Bologna non va più di Moda

Nel corso del Novecento, il territorio di Bologna è stato la culla di piccole realtà artigiane e imprenditoriali a dimensione familiare, diventate negli anni parte integrante della storia della moda italiana e simbolo dell’eccellenza del Made in Italy: parliamo di Furla, Bruno Magli, La Perla, Mandarina Duck, Les Copains, che qui hanno iniziato il proprio […]

Nel corso del Novecento, il territorio di Bologna è stato la culla di piccole realtà artigiane e imprenditoriali a dimensione familiare, diventate negli anni parte integrante della storia della moda italiana e simbolo dell’eccellenza del Made in Italy: parliamo di Furla, Bruno Magli, La Perla, Mandarina Duck, Les Copains, che qui hanno iniziato il proprio percorso, ma anche di Borbonese, celeberrima griffe di borse, gioielli e accessori nata a Torino nel 1910, ma trasferitasi nella zona negli anni Settanta.

Le leggi del mercato globale degli anni Duemila hanno però influito sull’evoluzione di alcune di queste aziende storiche, portando a scelte strategiche che vanno dalla delocalizzazione di alcuni reparti fino all’acquisizione della proprietà da parte di fondi di investimento esteri. Come nel caso di Mandarina Duck e Bruno Magli, acquisite rispettivamente dalla multinazionale coreana E-Land nel 2011 e dalla società statunitense di private equity Marquee Brands, del gruppo Neuberger Berman, nel 2015.

 

Settore moda bolognese: chi va, chi resta

«Il territorio bolognese ha perso due brand storici, importanti, che avevano fatto la storia. Della pelletteria di design il primo, e della calzatura elegante il secondo», spiega Stefania Benigni, manager che da oltre vent’anni lavora nel settore come Direttore Prodotto e Merchandising. «Alla fine degli anni Novanta, ho avuto l’opportunità di iniziare proprio in Mandarina Duck il mio percorso professionale, prima di proseguire in Furla, Nike Europe e Nike Italia, Champions Europe, Piazza Italia e Terranova. In quel periodo, l’azienda era ancora nelle mani di Paolo Trento, uno dei due fondatori, che partecipava attivamente alla vita aziendale insieme alla moglie e alla figlia Sara. Negli anni a seguire, purtroppo, le sorti dell’azienda non sono state molto felici: nel 2008 è passata infatti agli Antichi Pellettieri della famiglia Burani, andando incontro a grossi problemi finanziari. Poi, però, nel 2011 Mandarina Duck è stata acquisita e risollevata da E-Land, gruppo coreano da 6,5 miliardi di dollari di fatturato. I dirigenti hanno scelto di trasferirsi a Milano, in via Tortona 27, per capire dal vivo la cultura locale e concentrarsi sull’analisi del consumatore in una città grande e metropolitana, avviando tutte le procedure di chiusura della sede storica di Cadriano».

Anche l’azienda di calzature Bruno Magli ha affrontato una serie di vicissitudini, passando di fondo in fondo prima di essere acquisita e, di fatto, salvata dal fallimento da Marquee Brands nel 2015. La sede sociale è stata così trasferita a New York, mentre nel 2017 la produzione e distribuzione delle scarpe sono state affidate in licenza all’azienda marchigiana Aldo Brué, di base a Monte San Pietrangeli (Fermo).

«In linea generale, la crescita di un gruppo e la gestione della compagine ereditaria spingono le famiglie fondatrici a vendere i propri brand a terzi, con i rischi connessi a una gestione dove l’imprenditore fondatore non è più presente: sulla carta si tratta di un elemento a favore della “libertà di gestionedel nuovo management, ma a volte può succedere che cambino i punti di forza e i valori che erano stati alla base della storia del brand negli anni».

Altro caso di acquisizione da parte di fondi esteri è quello del gruppo La Perla: nel febbraio 2018, la proprietà è stata ceduta dall’imprenditore Silvio Scaglia alla società di investimento olandese Sapinda Holding di Lars Windhorst; ma, a differenza di Mandarina Duck e Bruno Magli, la sede di produzione a Bologna è rimasta invariata. Tuttavia, come sottolineato dal Gazzettino, a causa della crisi dell’azienda alcuni laboratori esterni situati nel Polesine chiuderanno nel 2019.

