Chiusi in casa stiamo mangiando di più?

Quando ci saremo lasciati alle spalle l’emergenza, per raccontare come sono cambiate le nostre esistenze nella vita di tutti i giorni, probabilmente ragioneremo e baseremo gli avvenimenti della nostra esistenza con una netta divisione temporale: pre-COVID-19 e post-COVID-19. Un dato incontrovertibile degli ultimi anni sanciva la continua chiusura dei negozi di prossimità, che man mano […]

Quando ci saremo lasciati alle spalle l’emergenza, per raccontare come sono cambiate le nostre esistenze nella vita di tutti i giorni, probabilmente ragioneremo e baseremo gli avvenimenti della nostra esistenza con una netta divisione temporale: pre-COVID-19 e post-COVID-19.

Un dato incontrovertibile degli ultimi anni sanciva la continua chiusura dei negozi di prossimità, che man mano cominciavano a scomparire non solo dal nostro immaginario comune, ormai sempre più nostalgico e rivolto a un passato che sembra essere stato irrimediabilmente fagocitato nel presente e dalla logica degli ipermercati.

Le stesse catene della grande distribuzione organizzata, pensiamo alla multinazionale Carrefour, non potendo inserire in certi contesti di paese più piccoli e a misura d’uomo la formula iper, ha studiato da tempo nuove formule più petite, come i market, i 24 e gli express, che inevitabilmente hanno fatto ancora una volta concorrenza ai piccoli negozi di alimentari, che già soffrivano per la perdita di clientela nei confronti dei grandi. E non è finita: “Esselunga a febbraio di quest’anno ha in contemporanea lanciato il nuovo formato del SuperStore e ha anche lanciato la ESSE, il supermercato di prossimità con annessa ristorazione veloce e caffè, seguendo uno dei trend che arriva dai supermercati americani”, afferma Aldo Mario Gay, Country manager di Monster Energy per Italia, Malta e Albania.

Il trend è il negozio di prossimità: “Con meno tempo a disposizione per fare la spesa, si preferisce un punto vendita dalle dimensioni inferiori rispetto al normale supermercato, anche a causa dell’invecchiamento della popolazione: le persone anziane necessitano di poter fare più acquisti tutti i giorni e vicino a casa” afferma Gay.

 

La rivincita dei negozi di prossimità

Tutto questo prima del coronavirus.

Ora, in questi tempi di piena emergenza e di caccia al cibo, anche i piccoli esercizi commerciali stanno ritornando in auge, nonostante le grandi insegne della distribuzione si stiano organizzando – come detto – per aumentare ulteriormente la concorrenza nei loro confronti.

Le piccole attività di Paese, che fino a qualche tempo fa pensavano alla chiusura (o almeno una buona parte di esse), hanno visto risalire le loro performance di vendita e si sono anche attrezzate per le consegne a domicilio. Piccoli negozi di frutta e verdura e alimentari, nel pieno dell’emergenza COVID-19, sono letteralmente rinati. Ed è giusto così, sperando che anche in futuro conservino e valorizzino la normalità riconquistata. Per mantenere un’anima nel cuore dei nostri Paesi, adesso e soprattutto dopo, quando per ripartire occorrerà non solo un nuovo rinascimento, ma soprattutto un nuovo umanesimo.

Bettua Ax è titolare del negozio di alimentari, frutta e verdura “Machecavolo”, a Gallarate. Le chiediamo come sia cambiato il suo lavoro in questo periodo di emergenza: “Il lavoro è aumentato, ma non si lavora bene. Non ci sono molte persone che vengono in negozio, arrivano invece molte telefonate asettiche, non c’è possibilità di raccontare e far vedere il prodotto, manca il rapporto umano che è la politica che sta dietro al mio negozio. Ma in questo momento particolare arrivano anche telefonate emozionanti: una persona che dalla Svizzera ha offerto la spesa a una famiglia in difficoltà economiche, e molte persone che vivono in altre città che chiamano per far consegnare la spesa a domicilio ai loro cari”.

