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Fundraising tra non profit e mondo del lavoro
Associazioni “senza fini di lucro”, in cui militano volontari idealisti molto motivati e votati alla “causa”, giovanotti un po’ naïf che regalano impegno e tempo libero ma poco formati e privi delle competenze gestionali necessarie per mantenere sani i conti economici dell’organizzazione. Se questa è ancora la fotografia stampata nell’immaginario collettivo degli italiani, allora è […]
Associazioni “senza fini di lucro”, in cui militano volontari idealisti molto motivati e votati alla “causa”, giovanotti un po’ naïf che regalano impegno e tempo libero ma poco formati e privi delle competenze gestionali necessarie per mantenere sani i conti economici dell’organizzazione.
Se questa è ancora la fotografia stampata nell’immaginario collettivo degli italiani, allora è il momento di operare un rapido cambio di prospettiva. A cominciare dalla terminologia che definisce quel mondo, ormai identificato come Non profit (Np) e continuando con il tipo di gestione, sempre più manageriale, con professionisti che frequentemente provengono dal profit e con personale dipendente che in maggioranza ha conseguito una laurea o un master specialistico. Il tutto sostenuto ancora da uno sterminato esercito di volontari, che però oggi segue le linee guida del board ed è gestito dai dipendenti fissi delle Np.
Un mondo che, secondo le ultime rilevazioni Istat (9° Censimento industria, servizi e non profit), nel 2011 pesava per 64 miliardi di euro, con oltre 300 mila organizzazioni, 681 mila dipendenti (il 39,4% in più di dieci anni prima), 270 mila lavoratori esterni, 5 mila temporanei e 4,7 milioni di volontari. Un settore che, anche in questi ultimi anni di crisi, è andato in controtendenza ed è cresciuto ulteriormente, aumentando la fame di figure professionali qualificate. Prima fra tutte quella del responsabile del fundraising, il cacciatore di finanziamenti. Un manager vitale per la sopravvivenza e la prosperità delle Np, soprattutto in questi anni in cui la spesa pubblica arretra, i finanziamenti ad enti e associazioni calano, si apre un buco di interventi e aumentano così i bisogni sociali non soddisfatti dalle casse pubbliche.
Di conseguenza le organizzazioni devono intensificare la caccia di risorse per i loro progetti e hanno bisogno di figure dirigenziali dedicate. Professionisti che devono sapere di marketing (compreso quello digitale) e comunicazione, di finanza e di istituzioni pubbliche, di social network e di pubblicità. Devono gestire strategicamente e coordinare tutte le attività di raccolta fondi, pianificando gli interventi verso le aziende donatrici, le fondazioni di erogazione e gli individui, anche organizzando eventi, partnership ed eventuali attività di merchandising. Per questo la caccia ai fundraiser oggi è spesso rivolta verso la cattura di qualificati professionisti del mondo profit, reclutati attraverso i cacciatori di teste, mentre prima il Np risolveva tutto con il passaparola all’interno di un mondo ristretto e autoreferenziale. Un reclutamento che ha sempre più successo anche se il Np offre retribuzioni non proprio concorrenziali. Secondo un’indagine della multinazionale della compensation Hay Group, infatti, in media un responsabile del fundraising guadagna 42 mila euro lordi all’anno.
Allargando lo sguardo al di là dei direttori si valuta che, attualmente, nell’area dei servizi di fundraising lavorino circa 6 mila persone, che diventano 10 mila considerando anche l’indotto, cioè chi produce mailing list, consulenza informatica, database e altri servizi. Il profilo sociologico di questi lavoratori è stato appena indagato da un sondaggio inedito realizzato da Philantropy centro studi e Doxa con l’associazione dei fundraiser Assif, che verrà presentato il 20 febbraio nel nuovo campus universitario di Forlì in occasione del Convegno di apertura della XIII edizione del Master in Fundraising dell’università di Bologna. L’età media è di 39,5 anni, il 27,3% raccoglie fondi per il settore dell’assistenza sociale e della protezione civile, seguito dal 15,3% che opera nella cooperazione internazionale, dall’11,4% impegnato nella cultura-sport-ricreazione, dall’11,3% che lavora nell’istruzione e ricerca e dal 10,8% operante nella sanità.
