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Editoriale 11. Thank you for Lobbying
“Sogno in due tempi” è un capolavoro di Gaber, un monologo che in pochi minuti tira un calcio all’ipocrisia e manda in frantumi i vetri della coscienza. Tutto dipende da che parte stai. Come a dire che tutelo i tuoi interessi fino a quando non intaccano i miei, molto semplice. Se la politica è un […]
“Sogno in due tempi” è un capolavoro di Gaber, un monologo che in pochi minuti tira un calcio all’ipocrisia e manda in frantumi i vetri della coscienza. Tutto dipende da che parte stai. Come a dire che tutelo i tuoi interessi fino a quando non intaccano i miei, molto semplice.
Se la politica è un sistema che osserva la società e la regolamenta bilanciando correttamente i pesi, allora sì: stiamo parlando di politica. Se la politica è un sistema che osserva la società e la regolamenta sbilanciando discrezionalmente i pesi, allora no: stiamo parlando di lobby.
In gergo, la metafora della porta girevole serve a descrivere quel passaggio continuo e senza interruzioni che lascia scivolare chi collega i decisori finali con i gruppi di interesse pronti a spingere per orientare le scelte. Molto spesso, i ruoli si confondono o addirittura si sovrappongono, basta guardare ai Presidenti di Ordini o Collegi professionali seduti in Parlamento. L’Antitrust sembra spingere da mesi per definire l’incompatibilità degli incarichi, staremo a vedere.
Dal dossier di Transparency International presentato a Bruxelles lo scorso aprile, l’Italia è al 19esimo posto su 22, con un voto in pagella di 20 su 100. Sembra che questa collocazione imbarazzante dipenda anche dal fatto che non abbiamo una legge sulle figure dei lobbisti, su cosa possano fare, su come si muovono e perché. Con questo numero di Senza Filtro abbiamo allora cercato di capire dove ci si forma e quanto costa, come si costruisce una carriera e dove porta. Abbiamo anche intervistato chi lo fa da tempo bucando una omertà diffusa e immotivata: ne abbiamo dedotto che le sfumature sono tante e che le porte possono girare in tanti versi.
Indagando sui gruppi che più forzano e ottengono, quelli finanziari non hanno rivali, seguiti da farmaceutica, tlc ed energia: allineati in questo modo, danno forse l’idea di chi saremo tra vent’anni. Le lobby che contano hanno già consegnato al futuro l’identikit di come saremo e saremo come vogliono loro: malati di dipendenze senza mai esserne assuefatti. Dipendenze di ogni genere ma soprattutto di rappresentanza: senza i Sindacati ci sentiamo persi, senza le Confindustrie ci sentiamo poveri, senza gli Ordini professionali ci sentiamo fragili. Eppure è sotto gli occhi di tutti che quelle porte girano ormai a vuoto per chi paga ancora tessere. Anche i liberi professionisti, liberi anche dagli Albi, vogliono dire la loro sulla concorrenza e sul mercato del lavoro: li abbiamo ascoltati per capire, da dentro, dove si inceppa la porta. La lobby dei carburanti su cui lo Stato fa la cresta, delle banche che licenziano in massa quando la pressione fiscale schiaccia anche loro, degli chef famosi ormai primedonne ed egocentriche, degli interessi forti contro quelli deboli. Per fortuna l’informazione ci riporta anche alla storia di imprese solo apparentemente piccole ma che premono dal basso per tutelare interessi pubblici: vi raccontiamo due esempi di battaglie simboliche condotte alla luce del sole.
Purtroppo certe politiche italiane somigliano sempre più alla nostra moda, in bilico tra ombre e trasparenze che attraggono chi le guarda e rendono irresistibile chi le indossa.
L’Italia è un Paese che riserva comunque sorprese. Anche se culturalmente stentiamo ad affermarci per via di basse percentuali di raccolta differenziata, i nostri politici vantano abilità impressionanti nel riciclarsi come lobbisti seppur di scarso livello. Del resto, giuridicamente siamo ancora nel Far West dove gli unici passaggi sono le porte saloon e pare ancora di sentirle cigolare.
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