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Chiara Casarin: Canova le direbbe grazie
Chiara Casarin ci ha raccontato il dietro le quinte del suo lavoro di direttrice dei Musei Civici di Bassano del Grappa. La sua impronta è stata chiara fin da subito: portare il contemporaneo al museo partendo dalla storia delle collezioni in essere. Nel 2016 le viene assegnata la direzione dei Musei civici di Bassano, […]
Chiara Casarin ci ha raccontato il dietro le quinte del suo lavoro di direttrice dei Musei Civici di Bassano del Grappa. La sua impronta è stata chiara fin da subito: portare il contemporaneo al museo partendo dalla storia delle collezioni in essere.
Nel 2016 le viene assegnata la direzione dei Musei civici di Bassano, se la sente di fare un bilancio personale di questa attività? Qual è fino a oggi l’esperienza (la mostra, la collaborazione, il restauro) che le ha dato maggiori soddisfazioni e qual è la direzione verso cui vuole andare?
Me la sento, certamente, di fare un bilancio di questi ormai tre anni, che sono effettivamente volati. La mia è una formazione da storica dell’arte (ho lavorato per tanti anni in sovrintendenza prima di arrivare a Bassano), molto orientata verso l’arte contemporanea. Quindi la primissima sfida che ho voluto accogliere e intraprendere è stata quella di vedere se il contemporaneo poteva essere la chiave di accesso alle collezioni permanenti e storiche di un museo civico. Il punto su cui mi sono focalizzata è questo: se ci limitiamo a considerare i musei dei luoghi di conservazione, delle mete di visita, o comunque semplicemente di ammirazione del patrimonio, rischiamo di non valorizzarli a sufficienza. In questi tre anni ho imparato che se consideriamo i musei come fabbriche della cultura, ovvero luoghi in cui la cultura viene prodotta, non li intendiamo più come spazi di sola conservazione, posti che ci immaginiamo un po’ bui e polverosi, rivolti a pochi, ma li facciamo diventare dei poli di attrazione, degli hub importanti di promozione culturale e artistica. E questo avviene anche tramite il lavoro dei giovani artisti, o degli artisti contemporanei o comunque dei pensatori contemporanei: parlo di filosofi, curatori, galleristi e collezionisti, che vedono nel contemporaneo la chiave di accesso alla cultura del presente, ma anche del futuro. Ho voluto trasformare i Musei Civici di Bassano, un luogo meraviglioso con delle collezioni stupende e molto preziose (Jacopo da Ponte detto Jacopo Bassano, Antonio Canova, Albrecht Dürer, che adesso è in mostra), da un luogo in cui lo spettatore è passivo, e si innamora delle opere che vede, a un luogo in cui il visitatore è attivo, e partecipa, impara, insegna, mostra le sue cose. Questo ha funzionato, perché ci ha permesso di incrementare incredibilmente il numero dei visitatori e anche di tutte le persone che ruotano intorno al museo.
Sta per concludersi la VI Biennale di Incisione e Grafica Contemporanea. Che cosa le ha regalato questa esperienza? Sente di aver raggiunto il risultato di “fabbricare cultura”?
