Lavoratori “fuori classe”

Profonde trasformazioni culturali sono intervenute nell’industria metalmeccanica e non solo. Sono cambiati i riferimenti di valore dei lavoratori che si traducono in orientamenti e comportamenti “dentro e fuori” il luogo di lavoro. Si è esaurita – e non da oggi – quella fase storica in cui il lavoro aveva assunto una connotazione quasi ideologica, e […]

Profonde trasformazioni culturali sono intervenute nell’industria metalmeccanica e non solo. Sono cambiati i riferimenti di valore dei lavoratori che si traducono in orientamenti e comportamenti “dentro e fuori” il luogo di lavoro.
Si è esaurita – e non da oggi – quella fase storica in cui il lavoro aveva assunto una connotazione quasi ideologica, e in particolare l’appartenenza alla cosiddetta “classe operaia”.

Nell’opinione corrente l’idea di lavorare in un’industria si collocherebbe fra i luoghi di lavoro meno ambiti, ad eccezione proprio degli occupati nell’industria metalmeccanica.
Si registra infatti una perdita di valore assegnato dall’immaginario collettivo al lavoro manuale ed alla dimensione della fabbrica che vede nella mansione operaia e nel lavorare in fabbrica un sinonimo di dequalificazione, serialità, impersonalità, sporcizia, scarsa remunerazione. Con l’eccezione, però, di chi in quella realtà ci vive e svolge quelle mansioni.

Secondo la ricerca realizzata da Community Media Research, e promossa da Federmeccanica su tutto il territorio nazionale e per tutti i settori produttivi, siamo passati dalla “classe dei lavoratori”, a “lavoratori fuori classe”. In sintesi siamo passati dalla appartenenza ad un inquadramento contrattuale (operai; impiegati; quadri; dirigenti) a lavoratori caratterizzati da una forte soggettività che non si riconoscono più in una “classe” omogenea. In questo senso i lavoratori si presentano “oltre” la classe. E, in qualche modo, sono dei “fuoriclasse”.

Gli orientamenti dei lavoratori dell’industria metalmeccanica svelano un quadro generale venato da profonde trasformazioni: il 72,1% si sente come “a casa” all’interno dell’impresa, il 75,6% è disponibile a introdurre flessibilità negli orari e nei turni, il 77,8% vuole contribuire a realizzare innovazioni per risolvere problemi che si presentano sul lavoro, il 62,1% ritiene che debbano essere pagati di più quelli con una maggiore preparazione, cui si aggiunge il 32,3% che chiede sia data a tutti un’adeguata formazione di base, ma poi ognuno se la deve giocare da sé.

Il mutamento culturale consiste nel fatto che questi lavoratori percepiscono l’azienda sempre più come il luogo dove sviluppano la dimensione relazionale e individuale in una parola: la propria identificazione.

L’impresa acquista un valore sociale, per sé e per il territorio, oltre la mera dimensione economica.
Il lavoro è una dimensione fondamentale perché contribuisce a definire la nostra identità, le nostre relazioni sociali e il nostro status. Il riconoscimento (di un prestigio) sociale passa attraverso il raccontare i successi della propria storia professionale.

La dimensione della flessibilità nell’organizzazione del lavoro, l’importanza della formazione continua on the job per accrescere la propria professionalità, la partecipazione e il coinvolgimento personale sono fattori sempre più sentiti nei luoghi dove si lavora, così come il clima relazionale, e costituiscono tutti aspetti fondamentali che contribuiscono alla identificazione della persona lavoratore.

Dalla “classe” di operai, impiegati e quadri siamo passati a “collaboratori” caratterizzati da una forte soggettività che non si riconoscono più in una “classe” contrattuale.

Oggi a prevalere, più che l’inquadramento contrattuale, è il livello di identificazione con il proprio lavoro e l’azienda. E ciò è particolarmente vero per i lavoratori delle aziende multinazionali dove la progressione di carriera si fonda su un maggiore impegno personale e sulla volontà di investire nella propria formazione professionale.

A tale profonda trasformazione ha contributo anche la contrattazione collettiva nazionale. Il sistema di classificazione previsto dalla contrattazione collettiva ha subito un profondo mutamento nel passaggio al sistema del cd. inquadramento unico (sia per gli impiegati che per gli operai).
La maggior parte dei contratti collettivi nazionali, infatti, al fine di delineare le linee guida al corretto inquadramento, adotta tale metodo (attraverso le “declaratorie contrattuali”), secondo il quale operai, impiegati e quadri, pur appartenendo a categorie legali differenti, vengono classificati nel medesimo livello in quanto le mansioni da loro svolte hanno, alla luce di quanto valutato dalle parti sociali, analogo valore professionale.

Ecco che, all’apertura dei negoziati con le organizzazioni sindacali per l’importante rinnovo del Ccnl Industria Metalmeccanica privata, elementi rivelatori delle tendenze e dei comportamenti dei lavoratori italiani sono particolarmente significativi e devono farci riflettere sul lavoro che verrà.

La riflessione sulle trasformazioni culturali e sociologiche legate al lavoro in primis nell’industria deve infatti far evolvere le regole e i meccanismi di funzionamento del mercato del lavoro per essere in linea con i mutamenti organizzativi e industriali dei prossimi anni.

 

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