Alcune rivoluzioni si possono fare solo dal vivo anche se di questi tempi le presenze si sono fatte immateriali o quanto meno consigliate a qualche metro di distanza. Un festival è tra le esperienze più vive possibili per quanto il 2020 ci abbia messo alla prova con una edizione di Nobìlita misurata al millimetro. È andato tutto bene, che sinceramente vale molto di più dell’abusato andrà tutto bene.
Il mondo sembra essere di colpo finito dentro quei giri di lavatrice con le temperature e i programmi sbagliati. Stiamo più scomodi e più stretti di qualche mese fa. È però nello stare a disagio, e sbilanciato, che il corpo cerca per istinto un assestamento e una nuova stabilità, magari anche solo transitoria.
Anche il lavoro sta scomodo da anni: impigliato, appeso, ingabbiato, piegato. Di fatto non lo abbiamo mai trattato come meritava e cioè da “persona” perché alla fine questo c’è dentro il lavoro: vite umane che hanno una voce e un corpo molto prima dei progetti, ben prima dei piani di investimento e delle logiche di chi il lavoro lo organizza e lo gestisce.
Quando ogni anno immaginiamo l’edizione successiva di Nobìlita, lo sforzo più grande è guardare più in là degli altri e offrire dal palco un confronto pionieristico capace di annusare e intuire non tanto cosa sarà il lavoro nel medio futuro ma come muoversi per andare in quella direzione. Speriamo di esserci riusciti.