Calo dei fallimenti: Veneto davvero virtuoso?

Scrivere questo articolo è stato formativo. Tutto ha avuto inizio con una notizia circolata in redazione: Fallimenti aziendali, in Veneto mai così pochi dal 2011. La prima impressione, leggendo il titolo, è che nel Veneto si sia innestato un circolo virtuoso che ha consentito di superare la crisi: la diminuzione delle procedure fallimentari sarebbe quindi […]

Scrivere questo articolo è stato formativo.

Tutto ha avuto inizio con una notizia circolata in redazione: Fallimenti aziendali, in Veneto mai così pochi dal 2011.

La prima impressione, leggendo il titolo, è che nel Veneto si sia innestato un circolo virtuoso che ha consentito di superare la crisi: la diminuzione delle procedure fallimentari sarebbe quindi testimonianza di un qualcosa di positivo, di un trend, di una ripresa se non di una vera e propria “ricetta magica” del Nord Est.

 

Calo dei fallimenti: oltre la notizia

Il titolo, si sa, è fatto per attirare, giacché come ricorda il saggio (Bernard Shaw, per alcuni, Oscar Wilde per altri) “non c’è una seconda occasione per fare una buona prima impressione”. Quando però, poi, nell’affrontare l’articolo, quella iniziale sensazione di positiva sorpresa tende a svanire, resta un retrogusto un po’ amarognolo. Se poi si va oltre la lettura, il sapore cambia completamente; almeno se il lettore è curioso (per natura) e diffidente (per professione).

Con questi presupposti un motore di ricerca è molto utile: in pochi minuti la notizia assume un contorno decisamente differente; talmente differente da indurre a chiedersi se sussista per davverouna particolarità veneta nella decrescita delle insolvenze.

Il “forte” calo in questa regione, infatti, è dichiarato pari al 15%; in Val d’Aosta, però, è pari al -40%, in Molise -43, in Puglia -21, in Emilia Romagna -17 e in Umbria -16: tutte le altre regioni mostrano risultati peggiori di quelli del Veneto.

Almeno a livello numerico, dunque, il Veneto fa parte di un cluster di regioni virtuose: ma più che aprire il gruppo – almeno per l’arida matematica – lo chiude.

 

Risalire alle fonti

A questo punto mi imbatto (quando l’algoritmo ci mette lo zampino) in un altro titolo: Meno fallimenti in Italia nel 2017, ma il calo è dovuto soprattutto al Nord.

La cosa si complica, infatti, se mettiamo a confronto i primi sei mesi del 2018 con tutto il 2017: è davvero possibile individuare una particolarità in qualche regione? Oppure, se allarghi gradatamente la visione, i dati smettono di parlare?

Nel dubbio ho provato a ottenere qualche feedback dalla fonte, e quindi dal Cerved che, a mezzo del Marketing, Product and Business development Director Valerio Momoni mi ha riferito: “La fase di rientro dalla crisi riguarda tutta la Penisola, con poche eccezioni nel Centro-Sud. Si osserva negli ultimi mesi un calo dei fallimenti più marcato nel Veneto rispetto al resto d’Italia”.

Se i numeri dicono qualcosa, io devo continuare a fare qualche errore, perché la “singolaritàveneta non riesco a vederla.

Mi sono quindi spostato di lato, cioè sulle cause del fenomeno, scoprendo che “la crisi ha prodotto in Veneto un processo di ristrutturazione dell’economia, che ha spinto al di fuori dal mercato le aziende più fragili. Anche per effetto del credit crunch, le aziende sopravvissute hanno dovuto ricapitalizzare e rafforzarsi patrimonialmente; questo, insieme ai bassi tassi di interesse, ha reso i bilanci delle società venete più solidi, con indici di sostenibilità finanziaria eccellenti.”

La lettura in chiave ecologica è interessante (anche se Darwin la metterebbe termini di capacità di adattamento più che di forza o fragilità)  ma ancora una volta dovrebbe essere valida per ogni sopravvissuto, a prescindere dalla latitudine della sua sede.

Cambio ancora punto di osservazione, e chiedo: il calo dei fallimenti può esser dovuto anche al minor ricorso alle procedure di concordato (specie quello in bianco), considerato che spesso conducono/conducevano al fallimento? In ipotesi affermativa, infatti, il minor numero di fallimenti non sarebbe indice di una effettiva ripresa economica, ma solo una mascheramento delle reali condizioni economiche, nel senso che le imprese, proprio per evitare il fallimento, non usano lo strumento del concordato: “Oggi osserviamo una riduzione sia dei fallimenti che dei concordati, dal nostro punto di vista dovuti al miglioramento del clima economico degli ultimi anni e al rafforzamento dei fondamentali delle imprese. La possibilità di aprire un concordato in bianco aiuta a far emergere più precocemente situazioni di crisi, ma non crediamo che favorisca l’emersione di più fallimenti”.

Con l’aria più pulita, insomma, respiriamo meglio. Tutti, però.

 

Se ognuno trova quel che cerca

Cambio decisamente argomento per cercare un link (che magari non c’è, beninteso) tra due fenomeni forse solo apparentemente distanti, e chiedo se potrebbe esserci una relazione tra il calo dei fallimenti e il fatto che in Veneto sono state presentate molte meno istanze di voluntary disclosure rispetto ad altre regioni del Nord: questa sì una particolarità veneta, che forse meriterebbe una riflessione. Purtroppo, però, non ci sono “evidenze su questo fenomeno”.

Il sapore alla fine è rimasto quello che era. E anzi, per certi versi ne è risultato rafforzato, poiché c’è una grande, ineluttabile legge della comunicazione che obbliga l’essere umano a non poter non comunicare.

Il messaggio che dunque se ne ricava, certamente al di là delle intenzioni, è che “il Veneto è il Veneto”; ogni occasione deve essere sfruttata per confermare la bontà del modello, anche se magari non è del tutto propizia.

A questo punto diventa un discorso di strategia: il lettore poco curioso e con poco tempo potrà ottenere delle conferme al modello ideale o allo stereotipo (a prescindere dal fatto che sia positivo o negativo); quello curioso resterà deluso. Fintanto che il gruppo dei secondi resterà inferiore al primo non ci saranno problemi. Se non, forse, in termini di etica: il lettore dovrebbe attendersi una stampa di supporto o di documentazione?

La strategia infine perde di efficacia se a usarla è più di uno. Se infatti nel motore di ricerca cerchiamo “Calo dei fallimenti nella regione x” in un pannello, “Calo dei fallimenti nella regione y” in un altro, e così via, scopriamo simpaticamente che in diversi si auto-attribuiscono la palma della regione con meno fallimenti. Se ognuno mira unicamente a rafforzare il proprio consenso, la cosa può funzionare.

In questi termini, è (solo) la potenza del medium a fare la differenza, per dirla con McLuhan: il che si traduce in una guerra a conquistare più spazio e più seguito. Un gioco che conduce a una polarizzazione (per non dire radicalizzazione) agevolata dall’uso dei social e dal sempre minor tempo a disposizione del lettore.

Sento più di prima un gran bisogno di vero senso di responsabilità per quello che si fa: in questo come in molti altri settori. Un male assai comune. Una roba altamente impopolare.

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