C’è chi non si azzarda a darti un consiglio nemmeno su cosa ordinare al ristorante e chi si prende la briga di organizzarti la vita dalla a alla zeta anche quando non richiesto. C’è addirittura chi di mestiere i consigli lì dà, ci misura le parole intorno alle competenze, sta spalla a spalla con le […]
Editoriale 103. Turisti per casa
Dal 2020 non si sente più il rumore delle valigie, le ruote dei trolley, le voci senza meta che vagano per le città o per i piccoli paesi d’Italia. L’economia è immobile, muta anche lei. E chi vive di turismo non può sperare che sia sufficiente far passare questo tempo malato per tornare a lavorare: […]
Dal 2020 non si sente più il rumore delle valigie, le ruote dei trolley, le voci senza meta che vagano per le città o per i piccoli paesi d’Italia. L’economia è immobile, muta anche lei.
E chi vive di turismo non può sperare che sia sufficiente far passare questo tempo malato per tornare a lavorare: la lezione portata dalla pandemia è l’esattore che batte cassa, anche se non te lo aspettavi perché credevi di essere in regola su tutto. Invece non tutta l’Italia era in regola con le giuste politiche e col giusto rispetto verso una parola sacra come il turismo.
Non sono state corrette la politica e le istituzioni che nei decenni hanno snaturato il concetto sovrapponendolo alla cultura o confondendolo solo con l’arte.
Neanche gli imprenditori del turismo hanno saputo sempre attestare competenze, lucidità di strategia, preparazione, attitudini educate all’accoglienza.
Che l’Italia fosse un museo a cielo aperto è stata la grande fregatura.
Il 2021 parla chiaro per chi vorrà ascoltare: guardate ai piccoli se volete ricominciare a campare di turismo. Niente a che fare con l’accoppiata ormai banale del piccolo e bello; no, stavolta è diverso. Negli ultimi dodici mesi ci si sono accorciate le distanze – in testa, nei gesti, nelle parole, nei contatti – e abbiamo sostituito i chilometri coi centimetri e l’unità di misura, quando cambia in riduzione, deve per forza tirarsi dietro una rivoluzione di pensiero.
I viaggi si sono sempre misurati sulle distanze da coprire, per natura il viaggio è un andare da qua a là ma chi ha finora gestito il turismo si era totalmente sgravato dalla responsabilità di riflettere sul mondo di mezzo tra il qua e il là.
Ecco perché i piccoli, adesso, si giocano il vantaggio della misura.
Avere misura delle cose.
Prendere le misure.
Misurare le parole.
A misura d’uomo (e di donna).
E, a noi italiani, di colpo lo stivale ci è sembrato più comodo da calzare, a portata di mano, confortevole come mai ci era finora sembrato. Passi sicuri.
Le agenzie di viaggi si sono rimesse a vendere l’Italia agli italiani, che vuol dire imparare a riorganizzarsi il lavoro e gli obiettivi.
I borghi e gli alberghi diffusi rialzano la testa.
Le isole non ci stanno più a essere la gita di pochi giorni al traino dei capoluoghi o la meta del non far niente.
I mestieri e le professioni del turismo, ancora barbaramente declinate all’inglese in un Paese come il nostro che dovrebbe esportare lingua, arte e cultura al mondo intero, si stanno facendo un esame di coscienza da dentro il confessionale delle geografie: quanti errori fatti finora.
Il nostro turismo ha anche fame di enogastronomia condivisa e sincera rispetto a quella che da anni io chiamo egogastronomia.
Il Sud che punta finalmente i piedi e pure il tacco, rivendicando i propri modelli culturali che mettono insieme i puntini del turismo e dell’innovazione sociale.
Che sia la fine dei viaggi cartolina.
Che si viaggi per conoscere anche le persone residenti e non solo i luoghi o i musei o i paesaggi.
Che si insegni ad accogliere, che si impari a farlo.
Che si stringano relazioni prima, durante e dopo.
Che sia la fine dei saluti e baci, quelli finti, mordi e fuggi; almeno, in passato, su quelle parole ci si degnava di appiccicarci un francobollo e cercare una buca delle lettere.
Foto di copertina: Christopher Czermak on Unsplash
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