Sono aumentate considerevolmente le consegne, specialmente alle persone over 65. È semplice: prima del COVID-19 c’erano molti clienti in negozio e poche consegne, in questo periodo invece si verifica esattamente il contrario. Ma quando torneremo alla normalità ci auguriamo che i negozi di prossimità possano avere una funzione sociale e rappresentare un avamposto nel cuore della città, dove i rapporti umani tornino al centro delle nostre vite: “Occorre valorizzare e premiare i classici negozi di paese, che stanno soffrendo tantissimo, anche se nei supermercati si risparmia. Ma il piccolo negozio offre un servizio personalizzato alla clientela di nicchia, che la grande distribuzione non ha”, dichiara Ax.

 

Aumenta il giro d’affari dei supermercati, aumentano i prezzi di approvvigionamento

Nel pieno dell’emergenza e della corsa alla farina, al lievito di birra e alla pasta, i supermercati continuano comunque a far la parte del leone, vedendo aumentare i propri fatturati sia in negozio che nella vendita a domicilio, ma con qualche intoppo: “La spesa online durante l’emergenza sta esplodendo, evidenziando problemi strutturali da superare e su cui i retailer stanno lavorando, ma è assai probabile che a fine emergenza, quando non potremo essere tutti a casa, si presenteranno nuovamente”, afferma Aldo Mario Gay.

Secondo uno studio Nielsen che compara le vendite a valore per categoria nella settimana 9 del 2020 vs. la stessa settimana del 2019:

“A livello di format distributivi, la crescita è omogenea. Il trend maggiore si registra nei Discount (+17,8%), seguiti subito dagli Specialisti Drug (+17,5%). Anche i Supermercati crescono a doppia cifra (+14,6%), così come i Liberi Servizi (+10,8%). In lieve frenata gli Ipermercati, che registrano una performance positiva ma sotto-media (+7,1%), anche come conseguenza della chiusura di alcuni punti vendita nei centri commerciali. Per quanto riguarda l’eCommerce, il trend delle vendite di prodotti di largo consumo online da lunedì 24 febbraio a domenica 1 marzo è stato del +81,0%, in accelerazione di circa 30 punti percentuali rispetto alla settimana precedente. Si evidenziano aumenti a doppia cifra di alcune categorie quali riso (+61%), pasta (+56%), conserve rosse (+48,7%) e nel comparto degli ingredienti base (+48,2%) spicca la farina (+82%) ovvero 6.000 tonnellate in più rispetto alla stessa settimana dell’anno scorso.”

Nel momento di piena emergenza e con la chiusura delle attività anche l’approvvigionamento dei beni di prima necessità è divenuto più difficoltoso, e conseguentemente i prezzi finali sono aumentati. Secondo il Rapporto di ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agroalimentare) sulla domanda e l’offerta di prodotti alimentari, nelle prime settimane di diffusione del COVID-19 si evidenzia come per la filiera ortofrutticola le criticità si evincono dalla mancanza di lavoratori stranieri che hanno deciso di tornare nei loro Paesi d’origine, per la raccolta e la lavorazione degli ortaggi, e dai problemi di trasporto su gomma a causa dell’indisponibilità di alcuni vettori spagnoli a rifornire i mercati del Nord Italia, facendo registrare un aumento dei costi. Da qui le lamentele di alcuni clienti: “Mi chiamano per chiedermi il prezzo delle zucchine, per esempio. Dopo averlo comunicato, mi dicono che sono cara e che i prezzi sono aumentati. Ma sono aumentati anche a me i costi di approvvigionamento dei prodotti” afferma Bettua Ax.

 

Il crollo dei beni “di lusso”, l’aumento di quelli “necessari”. Stiamo mangiando di più?

E i beni non di prima necessità?

Per esempio, il comparto del lusso, secondo la banca d’affari americana Goldman Sachs, prevede un calo del 30% delle vendite del settore per l’intero 2020. Le aziende della moda hanno cercato inizialmente di continuare la loro attività di vendita attraverso i canali online, dopo la chiusura dei Dos; poi gli stessi marchi hanno dovuto rinunciare anche a quella possibilità.

