“Ma di questo film che gliene importa alla gente comune, semplice, che lavora; a un povero bracciante lucano, a un pastore abruzzese, a una modesta casalinga di Treviso, che gliene importa di queste tematiche intellettualistiche?”. Questo è il famoso dialogo del film Sogni D’Oro di Nanni Moretti, in cui il protagonista, un regista, viene ripetutamente […]
Basilicata: a volte ritornano
“Torna, è ora che assaggi molliche di pane, l’odore dei forni come te lo manderemo?”. Ascolto per la prima volta questo verso durante un convegno in cui si parla di terra come ricchezza e di cibo come cultura, e resto letteralmente incantata dalla struggente dolcezza che esprime. Affido queste parole a un post su Instagram […]
“Torna, è ora che assaggi molliche di pane, l’odore dei forni come te lo manderemo?”. Ascolto per la prima volta questo verso durante un convegno in cui si parla di terra come ricchezza e di cibo come cultura, e resto letteralmente incantata dalla struggente dolcezza che esprime. Affido queste parole a un post su Instagram in occasione di San Valentino (ché di amore si tratta) e poi le dedico a una persona cara. Ci penso, per giorni. Le ha usate Rocco Scotellaro, scrittore, poeta e politico lucano, in America scordarola per descrivere la situazione degli emigranti, il senso di nostalgia di chi parte e il dolore dell’assenza di chi resta (in una gara di sentimenti in cui si esce vinti in due).
Ascolto queste parole e il primo pensiero è che sto invecchiando. Il che è vero, ma per fortuna non è il tema di questo articolo. Allora penso ai sentimenti che si agitano quando si ha a che fare con le partenze e i saluti: il desiderio di fuggire e cercare altro, la necessità di crescere, l’impotenza di chi resta sulla banchina, la caparbietà di chi non vuole andare via. Sono tutte emozioni lecite e forti; tutte egualmente nobili, meritevoli di rispetto e comprensione. Scotellaro scrive una lettera a un amico emigrato in America, invitandolo a ritornare. Lo dice senza ricorrere al cosiddetto dolore lucano, che fa leva sulla malattia di un parente o sull’invecchiare dei genitori; senza alimentare il senso di colpa e il sentimento della malinconia; senza promettere un ritorno di lavoro o di riscatto sociale. Lo scrive, invece, facendo leva sullo strumento della memoria, la cosa più semplice: “l’odore dei forni”.
Restare o tornare in Basilicata
In queste ultime settimane mi è capitato di conoscere molte persone (non è una novità) della mia terra (è una novità) che hanno deciso di cambiare il corso della loro vita (un desiderio che abbiamo in molti e che realizziamo in pochi), scegliendo di tornare o venire a vivere qui, perché proprio qui hanno trovato il loro personale place called home. Ho ascoltato storie, pensieri. Mi sono sentita dire che ci vuole più coraggio a restare che a partire. Queste parole hanno avuto su di me lo stesso effetto di uno schiaffo in faccia. E mi sono chiesta: tornare, allora, com’è?
Negli ultimi cinque anni il Dipartimento Politiche Agricole e Forestali della Regione Basilicata ha lavorato a un importante progetto di rinnovamento del settore agricolo lucano, pur nel rispetto della tradizione, sostenendo e incoraggiando l’avviamento di imprese per giovani agricoltori per premiare progettualità innovative e il desiderio di rimanere a vivere e lavorare nella regione lucana. Sono nate così 540 nuove imprese under 40. Dal 2015 al 2018 il Pil dell’agricoltura e il tasso dell’occupazione under 35 nel settore sono aumentati del 27%. Il valore aggiunto è passato da 332 milioni di euro, nel 2013, a 542 milioni di euro nel 2018.
“Oggi ci vuole più coraggio a restare che a partire, ma ne vale la pena”, mi dice Donato Piliero, 29 anni compiuti da poco, titolare di un caseificio ad Accettura, paese dell’area montana del materano. “Non mi sentivo mai appagato, mai realmente felice dove stavo vivendo”, e così, terminati gli studi a Siena come tecnico della gestione aziendale, Donato decide di tornare a vivere nel suo paese. È felice e soddisfatto della scelta fatta: basta guardarlo per capirlo, vederlo sorridere mentre racconta la sua storia e l’amore per la famiglia e per la sua terra. Una grande passione per lo sport: Donato gioca con il Real Team Matera, squadra in serie B del campionato di calcio a cinque. Il sabato, quando la tensione è alta e scende in campo, la sua giornata è iniziata già da tempo, alle tre di notte, con il lavoro al caseificio per trasformare il latte. “Il lavoro è duro, difficile”, occorrono forza di volontà, impegno e sacrificio, ma Donato ci crede e vuole lottare per rimanere in questo piccolo comune dell’entroterra, ricoperto di boschi e pascoli. Vuole continuare a realizzare i suoi sogni: vedere crescere l’azienda e iniziare a produrre yogurt, “soprattutto con latte di capra”.
