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Editoriale 29. Manager delle mie brame
Che l’abito non faccia il monaco andate a dirlo ai sarti napoletani. Vi risponderanno che il taglio partenopeo è unico grazie alla manica a mappina, alla giacca che zompa arreto e alla spalla morbida, per non parlare dello scollo a martiello e dei tre bottoni di cui il primo rigorosamente sbottonato. Dietro quell’abito c’è la […]
Che l’abito non faccia il monaco andate a dirlo ai sarti napoletani. Vi risponderanno che il taglio partenopeo è unico grazie alla manica a mappina, alla giacca che zompa arreto e alla spalla morbida, per non parlare dello scollo a martiello e dei tre bottoni di cui il primo rigorosamente sbottonato. Dietro quell’abito c’è la risposta sartoriale all’uomo napoletano gesticolatore per natura, a caccia di libertà per sbracciare comodamente nel suo parlare.
Cosa ci sia invece dentro, e non dietro l’abito di un manager, è ben più complesso. Basta guardare a come l’informazione si interessi più dei numeri che delle persone e di ciò che fanno. La stampa ci assilla con classifiche da podio dei manager più ricchi, più pagati e più famosi; preferiremmo leggere le top ten dei più credibili, più coerenti, più affidabili. Manager valutati per ciò che rendono a se stessi e quasi mai per ciò che rendono alle imprese dove vanno e vengono, spostati dalla politica o dal vento interno. Le ultime istantanee dai portafogli dei super manager fanno rabbrividire per ciò che continuano a raccontare: in Italia si paga la responsabilità e non la competenza che è come dire “ti pago per ciò che rappresenti e non per ciò che fai”, con buona pace di chi ancora pensa che un lavoro vada conquistato per merito e mantenuto per impegno.
Nelle aziende si sprecano analisi e strategie sulla produttività di dipendenti e collaboratori, su come migliorarla e quanto ottimizzarla ma lo stesso non vale per i loro capi che sembrano finiti sotto la bolla della leadership da rivalutare ed esercitare ad ogni costo, a costo persino di fare solo quello. Talmente occupati a misurare quanto ce l’hanno lunga la leadership che si scordano perché hanno preso in mano il metro. È questo l’aspetto che preoccupa chi sta sotto di loro: venir gestiti, e poi valutati, da chi ha rivolto lo specchio su di sè. Specchio specchio delle mie brame, chi è il più potente del reame.
Se non ci avessero abituati a pensare che management e leadership sono gemelli siamesi, oggi sarebbe più facile guardarli in faccia e trovare le differenze. L’uno guida, l’altra ispira; se convivono è meglio, se non convivono sopravvivono ugualmente da soli. Immaginarli attaccati è solo un alibi che permette ai piani alti di giustificare chi manca dell’uno o dell’altra e in un’ottica italiana dell’oggi a te domani a me fa sempre comodo avallare certe tesi.
I manager credibili hanno bisogno di essere portati allo scoperto perché fanno bene al sistema. Sono quelli che hanno ridimensionato le apparenze e i segni del potere, hanno accettato che il tempo non si compra, non fanno gli amiconi a tutti i costi, si assumono la responsabilità delle scelte aziendali fino a quando si riconoscono in quei valori altrimenti se ne vanno, vivono la solitudine del ruolo per trarne un beneficio che equilibri i rapporti, sviluppano un’intelligenza dell’intuito, creano nuovi miti guardando alle persone.
I manager incoerenti sono quelli che credono basti il solo fascino per vincere un concorso di bellezza. Si credono i migliori solo perché poggiano sulle poltrone giuste e si spalmano ogni giorno la crema del potere, persino mattina e sera, illudendosi di uscire indenni dalle rughe del lavoro.
Difficile valutarli come persone perché il ruolo li precede, difficile decifrare cosa provano perché il simbolismo li opacizza. C’è ancora tanta, troppa, distanza tra ciò che hanno e ciò che meritano: incessantemente viene da chiedersi se è davvero possibile che non si accorgano del mondo di sotto che governano.
Eppure dovranno rispondere a qualcuno, persino il Papa lo fa col suo datore di lavoro.
Come nell’architettura urbana, i modelli manageriali oscillano oggi tra il verticale e il diffuso in attesa che i pesi si bilancino. Quei pesi sono la credibilità e la forza della relazione.
Coco Chanel diceva “ Vesti male e noteranno il vestito; vesti impeccabilmente e noteranno la donna”. Tradotto oggi, per i manager: “Lavora male e noteranno la tua inconsistenza, lavora impeccabilmente e noteranno i tuoi collaboratori”.
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