Io credo che un giornalista debba fare tre cose: uscire di casa, fare domande, scrivere. A dire il vero non so se questo sia scritto sui manuali del buon giornalista o lo insegnino al Supercorso per prendere il tesserino dell’Ordine. Non ho mai partecipato. Però mia mamma mi racconta sempre che da piccolo, ogni volta […]
Divulgatore scientifico, un minotauro tra i libri
Come giornalisti viviamo ogni giorno le conseguenze di un’informazione contaminata da notizie non mediate. L’oceano in tempesta dei social contiene tutto: il vero, il falso, il travisato; ma soprattutto il non verificato da chi, per competenza e quindi per mestiere, fa proprio questo – il giornalista, appunto. Le notizie social però sono lì. Sono tante. […]
Come giornalisti viviamo ogni giorno le conseguenze di un’informazione contaminata da notizie non mediate. L’oceano in tempesta dei social contiene tutto: il vero, il falso, il travisato; ma soprattutto il non verificato da chi, per competenza e quindi per mestiere, fa proprio questo – il giornalista, appunto.
Le notizie social però sono lì. Sono tante. Gratuite. Facili da trovare. Facili da diffondere. Buone per la pancia e non certo per la testa. E, soprattutto, sono dappertutto. Il ruolo del divulgatore scientifico per certi aspetti è molto simile a quello del giornalista: trovare la notizia di settore, appurarla, renderla nota con un linguaggio comprensibile, ma non per questo impreciso. Un lavoro sceso dai prestigiosi ranghi accademici, dove a lungo è stato relegato, per diventare professione quasi di frontiera.
Michele Luzzatto, Bollati Boringhieri: “Fare il divulgatore scientifico oggi è più facile. E più necessario”
Ma come si diventa divulgatore scientifico “di qualità” oggi, in un mondo sempre più affollato da ciarlatani legittimati dalla loro presenza in internet, che screditano tutti tranne se stessi? Lo abbiamo chiesto a Michele Luzzatto, direttore editoriale di Bollati Boringhieri, la casa editrice fondata a Torino nel 1957. “Il buon divulgatore scientifico va all’origine del problema, all’origine dell’informazione, alle fonti più accreditate. Attinge a riviste serie, da dove rielabora dati e statistiche che sa leggere, perché ha lui stesso ricevuto una formazione scientifica”.
La foresta di informazioni su internet e la non credibilità dei social hanno reso più complicato il lavoro del divulgatore scientifico moderno? È diventato più difficile mantenere la “reputazione”?
Al contrario, credo che oggi sia più facile per il divulgatore lavorare. Internet è lo specchio del mondo, c’è dentro tutto. Prima era tutto diverso. Per una ricerca bisognava recarsi nei dipartimenti universitari di persona, o in grandi biblioteche, e consultare moltissimo materiale prima di trovare i dati necessari. Oggi, sapendo ovviamente a quali fonti affidarsi, si può far tutto dal computer di casa. Con il conforto delle riviste di settore: quelle dal comprovato peso scientifico sono infatti tutte presenti anche online, consultabili con abbonamenti mensili a cifre accessibilissime. Il divulgatore deve quindi prendere le informazioni scientifiche difficili e renderle appetibili a un mondo di persone non competenti, filtrarle e dar loro un senso, una forma.
E la lotta alle fake news?
Non si combatte. È impossibile competere con le fake news. Basta che qualcuno scriva una notizia inventata, anche assurda, in siti o social “ben frequentati”, che prima o poi qualcuno la copierà e la ripubblicherà. Le fake news vanno subito alla pancia, si diffondono immediatamente, attraverso un linguaggio pappagallesco e scandalistico. Non costano niente, vengono condite da un complotto, chiaramente di matrice internazionale, che fa sempre presa su un certo pubblico. Inutile cercare di competere.
C’è una chiave per essere un divulgatore scientifico moderno?
Creare i canali per una buona diffusione scientifica, abbandonare il linguaggio vecchio, barboso e “ragnateloso” e soprattutto far ricorso allo storytelling, la narrazione. È scientificamente provato che il cervello umano è in grado di memorizzare e mantenere informazioni, quando queste sono costruite a livello storico. Credo che l’importanza di questo passaggio sia evidenziato molto bene in un libro, L’istinto di narrare di Gottschall, nel quale lo scrittore fa vedere come gli esseri umani siano legati al concetto di narrazione per essere compresi e per comprendere. Il divulgatore scientifico di nuova generazione ha una formazione completa e precisa: ha studiato anche scrittura creativa. Deve quindi prendere la notizia, studiarla e comprenderla perfettamente, metabolizzarla, coglierne le criticità senza mai dimenticare che la forma deve essere dubitativa e non assertiva. Cioè suscitare la domanda, provocare la curiosità e il dubbio, e non calare dall’alto la certezza, la risposta. La notizia va poi rivestirla con un abito: la narrazione. In questo modo per l’utente sarà interessante informarsi, facile comprendere la notizia scientifica e semplice ricordarla, proprio perché è incorniciata in una storia che in nessun modo altera o distorce il contenuto dell’informazione. Chiaro che il tutto vale partendo dal presupposto di un certo tipo di utente: che frequenta siti web seri, che cerca un’informazione di settore di qualità. Un utente che non è certo quello che crede alle fake.
