I centri estivi e la stagione delle promesse non mantenute

Sogno deluso di un’esperienza di mezza estate e molta precarietà. Parliamo dei tanto attesi centri estivi e in primis di chi ci lavora. Caldeggiati da tempo, acclamati o anche criticati – a priori – con parole altisonanti, ma soprattutto sfiorati da promesse fin dal principio poco mantenute. Se il meteo di quest’estate ormai scoccata è […]

Sogno deluso di un’esperienza di mezza estate e molta precarietà. Parliamo dei tanto attesi centri estivi e in primis di chi ci lavora. Caldeggiati da tempo, acclamati o anche criticati – a priori – con parole altisonanti, ma soprattutto sfiorati da promesse fin dal principio poco mantenute. Se il meteo di quest’estate ormai scoccata è ancora tutto da scoprire, il tema centri estivi si è rivelato sin da subito rovente per le numerose implicazioni coinvolte nella complessa fase del coronavirus, che cristallizza sul podio dell’attenzione la questione sicurezza legata a doppio filo con quella della responsabilità. Con costi annessi e connessi.

I centri estivi vengono organizzati ogni anno in vari comuni italiani rispondendo a importanti necessità: la socializzazione di bambini e adolescenti attraverso attività ricreative, la possibilità per i genitori di conciliarsi con i propri impegni professionali e la continuità lavorativa degli educatori. Esigenze che, durante il periodo di contenimento targato COVID-19, sono state messe all’angolo più volte, e che ora hanno la comprensibile urgenza di trovare una risposta concreta. A maggior ragione in questo frangente si eviterebbe di delegare la cura dei bambini ai nonni, definiti all’unanimità i soggetti che necessitano maggiormente di protezione rispetto al possibile contagio. Non una panacea, ma un servizio che, munito di professionalità e monitoraggi ad hoc, dovrebbe dare un po’ di respiro dopo un periodo denso di disagi.

Se i bilanci esaustivi potranno essere elaborati al termine dell’esperienza, con tutte le sfaccettature del caso, un primo punto della situazione emerge però già dalla fase iniziale, che rivela crepe tutt’altro che marginali e dinamiche paradossali.

 

Educatori pagati 5 euro lordi come i “volontari”: così i centri estivi fanno i saldi

Per addentrarci nei punti scomodi del tema abbiamo coinvolto chi vive in prima linea i diversi aspetti del contesto: gli educatori e le educatrici. Abbiamo così contattato Rosario Boccadifuoco, educatore appassionato del suo lavoro da 21 anni, conduttore radiofonico della trasmissione Signore e signori, il welfare è sparito in onda su radio Città Fujiko, frequenza 103.1, e da 9 anni attivista nell’ambito del collettivo “Educatori Uniti contro i Tagli”. Il collettivo ha creato la Rete Nazionale Operatori Sociali di cui Rosario stesso è cofondatore.

 

La prima questione che affrontiamo è quella relativa alla presenza massiccia dei volontari nei centri estivi. Che cosa accade? “Sul territorio di Reggio Emilia è stata, ad esempio, firmata un’intesa che privilegia la figura dei volontari all’interno dei centri estivi”, racconta a questo proposito Rosario. “Si tratta di un problema che nasce dieci anni fa, da quando i centri estivi non sono stati più ritenuti dei servizi educativi dai comuni. I bandi vengono così vinti principalmente dalle polisportive e dalle parrocchie, che non applicano il contratto nazionale, ma danno una specie di rimborso spese giornaliero, che va dai 5 ai 6 euro lordi l’ora, ai volontari”.

Volontaripagati: non è una contraddizione che rischia tra l’altro di togliere lavoro agli educatori? “Non li possono inquadrare in altro modo, e per il resto si tratta di una dinamica annosa che di fatto punta su chi non ha una qualifica. Diversi comuni in Emilia-Romagna, regione all’avanguardia rispetto ad altre per i servizi, stanno affidando i centri estivi alle parrocchie o alle polisportive, mentre pochissimi sono quelli gestiti dalle cooperative. Tutto questo sempre per una questione economica: il servizio delle polisportive costa infatti meno di quello delle coop, che chiedono 22 euro circa all’ora per un educatore, anche se quest’ultimo ne guadagna 9 lordi. Non è un problema derivante solo dai comuni, ma anche dalle cooperative stesse, per le quali spesso i centri estivi, se li fanno, non sono magari sostenibili con il rischio di andare in perdita”.