Anche Amazon ha dovuto fermare le consegne di beni non di prima necessità sia in Italia che in Francia, rendendo così la divisione tra queste due tipologie di beni sempre più marcata ed evidente. E se si cerca di comprare online sui siti dei grandi marchi da LV, Dior, Saint Laurent, Versace, Dolce & Gabbana, i brand comunicano che, vista la situazione attuale, le consegne potranno subire ritardi, ma non costi aggiuntivi.

Il sociologo britannico Colin Campbell, in The Romantic Ethic and the Spirit of Modern Consumerism (1987), affermava: “Noi normalmente operiamo una distinzione fra beni necessari e beni di lusso; dai beni necessari traiamo le soddisfazioni, ma da quelli di lusso i piaceri”. Oggi questa affermazione ci fa pensare a come, nelle giornate di clausura forzata, dovremmo evincere che siamo soddisfatti per i beni primari, ma che stiamo soffocando i piaceri derivanti dai beni di lusso: in effetti, la cosa pare evidente. Per compensare la carenza di acquisti non di prima necessità, abbiamo aumentato il budget a favore dei beni di prima necessità? Stiamo quindi mangiando di più?

 

Aumenta la quantità, ma anche la qualità degli acquisti in cibo

Se pensiamo che nella sociologia dei consumi, secondo Peter Corrigan, “un mutamento molto importante nell’ambito del processo di civilizzazione dell’appetito è stato il trasferimento dell’attenzione del problema costituito dalla mera quantità del cibo a quello molto più delicato e complesso della sua qualità”, occorre interpretare come siano mutate, in tempo di COVID-19, le convinzioni sul cibo raggiunte dopo anni di civilizzazione.

Nel nostro Paese molti hanno cominciato a prepararsi il pane fatto in casa (da qui l’aumento della vendita della farina e del lievito) e a riscoprire l’arte della cucina. A dire il vero, visto il successo dei vari talent che gravitano intorno al food e agli chef, l’emergenza sembra aver semplicemente rinvigorito quel fuoco che covava già sotto la cenere. Indubbiamente la nostra cucina, ricca di spunti di ispirazione lungo tutto lo stivale e con peculiarità uniche, ha ispirato molte famiglie obbligate in casa a sfidarsi a preparare nuovi piatti, condividendo le emozioni – o semplicemente le ricette – via social.

Eppure, delle due varianti potrebbe farsene una: è aumentata la quantità del cibo che mangiamo, ma anche la qualità di ciò che prepariamo. “Secondo il mio punto di vista in un primo momento c’è stata la corsa alla quantità, con tutti ad affannarsi a fare scorte; adesso che abbiamo compreso che la situazione è grave, ma dal punto di vista alimentare le cose si trovano, stiamo puntando sulla qualità. Stiamo mangiando a casa, e per esempio la domenica è tornata a essere la domenica: si dedicano anche due o tre ore a preparare il cibo. Negli altri giorni, finito di lavorare, non essendoci piani alternativi, si possono impiegare anche due ore per sperimentare, per fare delle cose nuove. Non mangiamo di più, ma spendiamo di più in cibo di qualità, non avendo altre spese”, afferma Alberto Maestri, Consulente indipendente di Marketing e Customer Experience.

Ma adesso che abbiamo riconquistato i nostri spazi e siamo tornati padroni del nostro tempo, abituandoci a “coccolarci”, anche le aziende riusciranno a offrire un servizio non massificato ma più attento alle esigenze specifiche di ogni singolo cliente?

Alberto Maestri afferma: “Il tema è che dopo il coronavirus per le aziende tutto questo dovrà diventare la normalità. Quindi le aziende che hanno lavorato sulla massa, avendo un modello di business basato sull’economia di scala, falliranno. L’unica chiave di volta possibile sarà la customizzazione di massa, dove tutti avremo bisogno di una soluzione personalizzata, poiché non avremo più la possibilità né la volontà di andare in mezzo a tanti altri, a sentirci in mezzo a tante altre persone, anche solo a livello percettivo”.

Un nuovo umanesimo è già arrivato: meno persone dentro gli spazi e più spazio alle persone.

 

 

Foto di copertina by Kody Dahl on Unsplash

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