“Tra poco sarò nominato contadino custode dalla Regione Basilicata!”. Nel dirmelo, con gli occhi che brillano, non riesce a trattenere l’orgoglio Antonio Allegretti, 41 anni, agricoltore – e tartufaio per passione. Il riconoscimento di “agricoltore custode” è riservato a colui che coltiva, conserva e protegge antiche varietà di frutta, ortaggi o cereali. Ingrediente indispensabile: un forte amore nei confronti della natura. “La mia vita ha beneficiato molto di questa decisione in termini di tranquillità: adesso faccio qualcosa per me e anche qualcosa di buono per gli altri, perché produco solo bio. Essere a contatto con la natura, occuparmi di agricoltura, mi regala grandi gratificazioni”. Antonio ha cambiato vita: mollato il lavoro presso una multinazionale belga, per la quale ha vissuto in Repubblica Ceca, Belgio, Africa e Francia, oggi coltiva nel comune di Grottole (MT) il grano khorasan, antica varietà originaria dell’Anatolia e presente da sempre sul territorio lucano.
Lo stesso Comune è recentemente balzato agli onori della cronaca per un’iniziativa di Airbnb a supporto di Wonder Grottole, onlus locale impegnata in progetti di rigenerazione urbana, nell’ambito della partnership con la Fondazione Matera-Basilicata 2019. Si tratta di Italian Sabbatical: trovare quattro volontari provenienti da tutto il mondo pronti a trasferirsi in questo comune e sostenerne la rinascita diventando co-host di case Airbnb, per evitare che il centro storico (300 abitanti, oltre 600 case vuote) si trasformi in un borgo fantasma. I quattro selezionati diventeranno cittadini temporanei, immergendosi nella cultura locale, lavorando nell’orto e imparando ricette della tradizione da trasmettere poi, a loro volta, ai turisti che visiteranno il borgo. Alla sfida hanno risposto 280.000 candidati.
Un nuovo inizio a Matera, “cambiata dal giorno alla notte”
In questo momento Matera ha vocazione internazionale e si rivolge a diverse tipologie di viaggiatori, grazie all’ampia offerta turistica. I numeri crescono a doppia cifra di anno in anno. “Mi piace il Matera state of mind, che è anche un po’ slow life, nel bene e nel male. La gente trova sempre una soluzione ai problemi e i lucani sono un popolo che ha sempre saputo organizzarsi con quello che aveva”. Così hanno saputo darsi una vocazione turistica immediata quando, fino a ieri, cucivano salotti. Ne parla Mikaela Bandini, sudafricana di nascita, italiana d’adozione. Esperta di marketing – “mi occupo di mille cose!”, non ultima Areaotto, agenzia di comunicazione e produzione cinematografica di giorno, caffè e teatro di notte –, Mikaela è arrivata a Matera quasi trent’anni fa, per amore: “Scegliere di vivere qui è stato impegnativo, la città era estremamente chiusa e si sentiva davvero la lontananza dal resto del mondo. Adesso è cambiata dal giorno alla notte ed è un luogo dove sceglierei comunque di vivere, per tante ragioni: la qualità della vita, il clima, il cibo. Perché i ragazzi qui sono safe: i miei figli girano liberamente da quando avevano sette anni. E questo, per chi ha vissuto in una grande città, è un regalo prezioso”.
“È il posto giusto dove far crescere le mie figlie, per la natura, il clima, il biologico, per tante cose. Ma per me non è facile vivere qui tutti i giorni, devi fare tanti sacrifici, soprattutto se scegli di stare nei Sassi dove mancano ancora molti servizi”. Carla Giacalone è francese, ma con il nonno italiano. Il papà in casa non poteva parlare italiano per rispettare il processo di integrazione, che imponeva di imparare bene la lingua del Paese in cui si viveva e di andare bene a scuola. Ma l’amore per l’Italia Carla l’ha avuto lo stesso: inizia a studiare italiano e a 16 anni, zaino in spalla, a scoprire la “bella sconosciuta”. Con il Progetto Leonardo, che incentiva la mobilità dei lavoratori all’interno dei paesi della UE, ha l’opportunità di venire in Italia. Sceglie Roma o Firenze, e capita a Matera. Qui conosce Vincenzo (“aveva un lavoro, una casa e dei progetti”), e oggi gestiscono un B&B, Alla dolce vita, nel cuore dei Sassi: “Matera oggi è come la mia seconda casa, ma c’è ancora molto lavoro da fare, specie per noi nuovi residenti nel centro storico”.
In America scordarola il finale è drammatico: l’emigrante, lasciato il paese, non farà più rientro e non vedrà il figlio crescere: “Ma papà l’americano non scrive più”. Oggi, mutatis mutandis, queste storie fanno pensare a una fine diversa o forse, più semplicemente, a un nuovo inizio.
Foto di copertina di Francesco Giase
Leggi anche
Un’indagine dà forma alla Milano del futuro: come sarà il lavoro nel 2046? Ecco gli obiettivi da raggiungere e i rischi da evitare.
Tra le attività messe in ginocchio dal COVID-19 figurano le lezioni private: un’intera categoria di insegnanti vive di ripetizioni.