Green pass e mense aziendali: il pasticcio è servito

L’inchiesta di SenzaFiltro in cinque imprese del Nord Est: si lavora gomito a gomito, ma si mangia separati. Anche se le mense aziendali sono garantite dai contratti. Massimiliano Bianchi, segretario FILCAMS CGIL: “Con il buon senso non si fa il diritto”.

In principio fu la mensa aziendale.

Al rientro dalla pausa estiva è esplosa, nelle aziende italiane, la questione Green pass. Settimane di dibattito tra sostenitori dell’obbligo nelle aree ristoro e fieri detrattori, impegnati a lanciare il grido d’allarme sulle disuguaglianze sociali tra lavoratori vaccinati (o tamponati) e il resto della popolazione aziendale. Un tema sostenuto a più riprese da diversi opinionisti di professione, in tutti i nobili salotti della tv.

Ikea il caso di impresa privata più discussa, con la direzione che ha vietato l’ingresso ai dipendenti sprovvisti di certificazione, mentre nel pubblico la portata principale ha visto le forze dell’ordine arrendersi, dopo Ferragosto, all’iniziativa del governo. Come conseguenza abbiamo assistito a un ciclo continuo di immagini dei dipendenti esiliati all’esterno, che hanno condito la narrazione di tutti i talk di prima serata. Nel frattempo, però, lo scarno e polarizzato dibattito ha ancora una volta dimenticato il piatto forte dell’approfondimento.

Già, perché forse sarebbe bastato frequentare qualche tavolo sindacale per capire le radici concrete della questione. Il provvedimento sulle mense aziendali, arrivato tramite FAQ dal ministero, lascia infatti qualche perplessità di natura organizzativa prima che sociale, anche in considerazione dell’impegno profuso da molte realtà nell’ottemperare a tutti i protocolli anti-contagio. Protocolli strutturati in ogni spazio aziendale, mense comprese.

A riprova di questo, durante i lunghi mesi della pandemia, con SenzaFiltro abbiamo visitato cinque diverse mense all’interno di stabilimenti produttivi in Friuli, Veneto e Lombardia, trovando sempre la stessa e doverosa rigidità di accesso. E rafforzando, quindi, la convinzione di essere all’interno di un cortocircuito normativo.

No Green pass, no mensa. Massimiliano Bianchi, FILCAMS CGIL: “Limitato un diritto dei lavoratori”

Incomprensibile, infatti, che persone impegnate a collaborare in una stessa postazione di lavoro (pensiamo ad esempio a due manutentori meccanici a bordo macchina) si siano trovate divise nella sola pausa pranzo, dove le sale nella stragrande maggioranza dei casi prevedono tavolini per una sola persona e pannello in plexiglass.

Chi ha avuto la fortuna di conoscere e visitare qualche stabilimento produttivo sa che casi come quello descritto rappresentano la norma e non l’eccezione. Nelle lavorazioni metalmeccaniche, ad esempio, spesso due o più operatori prestano servizio fianco a fianco, soprattutto per la complessità di alcuni impianti; una situazione già ampiamente discussa durante i primi mesi di pandemia e risolta grazie all’utilizzo di mascherine FFP2 e al distanziamento sociale minimo necessario.

Peraltro il nocciolo è ancor più complesso e di natura strettamente contrattuale. Bisogna infatti ricordare che, grazie ad accordi interni o di secondo livello, la mensa – dove presente – è un elemento retributivo a tutti gli effetti, ragion per cui negare il servizio al personale sprovvisto di certificazione verde può rappresentare un vulnus da sanare in diverso modo. Soprattutto con l’arrivo della stagione invernale, che avrebbe con il senno di poi escluso in via definitiva i “no Green pass” dal pasto quotidiano, se non altro per ragioni di temperatura esterna.

“Nelle mense ci sono state molte situazioni di grande contrapposizione. Nei fatti il personale sprovvisto di Green pass mangia all’esterno o, nelle realtà virtuose, sono state adottate soluzioni diverse attraverso l’utilizzo di altri spazi dedicati, sempre all’aperto. Iniziative che esulano dalla norma, ma è chiaro che all’interno di un vuoto normativo sta al datore di lavoro trovare alternative”. Massimiliano Bianchi, già segretario generale FILCAMS CGIL, racconta così l’esperienza di questi ultimi quaranta giorni.

