Competenze e mestieri digitali, ha ancora senso parlare di novità?

Di recente è stato pubblicato il rapporto Excelsior Unioncamere, fotografia annuale del sistema occupazionale italiano relativa a 100mila aziende per il 2015. Tra le tante interessanti evidenze, hanno catturato l‘attenzione alcuni dati relativi alle cosiddette competenze e mestieri digitali, a quanto pare molto richieste dalle imprese nostrane: secondo l’analisi la “capacità di utilizzare internet per […]

Di recente è stato pubblicato il rapporto Excelsior Unioncamere, fotografia annuale del sistema occupazionale italiano relativa a 100mila aziende per il 2015.
Tra le tante interessanti evidenze, hanno catturato l‘attenzione alcuni dati relativi alle cosiddette competenze e mestieri digitali, a quanto pare molto richieste dalle imprese nostrane: secondo l’analisi la “capacità di utilizzare internet per aumentare gli affari dell’azienda” figura al secondo posto dopo la capacità comunicativa scritta e orale tra quelle più ambite, con percentuali ovviamente variabili a seconda del tipo di attività lavorativa.

Nell’ambito dei media e dei servizi alle imprese, così come nei servizi finanziari, avere dimestichezza con il web è ritenuto chiaramente prioritario rispetto, ad esempio, ad alcuni lavori del settore primario.
Allo stesso tempo però lo studio individua come di difficile reperimento proprio le cosiddette professioni tecniche o intellettuali-scientifiche, che prevedono il possesso di questo tipo di competenze. Se da un lato quindi nel 2015 le competenze digitali appaiono sempre più fondamentali, dall’altro pare non ci sia una risposta adeguata da parte del mercato.

Ma come diceva qualcuno, una, in questo caso più di una, domanda sorge spontanea: in un mondo che viaggia già da tempo alla velocità del web, non è tardi parlare solo ora dell’importanza di questo tipo di skills? Così come in un mondo in cui anche la più piccola delle aziende ha una propria strategia social ha senso parlare di “nuove” professioni digitali?
Abbiamo provato a rispondere a queste domande con Giulio Xhaet, co-fondatore di Made in Digital, azienda che si occupa di formazione e consulenza manageriale per gli aspetti digital e autore del libro “Le nuove professioni digitali”, Laura Marchini, corporate affairs manager di Carslberg, Renato Raffaeli, che si occupa di selezione del personale per il gruppo Loccioni.

La discrepanza tra richiesta e mercato conferma un effettivo ritardo del nostro Paese nello sviluppo delle competenze digitali. Secondo Xhaet è sicuramente tardi per evidenziare oggi il ruolo di queste skills ma “va fatto, anche perché non possiamo perdere il treno dell’innovazione”. L’esperto di comunicazione digitale sottolinea anche come “le aziende che investono in un capitale umano a forte competenza digitale sono quelle che non solo oggi si dimostrano leader nei loro settori di riferimento, ma riescono a muoversi anche in settori diversi: prendiamo Google o Amazon, che grazie alla loro capacità di utilizzo dei dati disponibili stanno diventando innovatori nel mondo della robotica o dell’automotive”.

Secondo Marchini, la principale difficoltà per un’azienda sta nel trovare figure al proprio interno che uniscano alle competenze anche una “buona conoscenza della realtà di riferimento”. Difficoltà che emerge “non tanto per la comunicazione legata al brand quanto per quella corporate”, cioè legata all’azienda.
Largo ai giovani quindi per le nuove figure professionali? Va sfatato un mito: la convinzione che l’importanza delle competenze digitali sia necessariamente un vantaggio per i giovani nel mercato del lavoro, equazione espressa da più di una analisi sul tema. “Il mito dei giovani digitali e smanettoni va in parte rivisto.

Innanzitutto essere multitasking e lavorare più velocemente può essere anche dannoso: bisogna capire quando accelerare e quando rallentare. Un’attività strategica va sviluppata con tempi giusti, senza precludersi la possibilità di approfondire, altrimenti si rischiano errori marchiani”. Per portare avanti strategie e attività poi “da soli i giovani non hanno tutte le competenze: la strada giusta è quella dell’integrazione tra risorse native digitali e i professionisti NAID, ossia Nativi Analogici Digitali Invecchiati, appartenenti alla Generazione X e ai baby boomers“.

Seppure con i suoi tempi anche l’Italia si sta portando avanti e, accanto alle competenze digitali, che sono trasversali e applicabili a differenti settori, stanno crescendo le cosiddette professioni del web.

Un esempio virtuoso quanto a presenza di professionisti del digital è il gruppo Loccioni, impresa impegnata nello sviluppo di sistemi automatici di misura e controllo, ma molto attenta alle dinamiche della comunicazione: “abbiamo un gruppo di sei risorse interne più un paio di collaboratori esterni impiegati nel digital. Si tratta di figure perlopiù giovani, che hanno da poco concluso master e corsi. Abbiamo dato vita a un vero e proprio identity lab, ossia un laboratorio che cura l’immagine e la comunicazione della nostra azienda, composta da figure come web content manager, web designer, social media manager. La comunicazione digital è presente in azienda da circa sei anni”, spiega Renato Raffaeli.

Quando si parla di professionisti del digital, ha ancora senso ancora anteporre l’aggettivo “nuovo” a questa espressione? Le risposte non sono state univoche. Per Xhaet “decisamente sì. Le professioni digitali sono tanto in fermento quanto in costante cambiamento. Ad esempio l’analisi è l’interpretazione dei dati sta assumendo una rilevanza predominante: nasce così la figura del data scientist. I data scientist, molto richiesti, si trovano con difficoltà”.

Per Laura Marchini “si può parlare di un aggiornamento, con l’introduzione di nuovi canali, ma non di novità assoluta”.
Per noi la risposta è: sì e no. Se è vero che il panorama digital si arricchisce anno dopo anno di nuove figure professionali, va anche detto che ormai già da qualche anno si sono consolidate figure concentrate solo ed esclusivamente sull’online.

Una cosa è certa: le ultime ricerche evidenziano una presa di coscienza della centralità di competenze e mestieri digitali. Forse, anzi molto probabilmente, non si può parlare di novità, ma quantomeno di un punto di partenza di una strada da continuare a percorrere con entusiasmo e apertura al cambiamento.

 

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