Dal Festival di Sanremo al Coronavirus: l’informazione negata alle persone sorde

Qualcuno l’ha definita la Giovanna D’Arco dei sordi. Sara in effetti è intensa; prima ancora che nelle parole lo è nello sguardo e nei gesti. Non ci siamo incontrate. Lei vive a Palermo con il suo compagno, io sono a Bologna, e in mezzo a noi oltre a un migliaio di chilometri c’è un’Italia tinta […]

Qualcuno l’ha definita la Giovanna D’Arco dei sordi. Sara in effetti è intensa; prima ancora che nelle parole lo è nello sguardo e nei gesti. Non ci siamo incontrate. Lei vive a Palermo con il suo compagno, io sono a Bologna, e in mezzo a noi oltre a un migliaio di chilometri c’è un’Italia tinta di rosso dal coronavirus. Quando le ho chiesto come potevamo metterci in contatto lei mi ha suggerito di fare una videochiamata, e io ho accettato volentieri, anche se i miei capelli erano molto più disordinati dei suoi.

Sara Giada Gerini, fondatrice dell’associazione #FacciamociSentire, si batte da anni affinché le persone con disabilità uditiva possano vivere il loro quotidiano come tutti gli altri. Tempo fa ha lanciato un appello su Facebook,per chiedere una televisione più accessibile, “perché alla pagina 777 i sottotitoli non sempre sono in sincrono e le scritte non sono fedeli alla voce dell’interlocutore”. Quell’appello l’avevo visto anche io, e dato che a febbraio si è fatto un gran parlare della settantesima edizione di Sanremo, che è stata interpretata nella lingua dei segni, non potevo non chiederle un’opinione. Poi da Sanremo il discorso ha preso una piega molto più ampia, passando da tutte le difficoltà di accesso alle informazioni che ancora persistono nella quotidianità delle persone sorde, oggi aggravata anche dalla pandemia in corso.

È infatti del 18 marzo la lettera aperta alla Presidenza del Consiglio da parte della presidente di Anios (Associazione – interpreti LIS), Francesca Malaspina, che denuncia il fatto che “in questo periodo di grave emergenza l’informazione puntuale e precisa è un diritto di tutti i cittadini, ma la cittadinanza sorda è rimasta esclusa a causa della mancanza di traduzione in Lingua dei Segni italiana (Lis). Tutto ciò, tra l’altro, ha lasciato spazio a iniziative da parte di alcuni che si improvvisano interpreti sui social media. Tali iniziative, benché possano apparire meritevoli, non garantiscono la professionalità e l’accuratezza di una diffusione curata dai canali ufficiali”.

Questo testimonia che i vari appelli non hanno il seguito che meritano, e quando chiedo a Sara se a questo punto la presenza della Lis a Sanremo non sia stata soltanto un’operazione pubblicitaria, lei purtroppo conferma. “Quella della Lis a Sanremo è stata semplicemente un’operazione di marketing. Ma in realtà la Lis a Sanremo cosa ha tradotto? Le note musicali? Il testo di una canzone? No, non è possibile tradurre tutte le sfumature di una canzone, testo, musica, note. La Lis è la lingua della comunità sorda, ma non la lingua di tutte le persone sorde. Bisogna fare attenzione a questa piccola differenza”.

La sua teoria è supportata anche da fatto che su Facebook ci sono diverse comunità sorde e sostenitrici della Lis, e in quei gruppi diverse persone si lamentavano di non essere riuscite a comprendere le canzoni perché la figura presente era solo un performer, non un traduttore.

 

 

Sara, spiegami meglio.

Se una persona non conosce la situazione della sordità in generale, vedendo le immagini può pensare che sia stata una splendida iniziativa, ma in realtà si è pensato più allo spettacolo da palcoscenico che alla reale utilità della cosa. Io ho imparato la Lis a 20 anni, quando ho conosciuto per la prima volta le persone sorde segnanti, un mondo nuovo per me, e ho scoperto che la Lis ha una morfologia e una struttura grammaticale completamente diversa dal nostro italiano. In pratica viene tradotta per semplificare e agevolare la comunicazione, e ogni città, ogni paese ha la sua dialettica. Bisogna specificare che le comunità sorde non sempre si comprendono tra di loro, ognuno ha la sua configurazione, segno e parametro. Sarebbero bastati i sottotitoli, che invece, ancora non ci sono dappertutto.

