Gergo aziendale, quanti orrori

Qualche settimana fa, in occasione della giornata mondiale dell’alfabetizzazione, sono stati diffusi i dati Ocse sul fenomeno dell’analfabetismo funzionale. Se l’analfabetismo – ovvero la totale incapacità di leggere e scrivere – è ormai un fenomeno trascurabile, invece è in preoccupante aumento la percentuale di incapacità nel corretto utilizzo delle proprie abilità di lettura, scrittura e […]

Qualche settimana fa, in occasione della giornata mondiale dell’alfabetizzazione, sono stati diffusi i dati Ocse sul fenomeno dell’analfabetismo funzionale. Se l’analfabetismo – ovvero la totale incapacità di leggere e scrivere – è ormai un fenomeno trascurabile, invece è in preoccupante aumento la percentuale di incapacità nel corretto utilizzo delle proprie abilità di lettura, scrittura e calcolo nella quotidianità.

In Italia siamo clamorosamente in vetta alla classifica europea, con un’imbarazzante percentuale del 47% su una popolazione di età compresa tra i 16 e i 65 anni. Si tratta infatti di un problema che non affligge solo gli adulti, ma che è in costante aumento, specie tra i più giovani: coinvolgeva infatti il 34% dei ragazzi che affrontavano gli esami di terza media nel 2018. Oggi un giovane italiano su sei non è in grado di comprendere appieno il significato di ciò che legge, non sa interpretare o leggere tra le righe di un testo, né parafrasare un semplice periodo.

Ora, unendo questo preoccupante fenomeno alla ricchezza e complessità della nostra lingua, è facile immaginare un cocktail esplosivo di conseguenze, devastanti a livello relazionale.

Se per un solo punto mal posto Martino, Abate del monastero di Asello, perse la cappa, e la Sibilla Cumana costruì la sua fama immortale sull’omissione di una virgola in un suo celebre vaticinio, è evidente che tutte le regole grammaticali e sintattiche devono essere rispettate; perché considerarle trascurabili, e quindi aggredibili o ignorabili, può avere conseguenze a volte buffe, ma altre volte imbarazzanti quando non offensive. Se poi si aggiunge qualche inopinato errore nella scelta del sostantivo, del verbo o dell’aggettivo, ecco che l’imprevedibilità prende il timone.

 

Parole in azienda (a sproposito): i capi “irreperibili” e le regole “lascive”

E in azienda, quanto peso hanno le parole?

In realtà moltissimo, anche perché le implicazioni sono diverse e potenzialmente più dannose, specie nel lungo periodo, rispetto alla sfera familiare o dell’amicizia. Le complessità organizzative e gli interessi in gioco agiscono infatti da amplificatore delle criticità.

Se aggiungiamo il fatto che, quando parliamo di un qualsiasi argomento, la scelta dei sostantivi che lo definiscono e degli aggettivi che lo qualificano rivelano il nostro pensiero in proposito, i pericoli legati alle incomprensioni si moltiplicano ulteriormente. Se un capo chiama “sottopostii suoi collaboratori palesa immediatamente il suo modo antiquato di concepire la leadership; così come un mentore che considera “ragazzino” il brillante stagista appena affidatogli non dimostra certo di possedere grandi doti nello svolgimento del suo compito: difficilmente, infatti, coglierà la differenza tra educare e insegnare, e di sicuro penserà di non aver nulla da imparare da chi non ha ancora la sua esperienza.

Se poi la scelta delle parole usate non avviene con consapevolezza, ma è anche frutto di errore, le conseguenze divengono incontrollabili. Mi è capitato, nel corso di una presentazione in azienda, di ascoltare un collega che si scusava per una fotografia appena mostrata che appariva, a suo dire, eccessivamente “costipata”. Confesso che faticai a capire a cosa si riferisse, ma di certo il mio primo pensiero fu rivolto a evitare un possibile contagio e non certo ai numerosi elementi presenti nell’immagine.

Anche definire un capo “irreperibilein luogo diirreprensibile” trasforma un complimento alla sua serietà in un’involontaria denuncia di assenteismo; così come sottolinearne la capacità di “imprimere” le sue decisioni sui collaboratori trasforma la descrizione di un carattere deciso in un capo di imputazione di un processo per abusi e violenze sul luogo di lavoro. E non farebbe fare una bella figura al suo predecessore il capo che impone nuove regole, più rigide e restrittive, in luogo di quelle precedentemente vigenti, ritenute eccessivamente “lascive”.

 

Il lavoretto, l’aziendina, le virgolette: altri esempi degli orrori linguistici nelle aziende

Vi è poi una ricca casistica di usi errati della lingua che possono generare pericolose incomprensioni, come accade per alcuni verbi il cui significato è stato modificato proprio a causa del loro improprio uso collettivo. Un classico aziendale riguarda il verboimplementare”, ormai divenuto sinonimo di “incrementare”, e che invece significa “rendere operante, attivare, realizzare” un progetto o un’idea. Se quindi in una riunione un dirigente usa il verbo implementare riferendosi a un progetto in discussione, ognuno dei partecipanti si aspetterà qualcosa di diverso: alcuni penseranno che il progetto sia fermo al punto di partenza, altri che è terminato e deve essere ulteriormente arricchito. Lo stesso dicasi per l’aggettivo “ridondante”, sovente utilizzato quale sinonimo di “ripetitivo” mentre il suo vero significato è “eccessivamente pieno, sovrabbondante”.

Assai diffuso è anche l’abuso di virgolette, nate per delimitare citazioni o attribuire sfumature ad alcune parole o frasi, e che vengono spesso usate a sproposito, con il risultato di sminuire alcuni concetti invece di rafforzarli – oltre all’immagine imbarazzante del gesto con le dita “a coniglietto” che ne accompagna l’utilizzo.

Glissando su inglesismi e aziendalese, già spesso trattati, si merita un posto in questa galleria degli o/errori anche l‘eccessivo uso dei diminutivi che fa collocare ogni concetto in una Lilliput virtuale, sminuendone il più delle volte il valore: un lavoretto, l’aziendina, un progettino.

Probabilmente un business del futuro potrebbe essere la creazione delle escape room ortografiche, per uscire dalle quali è necessario usare correttamente l’italiano e comprenderne il significato. Probabilmente, però, sarebbe un’impresa troppo ardua.

Occorre comunque prevenire gli effetti di questo andazzo, a volte rischiando magari di fornire agli interessati istruzioni a prova di analfabeta funzionale. Come quelle ad esempio utilizzate da un importante comune italiano, che così spiegava agli utenti i servizi di autocertificazione disponibili online, precisando che: “(…) A seconda dell’intestatario del CF alcuni certificati potrebbero non essere visibili (per es. certificato di matrimonio per persone non coniugate, certificato di morte per persone ancora in vita)”.

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