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Contratti a progetto, cronaca di una morte annunciata?
Muore, rinasce sotto altre forme, è un delitto solo paventato. Non stiamo parlando del protagonista di un film giallo oppure horror, ma delle mille congetture degli ultimi mesi legate a uno dei contratti più celebri e discussi: il contratto a progetto, formalmente noto come co.co.pro. Partorito dalla legge Biagi nel 2003 per favorire l’ingresso dei […]
Muore, rinasce sotto altre forme, è un delitto solo paventato.
Non stiamo parlando del protagonista di un film giallo oppure horror, ma delle mille congetture degli ultimi mesi legate a uno dei contratti più celebri e discussi: il contratto a progetto, formalmente noto come co.co.pro.
Partorito dalla legge Biagi nel 2003 per favorire l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro tramite forme contrattuali «flessibili», ha conosciuto un’esistenza travagliata che avrebbe dovuto rimanere anch’essa vittima della rottamazione renziana. Rottamazione che, rapportata al mondo del lavoro, ha assunto il nome di Jobs Act.
Il testo relativo al riordino delle tipologie contrattuali, attualmente all’esame delle commissioni competenti di Camera e Senato, parla del divieto di stipula di nuove collaborazioni a progetto per tutto il 2015. Restano invece valide quelle già in essere. A partire dal primo gennaio 2016, specifica l’articolo 47, «si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative, di contenuto ripetitivo, le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e ai luoghi di lavoro».
La novità principale, spiega l’avvocato del Foro di Torino Stefano Duchemino, che ci ha dato una mano a commentare le nuove disposizioni, «è il cambiamento di prospettiva di fondo. Mentre in origine queste collaborazioni non subordinate basate sul lavoro principalmente personale del prestatore e sulla continuità erano ufficiali forme di collaborazione che trovavano riscontro nell’art. 409 del codice di procedura civile, a partire dal 2016 si applicherà ad esse la subordinazione. Il legislatore, in poche parole, considera preventivamente impossibile che si instaurino collaborazioni durature e personali che non costituiscano anch’esse lavoro subordinato a tutti gli effetti. È un fenomeno, quindi, che diventa residuale e che da ora in avanti non si ritiene meritevole di una tutela giuridica a se stante, perché di fatto questa prestazione possiede nella maggior parte dei casi le caratteristiche della subordinazione».
Finalmente insomma pare ci si sia resi conto che troppo spesso in questi anni il lavoro dipendente è stato mascherato da contratto a progetto.
Il divieto di dare vita a nuovi co.co.pro. non si applica però a tutti i tipi di lavoro, ma ci sono delle eccezioni, tra cui «collaborazioni per le quali gli accordi collettivi stipulati dalle confederazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore o collaborazioni per le quali è necessaria l’iscrizione agli albi professionali. Stesso discorso per i dipendenti della Pubblica Amministrazione, in attesa del riordino della disciplina relativa al pubblico impiego.
Se la «morte» dei co.co.pro. sembra annunciata, seppur non per tutti i tipi di lavoro, non si può dire lo stesso per il contratto «cugino», il co.co.co. Un punto, questo, a cui invita a prestare attenzione Claudia Pratelli, dottoressa di ricerca in sociologia e membro del centro nazionale FLC CGIL: «lo schema di decreto oggi in discussione prevede di abrogare il co.co.pro., ma non il co.co.co. Rimane in piedi, quindi, proprio quella forma contrattuale che più si presta ad un utilizzo truffaldino e a un odioso sfruttamento. Lo schema di decreto prevede infatti che vengano trasformati in contratti subordinati a tempo indeterminato quei rapporti di collaborazione che si concretino in prestazioni di lavoro personali, continuative e di contenuto ripetitivo e con modalità organizzate dal committente rispetto ai tempi e luoghi di lavoro. Previsione condivisibile, peccato che già la normativa precedente (legge 92/2012) dichiarava illegittime e quindi da trasformare in lavoro subordinato quelle collaborazioni a progetto che prevedevano lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi, svolte con modalità analoghe a quelle dei lavoratori dipendenti dell’impresa committente. Non ha senso allora abolire il contratto a progetto se si lascia in piedi il suo gemello ancor più cattivo: la co.co.co.».
Ma quanti sono i soggetti effettivamente coinvolti e cosa cambia in concreto?
Secondo gli ultimi dati Inps, i collaboratori a progetto sono circa 502mila (2013), di cui tantissimi giovani, mentre le collaborazioni atipiche in senso lato raggiungono le 2.611.000 unità. Inoltre, sempre secondo l’Inps, sono altri 100mila circa i soggetti impiegati con co.co.co. o tipologie di collaborazioni assimilate (es.assegni di ricerca), che quindi non sono interessati dalla norma.
Secondo Duchemino «la stabilizzazione di questi contratti potrebbe riguardarli interamente, a meno che gli incentivi alle assunzioni a tempo indeterminato siano insufficienti come copertura finanziaria». Il rischio però è che non vada tutto come auspicato dal governo Renzi ma «potrebbero crearsi eventi distorsivi, ad esempio la creazione di ulteriori false partite IVA oltre alle 400mila già presenti. Nonostante la riforma Fornero avesse previsto meccanismi di tutela delle false partite IVA, per restringere il numero degli abusi, il contesto lavorativo in cui è inserito il giovane lavoratore non consente, nella maggior parte dei casi, di regolarizzare la sua posizione, perché una controversia con il datore di lavoro significherebbe rischiare di perdere il posto. Le nuove norme introducono un controllo molto stringente, perché le false partite IVA lavorano in effetti con prestazione eterodiretta dal datore di lavoro. Ma l’attuazione pratica delle disposizioni non sarà così pacifica», continua.
Il raggiungimento dell’obiettivo di una maggiore stabilizzazione del mercato del lavoro non è quindi così pacifico. E non sono solo le false partite IVA a essere un possibile problema: «il problema dell’imposizione fiscale sulle imprese spesso induce gli imprenditori a trovare forme di collaborazione che consentano risparmi contributivi e tributari. Sicuramente il combinato disposto delle regole sulle assunzioni agevolate a tempo indeterminato e di quelle relative alla qualificazione delle collaborazioni atipiche impatteranno fortemente sulla stabilità dei contratti, ma molto dipenderà anche dalle coperture finanziarie che saranno previste dopo il triennio di agevolazioni».
Secondo la Pratelli «ci sono diversi rischi. Primo che nulla cambi davvero per i contratti più precari, perché la narrazione governativa è molto distante dalla realtà. Abbiamo visto che il co.co.co. non viene affatto cancellato. Inoltre sopravvivono altre forme iperprecarie ottime candidate all’eliminazione ed altre ancora vengono implementate come lo staff leasing, cioè la somministrazione – ex interinale – a tempo indeterminato, cui vengono tolte le causali. Oltre a un aumento delle false partite IVA, che è un pericolo presente, si paventa anche lo scivolamento verso il lavoro con voucher, una forma di lavoro inizialmente ideata per far emergere dal sommerso i piccoli lavoretti, ma che adesso, con un tetto massimo di guadagni innalzato fino a 7000 euro, rischia di diventare un comodo escamotage per pagare a cottimo i lavoratori».
Insomma, non è tutto oro quel che luccica e sarà interessante vedere nei prossimi mesi se il contratto più famoso degli ultimi anni sarà scalzato dalla nuova «star», ossia il contratto a tutele crescenti, a favore di una maggiore stabilizzazione, o continuerà a esistere sotto numerose altre forme ancora vive e vegete e soprattutto pienamente legali.
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