Chi lo veste il cinema?

“Non dimenticarti, piccola, che a mezzanotte precisa l’incanto finirà, e tutto tornerà come era prima.” “Stanno tutti guardando voi”, dice Cenerentola rivolta al principe, mentre, tra lo stupore, fa ingresso nella grande sala da ballo. “Oh no, credetemi, stanno tutti guardando voi”, le fa eco il principe.  La favola delle favole, nell’ultima edizione Disney del […]

“Non dimenticarti, piccola, che a mezzanotte precisa l’incanto finirà, e tutto tornerà come era prima.”

“Stanno tutti guardando voi”, dice Cenerentola rivolta al principe, mentre, tra lo stupore, fa ingresso nella grande sala da ballo. “Oh no, credetemi, stanno tutti guardando voi”, le fa eco il principe. 

La favola delle favole, nell’ultima edizione Disney del 2015, regia di Kenneth Branagh, perde nell’edizione italiana il momento più atteso: lo stupore dell’ingresso, il suscitare la meraviglia degli occhi mentre ci si guarda a vicenda. Nel montaggio dell’edizione italica, infatti, l’attimo simbolico diventa un “siete voi?” dell’erede al trono a Cenerentola, che mira al cuore della giovane, ma estromette paradossalmente l’italianità nel film campione al botteghino. Italiani infatti sono gli abiti delle danze circolari che aprono alla scena principale, realizzati da una storica sartoria romana, Annamode. Più di 200 metri di stampe africane trasformate in corpini, gonne a balze, maniche a sbuffo, per un totale di venti abiti in stile Ottocento, secondo le richieste della costumista britannica Sandy Powell.

È, nella versione cinematografica, l’obiettivo immutato delle fiabe: suscitare lo stupore che sposti la mezzanotte più in là, il pendolo della favola che allontana l’abisso, scriverebbe Paulo Coelho. Vale per le grandi produzioni hollywoodiane, vale per le serie di Netflix e affini. Vale, tanto più, per chi da spettatore diventa Jack Sparrow per un giorno, Carnevale escluso. Così il viaggio nell’Italia delle sartorie del cinema è riproposizione reale di una tensione fantastica, sempre l’antidoto all’abisso, che abbraccia le due caratteristiche del Made in Italy: creatività e cura artigianale.

Abbiamo scelto di raccontare tre storie, dall’Italia da Oscar alla Matera set a cielo aperto, fino alla provincia “nerd” che sogna il mondo.

 

Formello, la Disneyland dei costumi: 200.000 abiti di scena

“Abbiamo a disposizione 3.000 quadrati con più di 200.000 abiti”, dice Simone Bessi, CEO di Annamode Costumes

Simone Bessi, CEO di Annamode Costumes

Il parco divertimenti dei costumi di scena è geolocalizzato nella zona industriale di Formello, lungo la spalla a Nord Ovest che termina nell’occhio del lago di Bracciano. In sostanza una Disneyland degli abiti, visitabile gratuitamente su appuntamento, poco raccomandabile ai fashion addicted deboli di cuore. 

Scarlett Johannson in Le seduttrici

Bessi ha preso in mano la sartoria fondata da nonna e zia poco più che ventenne, nel ’94: “Ricordo ancora la prima volta che mi sono trovato davanti Scarlett Johannson. Ero molto giovane e molto emozionato”. L’attrice americana, infatti, fu cinta degli abiti di Annamode nel film Le Seduttrici, anno 2004. 

Prima di allora, però, una storia collettiva e personale per Bessi e il cinema. Anno 1946, su le serrande della sartoria: i primi lavori arrivano con Luchino Visconti, poi la Loren di Matrimonio all’italiana, e Pasolini, Le streghe. Quindi gli Oscar, La Grande bellezza di Paolo Sorrentino, e la collaborazione a Grand Budapest Hotel di Wes Anderson, costumi dell’inarrivabile Milena Canonero, premiata per quattro volte dall’Academy. La storia personale è di chi si è nutrito di latte e celluloide: per il CEO, oltre a nonna e zia costumiste, il padre produttore, il nonno storico truccatore della Loren: “Continuare ad avere credibilità, però, è difficile. Il passato non basta”.

Abiti di scena, Fondazione Annamode

Così il futuro ha strade diverse. La prima è una Fondazione, attiva dal 2010, tra il Quartiere Prati e il Vaticano: “Un museo culturale della moda – spiega Simone – che però ha necessità di sostegno, visto che i tessuti sono per loro natura difficili da conservare”. In sostanza l’obiettivo è farne museo vivente, oltre i Fori e la Sistina. Il pasto misurato, a Roma, prima dei palati più curiosi destinati al “parco divertimenti” di Formello.