Inaspettatamente anche nel Np esiste un soffitto di vetro (un po’ meno spesso che nel profit) che stoppa la progressione delle donne. Pur essendo infatti queste ultime la netta maggioranza degli addetti (63,3%), solo la metà di loro fa il fundraising in qualità di manager, contro i due terzi dei maschi. E anche i compensi sono sperequati. La retribuzione annua lorda è nel complesso collocata tra i 20 e 40 mila euro lordi l’anno, ma gli uomini guadagnano il 5% in più delle donne. Oltre l’80% dei fundraiser, infine, ha un titolo di studio pari o superiore alla laurea.
Visto l’aumento della domanda, in Italia proliferano una quantità di scuole e corsi, non sempre di qualità. Tra i migliori il Master di Bologna/Forlì già citato, la “Scuola di Roma. Fund-raising”, i corsi della Sda Bocconi e quello della Bicocca di Milano.
La professione di fundraiser è oggi sempre più in espansione perché sta debordando dal mondo Np a quello profit, pubblico e privato, dai musei alle scuole e università, alle cliniche ospedaliere. Ma il vero nuovo settore di potenziale operatività è quello della politica. Un’attività sdoganata dalla legge n. 13 del febbraio 2014 che abolisce il «finanziamento pubblico diretto ai partiti» e permette, tra l’altro, di varare campagne di donazioni telefoniche e via Sms del tutto simili a quelle sperimentate dal non profit. Una nuova strada che i fundraiser italiani provano a battere avendo presente un grande maestro: il direttore dell’agenzia “Blue State Digital” Gregor Poynton. È lui che ha guidato la raccolta fondi di cinque campagne presidenziali vincenti, quelle di Barack Obama nel 2008 e 2012, di Dilma Rousseff nel 2010 in Brasile, di François Hollande ed Enrique Peña Nieto in Messico nel 2012.
Una case history italiana di successo
Dynamo Camp è un caso di successo nella raccolta fondi. Non ha le grosse compagini di fundraising come le più note organizzazioni internazionali, da Save the children ad Action aid o Medici senza frontiere, ma riesce a tenere in piedi una struttura che costa 4,3 milioni l’anno raccogliendo quasi esclusivamente soldi privati (i contributi pubblici pesano solo per il 5%).
È una struttura che occupa 900 acri di un meraviglioso sito naturale affiliato al Wwf sulle colline pistoiesi ed è l’unico luogo in Italia dove si pratica la “terapia ricreativa” a bambini e ragazzi dai 6 ai 17 anni con patologie gravi, dai tumori alla spina bifida.
Gli ospiti, per una settimana e del tutto gratuitamente, praticano attività ludiche che vanno dall’arrampicata ai giochi in piscina, dall’equitazione al tiro con l’arco, dalle performance teatrali alla produzione artistica. Il risultato è un’accresciuta capacità di far fronte alle malattie, spesso accelerando le guarigioni.
“L’ufficio di fundraising ha sede a Milano”, spiega l’amministratore delegato Serena Porcari, che è una manager ex Ibm, “ed è diviso per fonti di raccolta: fondazioni e istituzioni, aziende, individui, eventi, campagne (Sms e 5 per mille). A capo di ogni settore c’è un responsabile, spesso reclutato dal profit, che guida un piccolo team”. Dei 4,3 milioni di euro raccolti nel 2014, le quote più consistenti vengono dalle corporate (22,2%), dai donatori individuali (19,3%) e dalle fondazioni 16,6%. Più un 7,7% raccolto con gli Sms e un 6% che viene dal 5 per mille. “Nonostante la crisi”, conclude Porcari, “la nostra raccolta è cresciuta del 13-15% ogni anno. Stiamo comunque studiando nuove strategie, tenendo conto che certe fonti, come gli Sms, il 5 per mille e le raccolte telefoniche sono per tutte le Np ormai arrivate a saturazione”.
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