La Biennale c’è da circa dodici anni, non l’ho inventata io. Quello che ho aggiunto nel bando è stata la possibilità di partecipare anche con opere di grafica digitale e con un video, perché il video è l’evoluzione naturale della grafica, così come il cinema lo è stato della fotografia. Se dobbiamo tenere sempre un occhio aperto, una mano appoggiata sul presente e sull’arte contemporanea, una biennale di incisione doveva avere anche questo risvolto sul presente. Sono state premiate opere belle non solo esteticamente, ma che dimostrano la qualità tecnica degli artisti che hanno partecipato: dei professionisti dell’incisione sia con le tecniche antiche che con quelle moderne. La storia delle collezioni permanenti è sempre il nostro punto di partenza, dove mettere il piede, ma con uno sguardo lanciato oltre, più avanti possibile. Quando ho proposto il contemporaneo non avevo molto appoggio, perché le collezioni a Bassano sono storiche, arrivano ai primi del Novecento e temevo di rompere un vetro di Murano cercando di metterci dentro troppo. Invece la formula di stimolare gli artisti a produrre opere che abbiano a che vedere con le collezioni ha funzionato molto bene. Tra l’altro adesso ci siamo anche dedicati alla valorizzazione di Canova con le nuove tecnologie digitali, con una convenzione importantissima con Factum Foundation. A Bassano c’è il 99% dei disegni che Canova ha realizzato in tutta la sua vita, che non sono visibili se non quando si fanno le mostre (in parte) per pochi mesi. Grazie alle scansioni, e a particolari procedure complicatissime che mettono insieme arte, artigianato e sofisticazione digitale, è stato possibile renderli fruibili. Il contemporaneo è quindi anche nella strumentazione che si deve usare in un museo per valorizzarlo.
Chi sono i suoi collaboratori? Che cosa chiede e cerca in loro? Se la sente di raccontarmi un mestiere che pensa stia scomparendo, ma che invece è fondamentale per la conservazione dei beni culturali di ieri e di oggi, e invece un mestiere che sta nascendo oggi?
I Musei Civici Di Bassano sono parte integrante della vita della città, del comune di Bassano del Grappa, e tutti i miei collaboratori sono dipendenti comunali. Ho la fortuna di dire che sono persone entusiaste, energiche e allegre, e lavoriamo sempre molto bene insieme. Purtroppo stanno sparendo i conservatori, cioè quelle persone che si occupavano dell’allestimento e delle collezioni, quelli che hanno lavorato negli archivi per trent’anni e hanno una memoria storica, che per quanto tutto sia trascritto nei documenti nel server dei nostri pc non sarà mai la stessa cosa. Io ho imparato moltissimo da un signore che è andato in pensione il giorno stesso in cui prendevo servizio, a cui ho chiesto di continuare a venire in forma di volontario, e lui fortunatamente è venuto e continua a farlo. La sua memoria sulle opere e sulle collezioni, sui restauri e su come erano gli allestimenti negli anni o come si comportavano i direttori antecedenti a me è stata una forma grandissima di insegnamento. D’altro canto, invece, abbiamo incrementato, e l’ho voluto fortemente, la parte della comunicazione. Non esisteva infatti un ufficio dedicato, e nemmeno una banca dati di e-mail (c’era, ma era molto contenuta), anche per il semplice rapporto con i giornalisti o la scrittura dei comunicati stampa. Ho formato questo piccolo ufficio comunicazione che si occupa anche di grafica editoriale, grazie al quale abbiamo sviluppato anche una collana di piccole pubblicazioni. All’interno ci lavorano due persone del servizio civile e una assunta a tempo determinato che coordina gli altri.
Che tipo di formazione hanno?
Hanno tutti una formazione storico-artistica. Anche i ragazzi del servizio civile nazionale sono selezionati in base al cv dei loro studi, ma abbiamo valutato anche le loro passioni e predisposizioni con un occhio anche ad alcune particolari competenze (sebbene siano giovanissimi, quindi devono ancora imparare molto), come: grafica, uso pc, uso dei social. Pensi che ho dato loro il mio cellulare di servizio per tenere sempre monitorati i social, e da quando ci sono loro abbiamo avuto anche una buona soddisfazione su quel fronte. È impossibile oggi prescindere dal mondo della comunicazione, e i ragazzi sanno come muoversi meglio di noi.
Ci sono delle differenze nel suo lavoro qui in Italia e all’estero?
