
Il sociologo Aldo Bonomi a SenzaFiltro: “Bisogna immaginare e sperare che il Recovery Fund venga usato per ripensare un welfare dal basso, di tessiture sociali e di nuova coesione”.
Era il 1982 quando il Ministro delle Finanze Nino Andreatta, democristiano, ricevette una lettera dell’allora presidente della Consob Guido Rossi. Nella riservatissima missiva il presidente della Commissione per il controllo delle Società e della Borsa rassegnava le dimissioni in modo irrevocabile. Oggetto del contendere: una dura polemica con il governatore di Bankitalia, Carlo Azeglio Ciampi, […]
Era il 1982 quando il Ministro delle Finanze Nino Andreatta, democristiano, ricevette una lettera dell’allora presidente della Consob Guido Rossi. Nella riservatissima missiva il presidente della Commissione per il controllo delle Società e della Borsa rassegnava le dimissioni in modo irrevocabile. Oggetto del contendere: una dura polemica con il governatore di Bankitalia, Carlo Azeglio Ciampi, a proposito del più grave crack finanziario del dopoguerra.
Si trattava del fallimento del Banco Ambrosiano, guidato da Roberto Calvi, invischiato con la loggia massonica P2 fondata da Licio Gelli. Il presidente della Consob, Guido Rossi, rimproverava a Bankitalia di non aver controllato a sufficienza lo stato di salute del Banco Ambrosiano, divenuto un crocevia di malaffare politico e istituzionale che aveva coinvolto anche lo Ior, la banca vaticana. Prima di lasciare la Consob il professor Guido Rossi quotò d’ufficio il Banco Ambrosiano, in modo da far emergere tutti i trucchi che si celavano nelle pieghe dei bilanci della banca, ma dopo quell’atto del presidente della Consob quell’episodio è finito nel dimenticatoio della storia.
Noi lo abbiamo ricordato; ma non per fare paragoni improponibili tra quanto avvenne allora e quello che sta accadendo in questi giorni a proposito delle polemiche scatenate da Matteo Salvini e Luigi di Maio sui mancati controlli di Bankitalia nei crack delle banche venete, ma per ricordare che non siamo di fronte a un inedito.
Banca d’Italia è stata spesso al centro di bufere economiche e politiche che talvolta celavano il desiderio di togliere all’Istituto di via Nazionale l’autonomia – come avvenne nel lontano 1979 con l’attacco di ambienti finanziari vicini a Giulio Andreotti alla Banca d’Italia guidata da Paolo Baffi e Mario Sarcinelli – ma altre volte portarono l’Istituto sul banco degli imputati. Come nel caso del governatore Antonio Fazio, che nel 2005 fu accusato dalla magistratura di aver favorito la Popolare di Lodi e per questo fu costretto a dimettersi.
Dunque il tema del controllo di Bankitalia sulle banche riemerge come un fantasma ogni volta che in Italia si verifica uno scandalo finanziario o societario. E dato che la storia economica e finanziaria del nostro Paese è piena di scandali, vale la pena fare una riflessione su quanto sta avvenendo. Senza pregiudizi.
In questa uscita di Controluce ne parliamo con un banchiere che preferisce l’anonimato, ma che conosce bene il sistema Italia, anche perché ha finanziato importanti operazioni industriali quando era ai vertici di un grosso Istituto bancario. “A onor del vero devo dire una prima cosa a proposito di Bankitalia: i disastri di sistema che si sono verificati nel corso della crisi finanziaria iniziata nel 2008 in Paesi come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Germania e la Francia, da noi hanno avuto un argine proprio grazie ai controlli di Bankitalia. Questo va detto senza remore. L’ubriacatura finanziaria che ha devastato altri Paesi con i subprime, i derivati e altri strumenti finanziari ad alto rischio, noi l’abbiamo evitata grazie alla politica di vigilanza della banca centrale. Certo: il nostro sistema bancario, che ha come missione principale il finanziamento delle imprese, a un certo punto è entrato in difficoltà a causa della crisi economica che ha fatto crescere le sofferenze bancarie, ma io ritengo anche in questo caso che sia difficile imputare questa situazione a Banca d’Italia”.
Non mi vorrà dire che non esiste il tema nei controlli di Bankitalia sulle altre banche? I risparmiatori italiani ne sanno qualcosa, di queste omissioni. “Certo che il problema esiste. Nel caso, assai clamoroso, delle banche venete, Veneto Banca e Popolare di Vicenza, è evidente che è venuto meno il controllo su episodi che io definirei delinquenziali. Reati che non si sono visti o che non si sono voluti vedere. Io spero che non li abbiano visti, ma se si è arrivati a fallimenti così clamorosi, con bilanci truccati e altri reati societari, io penso che i controlli siano mancati. E chi era addetto ai controlli non può sottrarsi alle sue responsabilità. È difficile sostenere che Banca d’Italia non fosse in grado di prevenire quello che è successo in quelle banche”.
Torniamo alla politica. Lei cosa ne pensa dei recenti interventi del governo a proposito di Bankitalia? I vicepresidenti del consiglio Matteo Salvini e Luigi di Maio hanno parlato di azzeramento dei vertici di Bankitalia, accusando l’Istituto di via Nazionale di aver omesso i controlli necessari. “Io farei una distinzione netta. Lo ripeto: se sono stati commessi dei reati, come nel caso delle banche venete, è bene che quei casi vengano puniti come tali, anche mettendo sotto accusa i mancati controlli. Altra cosa è il tema dell’indipendenza dei cosiddetti contropoteri. I signori che ci governano, così come alcuni esponenti di governi precedenti, sono convinti che sia necessario un potere assoluto della politica e che le autorità indipendenti come Banca d’Italia, Consob, Inps, sindacati, associazioni di categoria, giornali, Agicom, diano soltanto fastidio. C’è la recessione? Loro vorrebbero che si dicesse agli italiani che c’è il boom economico. Questa visione è molto pericolosa per la tenuta della democrazia. Ho sentito a questo proposito battute incresciose; a chi denunciava l’avanzata della crisi e della recessione un esponente del governo replicava: ‘Si faccia eleggere’. È assurdo, un’autorità indipendente ha il dovere di dire come stanno le cose, anche se disturba i governi”.
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