Come ti (r)innovo il brand

Nel mio biglietto da visita, sotto il mio nome, appare in bella vista la qualifica “community manager“, che oggi viene molte volte confusa pensando a persone buttate a capofitto nei social media alla ricerca di Like. Penso che la voce più giusta per spiegare meglio il lavoro di quelli che come me, si occupano di […]

Nel mio biglietto da visita, sotto il mio nome, appare in bella vista la qualificacommunity manager“, che oggi viene molte volte confusa pensando a persone buttate a capofitto nei social media alla ricerca di Like. Penso che la voce più giusta per spiegare meglio il lavoro di quelli che come me, si occupano di tessere relazioni sociali intorno un brand, possa essere “giardiniere delle esperienze”.

Il giardiniere deve seminare con cura ed attendere con pazienza la crescita di ogni piccola pianta. Per rendere bello il proprio giardino innaffia quotidianamente e rende il terriccio sempre fertile per far crescere rigogliose sia le piante vecchie che quelle nuove.

Non deve mai dimenticarsi di potare i rami secchi e estirpare le erbacce che potrebbero far soffocare ciò che aveva coltivato. I frutti e i fiori più belli verranno raccolti per addobbare banchetti ed eventi. Tutto questo lavoro verrà svolto con grande passione ed amore nel rispetto di ogni piccolo elemento del grande giardino.

Il concetto di “tribù” nel marketing

Pine II e Gilmore la chiamano “economia delle esperienze”. L’esempio concreto lo si può comprendere analizzando la grande community del wellness sviluppata attorno al brand TechnoGym. L’azienda in concreto vende attrezzi per palestre ma in effetti la proposizione di valore è l’esperienza è legata allo star bene dove, il prodotto è uno degli elementi che generano l’esperienza condivisa con gli appartenenti alla stessa tribù.

Il concetto di tribù l’ho usato da dodici anni, prima che lo leggessi nel libro di Bernard Cova che analizza in maniera ineccepibile questa mutazione sociale che vede un ritorno a valori di base come l’aggregazione umana in gruppi omogenei.

Lui lo chiama marketing tribale, definisce questo approccio come una strategia che crea e fortifica il sentimento comunitario dei consumatori. Un modo per connettere, formare e sviluppare comunitá intorno ad un Brand.

Dalla mia esperienza personale, sviluppata in Roland DG , azienda che produce periferiche per la digital fabrication destinate ad artigiani, scuole o Fablab , posso affermare senza ombra di dubbio che c’è un elemento chiave da tener conto se si vuole creare una community attorno un prodotto: lo scopo e il dono. L’aggregazione arriva in maniera quasi automatica. Vi spiego meglio. Sono entrato in azienda nel 2003 con lo scopo ben preciso di dare formazione a chi acquistava un nostro prodotto. Nel raggruppare settimanalmente venti “artigiani tecnologici” nella stessa aula e parlare di consigli, ottimizzazioni e tecnologie notavo che aiutandoli a superare lo scoglio iniziale iniziavano non vedersi come concorrenti, ma iniziavano a condividere le esperienze.

Era un peccato lasciare questa magia chiusa in un aula ed ho aperto uno spazio di condivisione sul nascente web 2.0 col nome “Forum degli Artigiani tecnologici”. Ho iniziato a “donare” idee, consigli tecnici, storie e sopratutto esperienze.

Il riscontro è attivato dopo poco tempo e la certezza che questo lavoro avrebbe portato un beneficio all’azienda lo confermano le storie come quella volta che durante un evento, ti si avvicina una persona, ti abbraccia e ti ringrazia perchè tramite la community ha avuto la spinta necessaria per uscire dalla crisi, riprendere l’attività e vincere sul mercato, questo non ha prezzo.

Cosa significa innovare attraverso il community management

Alcune incomprensioni con alcuni membri ti portano a scissioni molto dolorose. Di solito vedendosi in faccia, incontrandosi dal vivo, riusciamo a chiarire le problematiche ed arrivare a dei compromessi per il bene di tutta la community.

Nel sviluppare questo ruolo servono dei requisiti, quelli di essere un bravo giardiniere. L’ascolto, la coerenza, il mettersi in gioco in prima persona, cercare idee per condividerle, essere fonte di ispirazione, rispettare l’intelligenza di chi inizia, sapere cosa c’è oltre, e cosa molto importante: seguire una causa.

Nel nostro caso parliamo e diffondiamo la diversificazione come elemento unico per offrire valore al mercato.

Ogni community ha una causa da sostenere. La community di Barilla “Nel mulino che vorrei” ha aggregato tutti coloro che erano bambini negli anni ottanta e che vogliono vivere una esperienza di coinvolgimento con la marca consigliando qualsiasi cosa che, in base ai Like dei membri, diventa anche prodotto. Tra i tanti prodotti nati da questa community mi piace ricordare la App con le sorpresine dell’ovetto kinder.

Le community sono un punto di contatto umano tra il managment di una grande multinazionale e la signora Valeria. Prendo a prestito questo nome da una storia raccontata da Michele Ferrero, altro uomo ed altra grande community intorno al mito di Nutella e degli altri innovativi prodotti Ferrero.

Michele Ferrero diceva : “La Valeria è la mamma che fa la spesa, la nonna, la zia, è il consumatore che decide cosa si compra ogni giorno. È lei che decreta il successo di un’idea e di un prodotto. La Valeria è la padrona di tutto, l’amministratore delegato, colei che può decidere del tuo successo o della tua fine, quella che devi rispettare, che non devi mai tradire ma capire fino in fondo.”

Ci sono diversi aspetti che confermano che una community intorno ad un Brand porta tanta innovazione.

Il primo è quello di essere trovati. Nasce dall’informare, dal creare contenuti appetibili alla nicchia. Elementi per attrarre e far entrare nel circolo della conversazione chi sta proprio cercando quel tipo di informazione su quel prodotto o servizio specifico.

Il secondo step è quello di fornire supporto tecnico e assistenza e in questo modo, la qualitá delle risposte che vengono dagli stessi utenti porta a un aumento di reputazione del brand. Le conversazioni creano mini aggregazioni ed emergono idee e persone che vengono agganciate dal Brand per progetti che difficilmente sarebbero nate dal managment.

Bisogna stare attenti a non cadere nella trappola che le community siano solo “giochini” per il web. Uno dei problemi più gravi che porta alla morte delle community è quello di non incontrarsi dal vivo con i partecipanti . Bisogna entrare in relazione. Ogni partecipante devi accettarlo come tuo amico per creare qualcosa di costruttivo, altrimenti rimarrà un numero.

La community deve nascere dal cuore. Non si può pretendere di prendere una persona e dire: “da oggi fai il community manager”. Lo devi essere dentro. Devi credere in quello che fai in ogni tua fibra, in ogni momento della giornata. Non è un lavoro da cartellino. Se credi veramente in quello che fai e se hai a cuore le persone che possono migliorare con il tuo aiuto allora sei pronto per diventare un community manager ed entrare nella Connection economy.

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