“Alcuni hanno per fortuna assunto delle posizioni di buon senso; però, aggiungo, non è possibile fare del diritto con il buon senso. Altre organizzazioni, al contrario, hanno invece assunto delle decisioni che oggettivamente non ci hanno visto favorevoli, limitando di fatto un diritto contrattuale per i lavoratori.”

Green pass, ogni azienda è un tribunale. I dipendenti delle mense sono a rischio?

E i lavoratori delle mense?

“Ci sono ulteriori argomenti di discussione per chi si occupa del servizio mensa, di cui non si è parlato molto. Perché è chiaro che se prima del 23 agosto nei ristori arrivava a mangiare un determinato numero di lavoratori, ora in alcune organizzazioni si può anche dimezzare, portando a galla un tema di sostenibilità. Sostenibilità che puoi reggere fintanto che ci sono ci sono gli ammortizzatori sociali previsti per l’emergenza COVID-19, ma se con il primo novembre – quando finirà il blocco dei licenziamenti – non ci saranno più questi ammortizzatori sociali, è evidente che qualche problema in più può sorgere.”

Un elemento non così frequente ma di certo ipotizzabile. “Se non prendi una posizione ferma, e mi riferisco al governo con il tema del Green pass, crei quello che gli esperti definiscono un trade off, un’ambiguità tale per cui non riesci più a far sì che le norme si applichino con una cogenza la più possibile corrispondente alle fattualità del contesto”.

Seguendo il ragionamento sulla discrezionalità del datore di lavoro, è facile desumere che le aziende, tra agosto e settembre, si sono trovate davanti a un ampio ventaglio di opzioni. L’impressione, quindi, è che ognuno abbia adottato la propria soluzione, in totale ordine sparso. Come? Attraverso un’equa suddivisione tra chi ha continuato con il servizio come se niente fosse cambiato, chi ha recepito pedissequamente la direttiva e chi – la maggioranza dei siti contattati – ha demandato al fornitore del servizio l’amaro onere del controllo.

Viero Negri, Amedea Servizi: “La solita legge all’italiana. C’è chi è sia controllore che controllato”

“Diciamo che la questione Green pass è molto complessa, soprattutto per il netto contrasto con la normativa sulla privacy.”

Viero Negri è direttore tecnico commerciale e socio fondatore di Amedea Servizi, società che si occupa di ristorazione collettiva, pulizie e front office, con circa duecento lavoratori che garantiscono servizi ad aziende terze. In questo caso, oltre che lavoratori controllati, c’è anche il ruolo di controllori. Una scomoda doppia veste.

“Il problema principale è nominare le persone addette al controllo, redigere i documenti relativi e completare il lavoro, che per quanto riguarda il nostro settore può essere effettuato solo da una persona incaricata.”

Un bel minestrone. “La verifica all’interno degli spazi di ristorazione può essere completata solo con cellulari aziendali e con device dedicati (come l’applicazione Verifica C19), anche se alcune aziende in questi giorni hanno utilizzato telefoni personali. Inoltre non possiamo mettere a verbale nessuna rendicontazione e, ciononostante, certi clienti ci scrivono chiedendo una dichiarazione che accerti il possesso di Green pass da parte dei miei collaboratori. Impossibile.”

Difficile la vita da controllati per chi lavora a casa d’altri. “Controllare invece è già più semplice, l’unica difficoltà la riscontriamo quando ci sono diversi ingressi aziendali o quando non si capisce chi si deve far carico dell’attività. Dal momento che lavoriamo per conto terzi, anche i preposti del cliente hanno possibilità di controllo”. E nel frattempo si naviga in un mare di burocrazia: “Bisogna stare molto attenti perché siamo di fronte alla solita legge all’italiana, in cui non tutti sanno bene che cosa devono fare”.

Un menù ricco e variopinto, antipasto concreto di quanto potrebbe accadere a partire dal prossimo quindici ottobre, con il decreto che estende il Green pass a tutti i lavoratori. E con il consueto carico di interrogativi compresi nel prezzo.

Photo credits: uglchimici.it

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