Il direttore editoriale racconta un po’ di passato e un po’ di presente del divulgatore scientifico, che oggi conosce bene i numeri e i social e punta soprattutto sulle cose più scottanti, entrando nel peso politico delle problematiche e scardinando così un modello professionale.
Negli anni Ottanta, quando mi sono formato io, nelle librerie erano pochissimi gli scaffali scientifici che contenessero delle cose interessanti. Le uniche case editrici che posso citare in merito sono la Feltrinelli, Adelphi e Bollati Boringhieri, appunto. I miei ricordi sono quelli di libri molto complessi (ricordo il libro di Einstein), come se la scienza fosse volutamente una materia non alla portata di tutti. Inoltre a quel tempo c’erano proprio zero divulgatori, perciò c’era una sorta di scissione, di bolla tra chi conosceva la scienza e chi non ne sapeva nulla. L’Italia è sempre stata un Paese che ha visto nella scienza una materia senza alcuna ricaduta pratica, sociale, professionale. Stessa cosa in riferimento al giornalismo, dove in realtà la scienza non è mai stata come una materia a sé stante, ma sempre affiancata, come scienza-filosofia, scienza e cultura. Basti pensare agli inserti culturali della domenica. Sia il Sole24 Ore che Il Corriere della Lettura trattavano la scienza come una materia ostica e difficile, ma soprattutto una materia che apparteneva a una “bolla”. Erano pochissime le pubblicazioni scientifiche in Italia, e sempre scritte da scienziati ad altri scienziati; non c’era la possibilità di tradurre questa materia per un pubblico generico. Quindici anni fa, poi, il cambio generazionale ha fatto sì che la comunicazione cambiasse, con l’avvento dei primi divulgatori scientifici. È diventata una comunicazione ben scritta, molto più affascinante, molto precisa. Il mondo scientifico editoriale oggi è un buco: siamo non più di dieci persone a svolgere il mio mestiere, direttore editoriale scientifico, e ci conosciamo tutti. Le case editrici oggi hanno bisogno di persone e di risorse capaci di scrivere correttamente e di editare tutto in maniera molto corretta.
La voce giusta per parlare di scienza
Appartiene al poco popolato ma molto innovativo mondo di questi editori di settore anche Marco Bo, direttore e amministratore della Codice Edizioni, fondata dal papà Vittorio. “Questo trend del divulgatore scientifico è partito già da tempo all’estero”, spiega, “dove il settore ha generato già molti nuovi mestieri, a differenza dell’Italia. Proprio per questo abbiamo scelto di assumere un editor interno che potesse stimolare questo filone, Michele Bellone, che è stato capace di scardinare la rigidità del mestiere, mettendo insieme la scienza e, in modo trasversale, lo stile un po’ fantasy, per divulgare contenuti scientifici seri e corretti con un codice diverso. La settorializzazione della ricerca scientifica, infatti, ha fatto sì che gli esperti fossero sempre meno capaci di parlare con persone che non fanno il loro mestiere. Negli ultimi decenni queste persone hanno incontrato sempre più difficoltà a divulgare contenuti con chi non parla il loro linguaggio”.
Abbiamo raggiunto proprio Michele Bellone, biologo e giornalista scientifico che collabora con numerose testate e con il blog Scienza in rete, il quale ci ha spiegato così il suo lavoro: “Il mio mestiere consiste sostanzialmente in due aspetti: nel primo mantengo e gestisco i contatti con gli autori, nel secondo cerco nuovi autori, scienziati divulgatori o giornalisti scientifici. Ma soprattutto cerco di dare un’identità allo scritto, uno stile riconoscibile e coerente, bilanciando le esigenze delle diverse materie affrontate: matematica, fisica, neuroscienze”.
“L’idea è quella di dare una coerenza al catalogo, perché non è tanto il racconto generale, quanto trovare le voci giuste per raccontare. Potremmo paragonare il lavoro alla figura anglosassone dello ‘scrittore di scienza’, che partendo da un’idea sulla scienza come te l’aspetti cura tutte le relazioni della scienza con la società, mostrando che questa materia non è una cosa a sé stante, lontana, riservata ad alcuni scienziati distanti dal quotidiano (come spesso viene percepita), ma che al contrario interagisce con la società sempre. In questo senso i Paesi anglosassoni sono stati anticipatori.”
“Il fascino della scienza è che richiede conoscenza per parlarne, ma è anche vero che chiunque ascolti può portare avanti le sue osservazioni. La scienza è fatta di valori: la condivisione dei risultati e la trasparenza, sempre importante per il suo intreccio con la società, e quindi l’onestà, la giustizia. Divulgare la scienza significa semplificare lasciando sempre intravedere la complessità che c’è dietro. È bene esporre la gente alla complessità, perché è da lì che partono gli stimoli.”
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