Sia in Italia che all’estero questo lavoro può essere fatto in molti modi diversi. Non entro nel merito dei contratti e delle caratteristiche dei contratti pubblici e privati, perché lì si aprirebbe un mondo che non è poi così interessante. La mia impressione è quella di non aver mai lavorato in vita mia, perché quello che faccio dalla mattina alla sera è quello che farei se fossi disoccupata, perché lo faccio con passione. Vado a vedere le mostre anche il sabato e la domenica; che questo poi coincida con il mio lavoro, be’, è una fortuna. L’ho detto anche a mia figlia: tu devi trovare da fare quello che faresti anche gratis e quello che ti tiene sveglia di notte, altrimenti non c’è altro modo di lavorare bene. Ovviamente questa è la mia predisposizione personale; altri colleghi, sia italiani che stranieri, lavorano in modo diverso, ma comunque con grandi risultati e con eccezionali competenze. Quello su cui ho fatto fatica, e credo sia un po’ una pecca italiana, è la creazione di reti con i musei delle zone limitrofe. Però ci sono riuscita lo stesso: probabilmente è accaduto per la mentalità tutta italiana di coltivare il proprio orticello e di non passare la zappa al contadino vicino, invece è una cosa alla quale io tengo molto.
Che mi dice di Venezia: ci sono dei rapporti di continuità? Il turista che va a Venezia si muove fino a Bassano?
Noi abbiamo puntato tantissimo sulla comunicazione su Venezia. La maggior parte dei manifesti 100×70 cm che stampiamo per ogni mostra o evento importante è anche in centro storico a Venezia, questo perché la mia visione del Museo di Bassano è quella dell’Escorial di Madrid, che viene comunicato come il museo della città; ci si rende conto solo dopo che per arrivarvi ci vuole un’ora e qualcosa di treno, esattamente come da Bassano a Venezia. Grazie anche a questo, negli ultimi anni i visitatori e il turismo sono aumentati molto – del 41%, rispetto al triennio della direzione precedente. E questo è il risultato di vari fattori: un po’ della comunicazione, un po’ della sollecitazione del turista di Venezia, e un po’ anche, e molto, della programmazione sul contemporaneo.
Parlando dei cittadini di Bassano, come è possibile portare le famiglie e i bambini al museo e farli appassionare all’arte?
Per la parte educational ho adottato un motto: “Passare dal far vedere al far fare”, e ho trasmesso poi questo pensiero ai miei collaboratori. Ciò vale per tutti i visitatori. Per tornare al Canova, ad esempio, adesso il visitatore può sfogliare i suoi album e provare un’emozione unica. Non sono mancate le mostre ad hoc per bambini, come quella di Nicoletta Costa dedicata ai più piccoli e alle famiglie, oppure le attività al museo di storia naturale.
Le industrie venete, così dedite al lavoro, lo sono altrettanto nell’investimento sull’arte e sul territorio?
Sono riuscita ad agganciare alcuni come sponsor, in forma di partnership per tutte le attività, anche perché purtroppo i finanziamenti statali negli ultimi anni hanno subito delle contrazioni inverosimili e i musei non ce la farebbero a far fronte a tutte le sfide che le ho raccontato prima. Ho quindi cercato intorno a Bassano le persone più sensibili all’arte e ho fidelizzato degli sponsor molto generosi. Non è sempre semplice, perché ci sono dei progetti che allettano di più e altri di meno; mi riferisco a quelli più complicati, di ricerca archivistica. Proprio ora mi trovo alla Fondazione Bonotto, che è dedicata totalmente all’arte, però fondazione e fabbrica sono tutt’uno, e la stessa produzione di tessuto è intrisa sia del rapporto con gli artisti sia delle opere d’arte dell’ambiente produttivo. Con loro abbiamo instaurato un rapporto di fiducia e di amicizia. Per fare un esempio, hanno realizzato le copertine per una serie limitata di volumi dedicati alla mostra di Dürer in organza di seta e jacquard che presentiamo il 28 luglio, e questo è proprio un regalo da parte loro alla città del museo e al piacere di stare insieme.
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