Non viene ovviamente messo in dubbio l’impegno dei volontari coinvolti, “che non hanno responsabilità della situazione” come conferma il nostro intervistato, ma il fatto che si utilizzi il volontariato (rimborsato) come mezzo per poter spendere di meno a discapito di risorse umane che hanno fatto un investimento professionale e formativo su un determinato percorso. Per dovere di cronaca segnaliamo anche che in alcune note di presentazione dei centri estivi si parla anche di tirocinanti volontari.

“L’estate è spesso un periodo critico per chi lavora nel mondo del sociale: non a caso noi ci sentiamo dei precari a tempo indeterminato”, evidenzia Rosario Boccadifuoco. “Basti pensare al fatto che molti educatori, quando la scuola termina, si trovano senza lavoro perché le cooperative non hanno possibilità di fare i centri estivi. Una situazione assurda che ogni anno porta alla necessità di attivare il FIS – Fondo Integrativo Salariale, ossia la nostra cassa integrazione, di tipo ordinario. A Bologna molti educatori non hanno ancora ricevuto il FIS del 2019, ed è già passato un anno!”.

Volontari al posto dei lavoratori, cassa integrazione per sopperire a buste paga inesistenti e a un’estate sbranata dell’assenza di tutele. Prende così vita un’altra dinamica paradossale. Per non rischiare di restare senza stipendio – da una parte o dall’altra – gli educatori lasciano temporaneamente la loro cooperativa e vanno a prestare servizio all’interno dei centri estivi affidati alle polisportive. Remunerati dai 5 ai 6 euro all’ora lordi, così come i “volontari” rimborsati.

Educatori che rimbalzano da una precarietà all’altra, scivolando dai 9 euro lordi ai 5. E a volte accade non solo per scongiurare entrate pari a zero, ma perché sono loro stessiin debito”, come rivela Rosario: “Se tu non completi tutto il monte ore previsto dal contratto con la cooperativa devi poi fare un piano di recupero sulla parte di stipendio che ti è stata pagata. A inizio estate ti viene così richiesto di prestare servizio nei centri estivi o in eventuali centri diurni, solo che non è detto che tu riesca a esaurire le ore, proprio per come sono organizzati i centri estivi. Questa cosa è prevista dallo stesso contratto nazionale, e da noi attivisti è stata molto criticata perché è come un cappio al collo. Prevede anche che l’educatore dia i soldi indietro”.

 

Le promesse da marinaio che scontentano educatori e utenti

Al di là del prequel denso di precarietà che coinvolge da tempo l’ambito, in cui brillano comunque esempi virtuosi, il quadro che emerge al momento presenta ulteriori lacune relativamente alle aspettative che in generale i centri estivi 2020 dovevano soddisfare, post lockdown.

“Questa poteva essere una grande occasione per un impiego massiccio di educatori ed educatrici, e invece così non è stato così: i comuni si baseranno infatti sul numero di preiscritti e ad oggi non ci risulta che tutti gli educatori saranno impiegati”, spiega Rosario. A fianco di questa aspettativa delusa resta incagliato un dato disarmante a livello sia nazionale, con ben 350.000 operatori e operatrici rimasti senza lavoro in fase di lockdown, sia regionale, in riferimento all’Emilia-Romagna, con 25.000 lavoratori in FIS straordinario.

L’aspettativa era sostenuta anche dal fatto che, proprio per motivi di sicurezza, il rapporto tra numero di educatori e gruppo di bambini è doverosamente cambiato: “Se prima c’era un educatore per circa 20 bambini, nel caso dei piccoli si prevede il rapporto 1 a 5, per quelli più grandi 1 a 7, eccetera”.

Altra questione in gioco, la partenza ritardata. Questa primavera si era parlato di un probabile avvio a inizio giugno, e invece molti centri sono partiti il 22 giugno se non i primi di luglio, togliendo di netto ogni possibilità in un mese strategico per la situazione lavorativa di genitori ed educatori.

Anche la durata di diversi centri estivi lascia molto a desiderare. Documentandoci sulle proposte pubblicate, in diversi territori i centri termineranno il 7 agosto, lasciando scoperta una fetta corposa d’estate e un grande punto di domanda. Quest’anno infatti molte fabbriche e aziende resteranno aperte ad agosto per recuperare attività prima sospese o dimezzate. I genitori come potranno conciliarsi con il loro lavoro? Babysitter (se disponibili), parenti, altri congedi (se fattibili)?