Poi c’è il web, con il portale eCostumes: “Un catalogo di 7.000 abiti h 24, divisi per epoche e stili”, ora in versione demo ma “in via di restyling definitivo entro la fine dell’anno”. Un “Amazon dei costumi per il cinema”, che si completa non con il pacco a casa, ma con la visita in laboratorio: “I costumisti cercano, controllano, e poi prendono un aereo e vengono a Roma”. Vale per Cinderella e vale per il costumista di Guillermo Del Toro, il regista de La forma dell’acqua.

Presente futuribile sono le serie, Neflix, Amazon Prime Video e Apple Tv: “Una boccata d’aria in un settore fermo da quindici anni”, spiega Bessi. “Le produzioni cinematografiche puntano sempre più al risparmio, scegliendo abiti di repertorio, riadattati in modo sartoriale. Per anni non si sono quasi più realizzati costumi ex novo. La tendenza si è invertita da un paio di anni, appunto con le serie”. È il caso di Luna Nera, produzione Netflix sulla stregoneria, sulla piattaforma dal 2020. La ripresa degli abiti ex novo è anche frutto dei tempi: “Abbiamo ripreso a realizzare costumi partendo da zero perché la fisicità è cambiata, e dobbiamo tenerne conto”.

La chiusura del cerchio guarda alla Mecca del cinema europeo, LondraBessi e altri fornitori, valigie in mano, hanno messo casa a Pinewood con il progetto “The Maestri”, un raggruppamento di sei aziende per intercettare nuove commesse. Una rete impensabile solo dieci anni fa: “Se dovessi pensare a mia nonna che collabora con altre sartorie direi che è impossibile. C’era molta gelosia allora”. Oggi, invece, “è un passo obbligato”.

 

Matera set a cielo aperto: “Tanti colossi, ma si lavora altrove”

Nel rapporto a tre, Roma, Londra, Hollywood, c’è un prima: la provincia italiana, dove tutto inizia, e spesso finisce. 

Paola Buttiglione, stilista, costumista

“Io dico sempre che andremo in giro con i disegni, più che con gli abiti. Oggi sono tutti stilisti, ma pochi conoscono l’arte sartoriale”. Paola Buttiglione, pugliese di Ginosa, ha messo casa e bottega a Matera con l’atelier Morris, dopo i vari passaggi sarta-stilista-costumista. Abiti su misura, nati su un pianoforte che ha pieghe, cuciture e spilli, più che tasti.

Stefano Fresi alias Mister Johnny

Il cinema, dopo alcuni film indipendenti, è arrivato con La befana vien di notte di Michele Soavi, attori Paola Cortellesi e Stefano Fresi. Della Buttiglione è il pigiamone di Mister Johnny, il fabbricante di giocattoli impersonato da Fresi: “È stato piuttosto complicato – spiega – realizzarne le versioni per adulto e bambino, rispettandone esattamente le proporzioni”. E poi gli abiti di scena di Beppe Fiorello alias Martino Piccione di Chi mi ha visto, commedia di Alessandro Pondi con Pierfrancesco Favino: “Mi dicono in continuazione che se abitassi a Roma lavorerei di più”.

Paola, invece, resta a Matera, spostandosi di volta in volta secondo le richieste dei set e le necessità. Il paradosso, racconta, è che le commesse minori vengano proprio dalla città in cui vive, oggi Capitale Europea della Cultura. Negli anni, da Pasolini a Mel Gisbon, Matera è diventata set a cielo aperto. È di questi giorni il termine delle riprese dell’ultimo episodio della saga di James Bond, No Time to die, con Daniel Craig. Diciotto minuti di film in Lucania per 800 maestranze materane coinvolte: “Arrivano con il pacchetto già pronto – prosegue Paola Buttiglione – e spesso non c’è spazio per i fornitori locali, per esempio per fare gli assistenti ai costumi”. 

Negli anni un passaggio da costumista di scena a stilista personale degli attori: così oggi Paola veste, su richiesta, Maria Grazia Cucinotta, già Giuletta Da Vinci, killer cinta di pelle rossa, con l’obiettivo di uccidere l’agente 007 – all’epoca Pierce Brosnan – in Il mondo non è abbastanza, anno 1999. “È sempre questione di studio sul personaggio, sia per un set o per un abito da cerimonia. Meglio un vestito insignificante addosso alla persona giusta, che un abito bello portato senza disinvoltura”.