Ed è una mancanza tutta italiana, perché sappiamo bene che all’estero funziona diversamente.

All’estero i sottotitoli sono ovunque e non parlo solo di produzioni televisive e cinematografiche: ci sono anche nei posti pubblici, nei pub, nei locali, nei teatri. Durante uno dei miei primi viaggi ne rimasi stupita, e quando ho chiesto come mai anche in un pub al posto dell’audio avevano messo i sottotitoli in PAC semplicemente mi hanno risposto che nei locali c’è sempre chiasso, la gente non riesce a sentire, quindi i sottotitoli sono utili a tutti. La vera differenza qual è? È che loro non hanno pensato solo alle persone sorde, ma a tutti anche agli stranieri che non sanno bene la lingua.

Quali altri problemi ci sono nell’accesso alle informazioni per chi non sente?

Nelle stazioni dei treni e nelle metro lo strumento più utilizzato è l’altoparlante, e spesso quella voce è poco comprensibile anche per le persone udenti. Non sai quanti treni, ma anche quanti aerei ho perso per questo motivo.

Ma ti hanno almeno rimborsato il viaggio?

Assolutamente no: colpa mia che non sono stata attenta, questo mi hanno sempre detto. Anche se spiego le mie difficoltà, se dico che sono sorda e non ho compreso lo spostamento di binario o di gate dell’ultimo momento, le risposte sono sempre le stesse: non sono problemi miei, non è mia competenza. E questa è una situazione di grande disagio, anche per una persona come me che è abituata ad arrangiarsi ed è autonoma. È una grande mancanza di rispetto, che si somma alla perdita di tempo e alla perdita economica.

E poi ci sono i pregiudizi.

In generale quando le persone scoprono di avere davanti una persona sorda non sanno come comportarsi, o meglio come approcciarsi, perché spesso pensano che la sordità sia legata a un deficit cognitivo o al mutismo. O spesso associano la sordità alla Lis, che ripeto, non è la lingua di tutte le persone sorde, ma della comunità sorda segnante. Io per esempio sono nata sorda da una famiglia udente e sono oralista, cioè comunico attraverso la lingua parlata e la lettura labiale. A me non serve l’interprete. Sarebbe utile fare un’indagine su quante sono le persone sorde nel Paese e quante davvero utilizzano la Lis.

La scuola almeno riesce a fare qualcosa in più per supportare la disabilità uditiva?

Il mio compagno è docente all’Università di Palermo e lì non c’è nessun supporto alla disabilità. In più considera che molti docenti quando spiegano alla lavagna danno le spalle agli studenti, e questo rende tutto più difficile, insieme al fatto che non vengono quasi mai distribuite dispense a fine lezione. Le persone come me devono fare il doppio del lavoro. Poi in generale in tutta la scuola mancano gli insegnanti di sostegno competenti.

Immagino tu abbia vissuto questa mancanza in prima persona.

Io all’università avevo chiesto una persona che potesse prendere appunti al posto mio. Dovendo concentrare tutta l’attenzione sull’ascolto e sulla lettura del labiale non riuscivo a prendere appunti, avevo bisogno semplicemente di qualcuno che scrivesse al mio posto. Invece il mio insegnante mi distraeva continuamente dall’ascolto chiedendomi: allora Sara hai capito qualcosa? Allora Sara cosa hai capito? Anche a scuola avrei voluto un insegnante di sostegno più attento e sensibile alle mie esigenze, soprattutto che non mi portasse fuori dalla classe. L’insegnante di sostegno che porta il bambino fuori dalla classe fa esclusione, non inclusione. Ma questo è un errore che ancora molti commettono, e così non ti danno la possibilità di crescere. Spesso basterebbero cose banali, piccoli accorgimenti, ad esempio ascoltare e capire di che cosa ha bisogno la persona che hai di fronte.

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