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Editoriale 102. L’Italia ambulante
Ambulante è già di suo un participio presente che dice tutto sulle variabili e sulle incertezze; messo accanto alla parola venditore, la parola a dir poco raddoppia i fattori di rischio. Eppure i venditori ambulanti tutte quelle variabili le mettono in conto dal primo momento in cui scelgono di fare il proprio mestiere su strada […]
Ambulante è già di suo un participio presente che dice tutto sulle variabili e sulle incertezze; messo accanto alla parola venditore, la parola a dir poco raddoppia i fattori di rischio. Eppure i venditori ambulanti tutte quelle variabili le mettono in conto dal primo momento in cui scelgono di fare il proprio mestiere su strada e le hanno sempre guardate in faccia. Finché la pandemia non li ha messi in ginocchio, nonostante la loro enorme capacità di adattamento perché chi sfida ogni giorno la mobilità ha di sicuro più anticorpi di chi ha scelto di stare in un negozio.
Con le fiere ferme da un anno, e i mercati a mezzo regime tra le polemiche sui criteri con cui la politica reputa essenziale vendere fiori e frutta rispetto a scarpe e abbigliamento (salvando però la biancheria intima). E sulle incongruenze di molte altre imposizioni si potrebbe discutere a lungo.
Per i venditori ambulanti, conti alla mano, oltre ai mancati appuntamenti settimanali nei quartieri e nelle piazze sono passate anche due Pasque consecutive senza le economie che tenevano in piedi intere famiglie e interi paesi; via le sagre, via le rievocazioni, via le bancarelle.
Quello che stiamo vivendo non è il tempo in cui trovare il colpevole o puntare il dito ma il tempo in cui mettere sulla bilancia il patrimonio che stiamo rischiando di perdere. Serve correre in fretta ai ripari perché i lavori ambulanti seri, legali e organizzati sono anche un’espressione culturale e un’eredità lontanissima che ci permette di rimanere ancorati a quella forma superiore di relazione che si chiama oralità.
Proprio ieri il sito Scienza in Rete ha pubblicato uno splendido articolo che cita la storia del succiamiele del reggente, un uccello grande come un merlo e a rischio di estinzione in Australia. Contano che siano rimasti appena 400 esemplari su un’area di 300 mila chilometri quadrati.
Perché mi ha fatto pensare al rischio che stiamo correndo con la crisi del commercio ambulante? Perché la scienza ha dimostrato che stanno scomparendo i canti riproduttivi dei maschi del succiamele proprio in funzione del fatto che sta calando la popolazione. Per loro il canto ha uno scopo riproduttivo e non è un gesto innato, si tramanda: soltanto a ridosso del periodo riproduttivo, gli esemplari più giovani si affiancano ai maschi più anziani dai quali imparano quelle che noi chiameremmo serenate.
Citando Laura Scillitani, che firma il pezzo: “Analizzando i canti raccolti per cinque anni nelle foreste australiane, i ricercatori hanno trovato diverse melodie. La più diffusa, che è anche la più complessa, l’hanno chiamata Blue Mountain, dal nome del luogo in cui si concentra la maggior parte dei succiamiele per riprodursi. Circa il 27% dei maschi, però, sbaglia la melodia: intona una versione molto più breve e semplificata di Blue Mountain, oppure usa i richiami nuziali di altre specie canore presenti nella foresta. Il fattore chiave che influenza il tipo di canto è la densità di popolazione: meno sono i maschi presenti in una zona più è probabile che i giovani apprendano una melodia errata. In particolare, se la densità è molto bassa, è facile che i giovani si mettano a copiare i canti di altre specie. Va da sé che le femmine di succiamiele restino alquanto confuse da queste modeste performance canore, e quindi i maschi ‘stonati’ non riescono a riprodursi come gli altri. Ecco che questa mancata trasmissione culturale si traduce in un problema di conservazione: la perdita del canto diventa essa stessa fonte di declino della popolazione, diminuendo il tasso di riproduzione generale e impattando la diversità genetica”.
I mestieri ambulanti sono una famiglia numerosa e multiforme, ben oltre i commercianti: per questo mensile di SenzaFiltro siamo andati a capire quale sia nel 2021 la situazione di giostrai senza giostre, piccoli editori senza fiere, circensi senza i tendoni, artisti di strada senza marciapiedi, librai senza bancarelle, guide turistiche senza arte da poter spiegare. L’Italia è ferma e, con lei, tutta la cultura nella sua accezione più ampia.
Davanti alla pandemia si muovono però i più impavidi, convinti che non ci si possa arrendere al fatto che gli spazi canonici siano (immotivatamente) chiusi: gli attori stanno imparando a inforcare le bici per consegnare il teatro o la poesia a domicilio nelle case, negli androni dei condomini o sotto le finestre degli appartamenti. Abbiamo incontrato anche loro e danno una enorme speranza: certo non è la stessa cosa che stare sulla poltrona di un teatro ma è una nuova cosa a cui prestare ascolto e attenzione.
Attori che non hanno paura di cambiare forma in attesa di tornare a occupare il proprio posto.
Hai voluto il palcoscenico? Intanto pedala.
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