 

Arezzo Cosplay: la provincia nerd che guarda al mondo 

Oltre la provincia da colossal, c’è quella dei nerd che guarda al mondo, e ha le uniformi del videogioco più noto, Assassin’s Creed, le movenze del pirata Jack Sparrow, le tutine dei supereroi Marvel, le citazioni di Star Wars “ogni tre per due”.

Valentina Matteoni, Stardust Atelier

“Se guardando Highlander ti viene voglia di imbracciare una spada e correre in un prato, allora il gioco di ruolo fa per te. Altrimenti, se ti identifichi talmente tanto in un personaggio da riprenderne movenze e personalità, allora puoi essere un cosplayer. In quest’ultimo caso c’è una tendenza più esibizionistica”. Valentina Matteoni, ciuffi di capelli secondo il rituale fantasy, è fondatrice dello Stardust Atelier. Nel suo ellittico accento toscano racconta di adunate oceaniche in stile medievale e mondi reali di “supereroi”, che la domenica dismettono lo zaino da manager notebook-borraccia-scomparto libro per vestire le tutine ultraderenti.

Cosplay realizzato da Stardust Atelier

Da Arezzo guarda alla Germania, ai 5.000 partecipanti dei giochi di ruolo, alla Norvegia, “materia scolastica”, e ai fan dei Comics. In tempi altri le avrebbero chiamate subculture, ma oggi sono parte del mainstream, e attualizzazione del cinema. In sostanza un passo in più per chi dallo schermo passa ai fatti.

“Lavorare ad Arezzo non è un limite – spiega Valentina – perché molte commesse arrivano dal web e dai social, a partire da Instagram. Poi c’è il Lucca Comics, in cui prendiamo ordini per tutto l’anno. Diciamo che siamo pesci grossi in uno stagno piccolo”.

Per lei un passato da costumista in documentari e cinema indipendente; poi assistente ai costumi per Diaz di Daniele Vicari, sui fatti di Genova; quindi l’incontro con il fantasy e la decisione di farne mestiere e rete: “Lavoriamo in tandem con una ditta di ricami, la Calicò, e collaboriamo con altri artigiani per gli accessori in pelle, cinture e stivali”.

Stardust Atelier, abito

Il business nuovo guarda all’altare: “Perché scegliere il solito abito bianco?” Così, ecco i matrimoni in stile vittoriano, a tema star wars e nelle varie declinazioni cosplay e cinematografiche.

L’obiettivo, ambizioso, è chiaro: “Diventare la Weta Workshop europea o italiana”. L’azienda in questione, neozelandese, deve il suo successo proprio ai costumi e agli effetti della Trilogia de Il signore degli anelli. Con o senza successo planetario, tra tutine blu elettrico e cappucci medievali, si attendono nuove dalle produzioni delle serie tv: “Siamo pronti”, chiude Valentina.

 

La filiera dei mestieri del cinema: l’Italia dietro una pellicola

A tenere insieme il variegato mondo degli artigiani della settima arte è la CNA Cinema e Audiovisivo, costola dell’organizzazione artigiana Cna. “L’idea è stata ed è quella di rappresentare tutta la filiera cinematografica”, spiega Sabina Russillo, referente nazionale dell’associazione di cui è presidente Gianluca Curti, patron della Minerva Pictures, storica società di produzione attiva dal 1953.

Dietro la geografia dei mestieri del cinema oltre 1.300 iscritti: “Siamo attivi – dice – in nove regioni (Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Lazio, Campania e Basilicata, N.d.R.), e nuovi presidi stanno nascendo in Puglia e Sardegna”. L’associazione è sintesi di rappresentanza sindacale: “Sediamo a tutti i tavoli di confronto con Mibac, Mise, Rai, broadcaster e abbiamo firmato prima della scorsa estate il CCNL cineaudiovisivo con le tre sigle sindacali confederali”.

Poi c’è la promozione con il Premio cinearti La Chioma di Berenice: “A novembre saremo all’edizione numero 21 di uno storico premio assegnato da CNA ai mestieri del cinema, che si apre da quest’anno anche ai titoli di testa”.

Nei costumi di scena, e nei mestieri che li realizzano, un patto implicito a base di incanto e disincanto. Il primo vive nelle due ore di un film, negli abiti di un personaggio, in un’adunata nei boschi per un gioco di ruolo o un fumetto che prende forma e forme. Il disincanto invece è nella mezzanotte che prima o poi arriverà, come puntualizza Cenerentola alla Fata Smemorina, che glielo ricorda: “Oh, sì, capisco. È molto di più di quanto osassi sperare”.

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