Ulteriore tema cardine i costi di iscrizione, in generale lievitati proprio per poter sostenere le spese implicate nei protocolli che prevedono l’utilizzo di presidi, igienizzanti, organizzazioni apposite. C’è chi diversifica secondo le fasce ISEE, chi si calibra solo sulla fascia oraria scelta. “In alcuni casi i comuni sono riusciti a calmierare i costi, ma per la maggior parte sono cresciuti”, sottolinea Rosario. “Si è comunque pensato anche al fatto che il bonus babysitter possa essere utilizzato per i centri, ma Federconsumatori ha denunciato che non tutti questi bonus sono arrivati. A Reggio Emilia i centri estivi composti da professionisti, proprio a causa dei costi più alti, hanno ad esempio pochissimi iscritti”. Inoltre il bonus per i centri estivi vale fino al 31 luglio.

Una nota positiva riguarda invece il coinvolgimento dei bambini disabili. L’estate 2019 aveva purtroppo conosciuto situazioni di vere e proprie mancanze di rispetto di un diritto fondamentale, quello all’inclusione. Parliamo di casi di centri estivi, balzati anche sulla cronaca locale e nazionale, che davano come possibilità massima di frequenza ai bambini disabili le due settimane e non oltre, sempre per una questione di risparmio dovuto all’educatore ad personam. Quest’anno sono stati evitati limiti temporali, che ledevano dignità e diritti, ed è stata data loro la priorità di iscrizione ai centri estivi. “Il merito va soprattutto alle famiglie, che si sono battute molto su questo tema”, evidenzia Rosario.

 

Dimmi di dove sei e ti dirò che centro estivo avrai (e se l’avrai)

Il viaggio lungo le diverse proposte dei centri estivi ha il sapore frammentato dello stivale italiano, che ancora una volta conferma diversità – tra traguardi raggiunti e promesse decapitate – non solo da regione a regione, ma anche da provincia o comune appartenente alla stessa. Elemento invece trasversale per la partecipazione ai centri estivi è la nota del Verbale n. 84/2020 del Comitato Tecnico Scientifico nazionale: «La precondizione per la presenza presso il servizio educativo “estivo” di bambini e di tutto il personale a vario titolo operante è l’assenza di sintomatologia respiratoria o di temperatura corporea superiore a 37.5°C anche nei tre giorni precedenti; non essere stati in quarantena o isolamento domiciliare negli ultimi 14 giorni; non essere stati a contatto con persone positive, per quanto di propria conoscenza, negli ultimi 14 giorni. Pertanto si rimanda alla responsabilità individuale rispetto allo stato di salute proprio o dei minori affidati alla responsabilità genitoriale».

Il Veneto è stato, ad esempio, una delle prime regioni a parlare di progettazione dei futuri centri estivi già durante la fase del #iorestoacasa. Secondo i dati forniti da Coldiretti regionale, oltre 331 fattorie didattiche sono coinvolte nel progetto, il che permette loro anche un recupero lavorativo. Inoltre la campagna è per ora considerata COVID-free, pur tenendo tutte le precauzioni del caso.

Approdando sull’Emilia-Romagna la proposta risulta spesso più articolata. Qui si punta al coinvolgimento di una fascia d’età spesso dimenticata, quella degli 0-3 anni, che ha visto troncarsi di punto in bianco i servizi dell’asilo nido e che, non meno di altre, necessita di opportunità di socializzazione.

Situazione disarmante al Sud: “Qui i centri estivi non sono attivi in tutte le regioni, e quelli che vengono fatti sono gestiti più che altro da associazioni cattoliche”, esplicita Rosario. “Al Sud la situazione è tragica per protratte situazioni di mancati pagamenti durante tutto l’anno. Qui la figura dell’educatore è quasi inesistente, e addirittura viene chiamata con altri nomi e inquadrata a livelli più bassi, sempre per avere la scusa di poter pagare di meno persone che hanno fatto regolari percorsi di formazione”.

Immergendoci in questa realtà colma di ammaccature, dove resiste tuttora la passione di molti educatori, relativamente ai centri estivi che cos’è che alla fine è pesato di più: la paura del virus o la paura di assumersi delle responsabilità? “La seconda, e questa è la vera sconfitta”, afferma Rosario. “Soprattutto per i bambini e i disabili, che sono stati i veri dimenticati di questa pandemia. Con ripercussioni anche sul nostro operato. Perché noi lavoriamo nel disagio per trasformarlo, non per subirlo.” 

 

 

Photo credits: donnaglamour.it

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