 

Bologna, una moda più debole

Discorso diverso, invece, per i brand che continuano la loro storia radicati nel territorio bolognese, ma delocalizzando alcuni reparti per una scelta strategica di business e crescita aziendale.

«Lo sviluppo del sistema moda e della globalizzazione ha conferito ad altre città il ruolo di punto di riferimento per la creatività, la comunicazione e le pubbliche relazioni», continua Stefania Benigni. «Nel corso del tempo alcune aziende hanno aperto sedi di rappresentanza a Milano per dar modo ai propri uffici di P.R., comunicazione e stile di stare a contatto con la creatività e il mondo della moda. Borbonese credo sia stato tra i primi: tuttora ha l’Ufficio Stile e Marketing a Milano e la parte industriale e di sviluppo prodotto, insieme ad altri reparti, nella nuova sede di Ozzano dell’Emilia. Una gestione sicuramente complessa, ma che permette di ottimizzare le risorse e le competenze maturate dagli artigiani locali da una parte, con l’esposizione al mondo della moda di Milano dall’altra».

Anche Furla, brand in crescita costante e al secondo posto nella classifica delle Quotabili 2018 di Pambianco, ha optato per la doppia sede: una villa del 1700 restaurata alle porte di Bologna e un headquarter a Milano, inaugurato nel 2015 presso l’ex Palazzo Ricordi, in via Berchet 2.

La delocalizzazione non riguarda però solo i brand, ma anche la più importante rassegna internazionale dedicata alla pelle e agli accessori, Linea Pelle, che nel 2014 ha dato l’addio a Bologna, scegliendo Milano. Come dichiarò al Fatto Quotidiano Salvatore Mercogliano, amministratore delegato dell’epoca, i motivi dello spostamento sono da ricercarsi in una situazione economico-finanziaria in perdita, nei contrasti tra Lineapelle S.p.A. e BolognaFiere, e nei forti problemi dal punto di vista ricettivo e logistico.

«Questo è, dulcis in fundo, un ulteriore segnale di indebolimento del territorio bolognese nei confronti del settore moda: l’unica fiera di respiro internazionale che si teneva a Bologna da quasi trent’anni, attirando creativi e buyer da tutto il mondo per i settori pelletteria e calzature, è stata spostata», commenta Stefania Benigni. «Sicuramente, per chi viene dall’estero, volare e soggiornare a Milano è più agevole e permette inoltre di abbinare altri appuntamenti, ottimizzando così la trasferta. Tutti noi che lavoriamo nel sistema moda lottiamo sempre con il tempo a causa proprio delle numerose trasferte che il nostro lavoro ci richiede, e la logistica ha una sua valenza importante».

In questo panorama, però, altre aziende affermate nel settore continuano a scegliere il territorio di Bologna come unica sede centrale, sia per la produzione che per l’ufficio stile e marketing, e rivendicano una piena proprietà del marchio: come Macron, fondata nel 1971 e punto di riferimento per l’abbigliamento sportivo, che entro il 2020 aprirà un nuovo stabilimento a Valsamoggia, su un terreno di circa 55.000 metri quadri. O come Elisabetta Franchi, attiva dal 1998 e ritornata nel 2017 proprietaria al 100% del suo marchio Betty Blue srl, dopo aver riacquistato il 25% che era stato ceduto quattro anni prima al fondo Trilantic Capital Partners.

Intanto realtà come la Fondazione Fashion Research Index, ente no profit fondato nel 2015 dall’ex patron del gruppo La Perla, Alberto Masotti, guardano al futuro: l’obiettivo è quello di creare un ponte tra il passato scritto dai brand che hanno fatto la storia del Made in Italy e le giovani leve del territorio, chiamate necessariamente a confrontarsi con una modernità in continuo cambiamento.

 

 

foto di copertina By Fancycrave on unsplash

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