a portare avanti e rafforzare la tradizione del marchio”.

 

Una fase di lavorazione delle penne: il taglio capillare del Pennino

La penna, da strumento per scrivere a oggetto di lusso

Cambia l’idea stessa del prodotto. Da fedele compagna di milioni di studenti italiani a strumento di design, oggetto di lusso e pezzo da collezione. Le radici restano piantate saldamente a Torino e in Piemonte, ma l’azienda dirige la punta del pennino verso i mercati esteri: il Giappone, la Cina, l’Arabia Saudita; Paesi in cui si guarda sempre con ammirazione ai prodotti di casa nostra, ma anche in cui la tradizione della calligrafia non è stata ingurgitata dalla modernità, senza per questo dimenticare i Paesi europei e gli Stati Uniti. E i numeri finiscono per premiare la rivoluzione: +67% di penne stilografiche vendute nel solo ultimo anno, fatturato raddoppiato in un lustro. Ma soprattutto alla voce “export” viene scritto un bel 70%, oltre due terzi delle vendite totali. Numeri vicini a quelli delle storiche aziende italiane operanti nel comparto del lusso.

Il traguardo dei cent’anni può essere tagliato a braccia alzate. “Paura di non arrivare al centenario? No”, continua Verona, “però c’è voluta tanta forza di volontà per mettere a punto la svolta. Ogni tanto ho pensato alle vicende della mitica Carrozzeria Bertone. Dopo la morte di Nuccio Bertone, la moglie si era ripromessa di aiutare l’azienda ad arrivare ai cent’anni, ma dopo aver festeggiato l’obiettivo è giunto inesorabile il fallimento. Il loro era il canto del cigno. La nostra volontà non era quella di sopravvivere ma di riprenderci, andare oltre, rinnovarci, consolidarci sul mercato italiano e proiettarci su quelli esteri. Ora possiamo dire di essere molto orgogliosi di aver superato questi primi cent’anni, che non consideriamo un punto di arrivo ma un nuovo punto di partenza”.

Aurora si stacca con decisione dalla storia scritta da Bertone e da tante altre conosciute aziende dei dintorni. Soprattutto quelle legate all’indotto dell’automobile, inghiottite una dopo l’altra dalle scelte di mamma Fiat di spostare parte della produzione oltre confine. O come l’Olivetti, dirigendo l’ago della bussola un po’ più a nord del capoluogo.

In una zona – quella del torinese – dove la perdita di occupazione diventa sempre più accentuata, si assiste invece a un’inversione di tendenza. “Le penne vengono costruite interamente nella nostra fabbrica. A partire dai pennini, che in Italia realizziamo solo noi. Abbiamo dovuto raddoppiare il numero di artigiani in grado di farlo, trasmettendo loro una sapienza antica. Ci siamo quindi trovati ad avere bisogno di personale da formare, e non è stato così facile”.

 

La penna dedicata a Leonardo da Vinci

I secondi cent’anni di Aurora Penne

Da questo 2019, l’azienda è pronta a lanciarsi nei suoi “secondi” cento anni. Con un occhio al futuro, senza tralasciare quella digitalizzazione che poteva decretarne la fine, ma con i piedi ben piantati nella tradizione e nel terreno da cui un secolo fa è spuntato il primo germoglio. “C’è molto di questa terra in Aurora. C’è la storia produttiva di Torino, ma anche la tradizione della meccanica fine piemontese. In più c’è tutta la parte del design, che contribuisce al concetto di bello, che agli italiani riesce particolarmente bene. Siamo molto orgogliosi delle nostre radici, e anche del fatto di non aver mai voluto delocalizzare la produzione. In passato abbiamo ricevuto numerose offerte, ma abbiamo resistito, e alla fine la scelta di puntare sul Made in Italy, ma anche sul made in Turin e in Piedmont, ci ha premiati. Ci ha premiati pure la voglia di continuare a puntare sulla nostra manodopera, quella stessa che aveva reso Aurora un’azienda eccellente. C’è stato un momento in cui il pensiero non era del tutto positivo; per questo abbiamo dovuto ricostruire il senso della storia, ridare orgoglio alle persone che lavorano con noi. Oggi questo orgoglio si percepisce di nuovo, così come il senso di appartenenza e il piacere di lavorare in fabbrica, in un clima ideale, in una squadra bella e unita”.

Vinta per ora la battaglia contro il 4.0, anche per la penna potrebbe essere arrivato il momento del cambio di passo. O forse solo di un cambio di concezione, abbandonando l’idea del semplice strumento di scrittura. E in questo, proprio alle soglie del 2020, per Aurora potrebbe scattare l’ora del 2.0. “Nel nostro caso, preferiamo parlare di oggetto, di accessorio – conclude Cesare Verona – o anche di gioiello, considerato il fatto che abbiamo da poco aperto una boutique monomarca a Roma, in via del Babuino, proprio nella zona dello shopping del lusso internazionale. Un’apertura che è seguita a quelle dei negozi in Iran, Messico e Turchia. Questa del retail è un’altra delle sfide in cui ci siamo lanciati, e che stiamo provando a sviluppare e ad affiancare alla produzione. Per l’avvio di questi secondi cento anni abbiamo ancora tanti obiettivi da perseguire. Vogliamo consolidare le nostre posizioni sul mercato italiano, ma soprattutto accrescere ulteriormente in quello estero; puntare ad arrivare agli standard delle altre aziende del comparto lusso, che raggiungono l’88% di esportazioni. Vogliamo continuare a essere un biglietto da visita per l’Italia, come la Ferrari e la Vespa. Ma sempre all’insegna del made in Turin e in Piedmont”.

 

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