Editoriale 03. Dietro le quinte

La carriera è un concetto chiaro. O la fai o non la fai, i perché sono individuali e collettivi ma resta il fatto che all’apice di quella carriera solitamente qualcosa accade. Nelle aziende coincide con momenti seri, in successione tra loro ma non necessariamente collegati: dagli aumenti di livelli al pensionamento finale, dove nessuno dubita […]

La carriera è un concetto chiaro. O la fai o non la fai, i perché sono individuali e collettivi ma resta il fatto che all’apice di quella carriera solitamente qualcosa accade.

Nelle aziende coincide con momenti seri, in successione tra loro ma non necessariamente collegati: dagli aumenti di livelli al pensionamento finale, dove nessuno dubita della sacralità di quest’ultimo perché se c’è una cosa capace di omaggiare davvero una carriera, quella cosa è il sentimento dei colleghi e la traccia con cui chi se ne va li aveva impressi.

Fino a pochi anni fa anche la scintillante notte degli Oscar assegnava il premio alla carriera, l’Academy Honorary Award, completamente sganciato dalla competizione di tutti gli altri riconoscimenti ma attesissimo dal grande pubblico. Forse a qualcuno è sfuggito ma dal 2010 c’è una cerimonia a parte, più discreta, che si tiene a novembre e il cui verdetto onorario è deciso dal collegio dei Governors e non dalla storica Academy. Lauren Bacall è stata l’ultima a riceverlo pubblicamente durante la notte delle stelle, ora quei premi ci arrivano con meno enfasi dalla stampa e dalla rete, quasi fosse un premio da dietro le quinte per addetti ai lavori che se la spassano allegramente lontano dalla folla. Hayao Miyazaki, il maestro dell’animazione giapponese, ha in casa la statuetta dorata 2015.

Dietro le quinte è così: meno artificio, più corpo. Anche il lavoro che fa grande un’azienda muove dalle periferie del palcoscenico e le decisioni cruciali si nutrono della più onorata discrezione o normalità. Chi ostenta premi o valori, quasi mai se li merita: lo raccontiamo, in questo numero, nella rubrica Open Space che dedica il contest all’etica di Falciani e all’ipocrisia delle forme.

Senza Filtro ha colto al volo l’occasione degli Oscar anche per divertirsi e sfidare: a cinque firme autorevoli del mondo manageriale italiano abbiamo chiesto cosa serve alle aziende per concorrere sul mercato, contando di vincere nelle diverse categorie da nomination. Non pretendevamo formule magiche e infatti ci hanno dato risposte. Miglior film, migliore sceneggiatura, migliore attore non protagonista, migliore scenografia, migliore film straniero.

Lavoro e cinema tengono insieme la struttura di questo numero: il film prodotto da tre aziende italiane che hanno restituito ai detenuti del carcere di Bologna il senso della riabilitazione, il product placement, i nuovi mercati digitali, il doppiaggio. Per l’attualità abbiamo invece raccontato il caso Infocontact e le migliaia di licenziamenti scampati grazie alla mediazione di Fiorello e al suo peso in Wind: quanto abbia inciso lo abbiamo chiesto a un direttore del personale che non si è affatto risparmiato in pareri. Ammortizzatori sociali e decreti attuativi del Jobs Act per non perdere mai di vista la riforma del lavoro ancora in corso.

Cosa ricorderemo di Birdman? Credo la corsetta timida ma inevitabile di Michael Keaton rimasto in mutande mentre cerca di rientrare in teatro dopo esserne rimasto chiuso fuori per errore. Neil Patrick Harris, come vuole la tradizione degli Oscar che chiede al presentatore di omaggiare le scene migliori dei film in concorso, ha dedicato la sua parodia proprio a quel momento e lo ha fatto partendo dietro le quinte, dove tutto accade.

Come sempre, per Senza Filtro abbiamo generato notizie sul lavoro partendo dalle storie che ci sono arrivate o che abbiamo cercato. E’ tutto vero, non ci siamo fatti nessun film.

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