I distretti sono ancora attuali?

I distretti industriali sembrano di fronte ad una nuova vita. La ripresa economica incipiente ha portato nuova linfa vitale a questa particolarissima struttura industriale, tipica del nostro Paese. Possiamo accontentarci di questi segnali positivi o, piuttosto, è doveroso porci alcuni interrogativi per evitare i problemi del recente passato? I distretti sono ancora attuali, così come […]

I distretti industriali sembrano di fronte ad una nuova vita. La ripresa economica incipiente ha portato nuova linfa vitale a questa particolarissima struttura industriale, tipica del nostro Paese.
Possiamo accontentarci di questi segnali positivi o, piuttosto, è doveroso porci alcuni interrogativi per evitare i problemi del recente passato? I distretti sono ancora attuali, così come sono?

I distretti sono caratterizzati da una pluralità di piccole e medie imprese (PMI) su di una medesima area territoriale. Il vantaggio principale è il reciproco sfruttamento di conoscenze, competenze ed esperienza della manodopera, unitamente alla possibilità di usufruire di importanti sinergie tra di esse.

Il distretto industriale si comporta, di fatto, nei momenti di congiuntura favorevole, come un’unica grande impresa, anche se composto da una moltitudine di realtà indipendenti, in larga maggioranza a conduzione famigliare.

Questo modello produttivo ha attraversato un periodo molto difficile che è culminato nel momento della crisi economica. Certo, la crisi rappresenta la causa più importante delle difficoltà dei distretti, ma segnali di malessere si sono manifestati già da prima e la crisi non ha avuto che l’effetto di amplificarli.

Oggi i segnali positivi sono incoraggianti, ma non sarebbe saggio nascondere i punti di debolezza. I punti critici dei distretti sono essenzialmente tre, tutti interrelati: i) la dimensione media delle imprese, rispetto a quella del mercato; ii) il ruolo della conduzione famigliare nella gestione dell’impresa; iii) l’accesso ai canali di finanziamento per investimenti e internazionalizzazione. Riguardo al primo aspetto: il mercato di riferimento per molte imprese oggi è caratterizzato da una domanda globale molto più ampia che nel passato, per via del nuovo ruolo assunto da nuovi protagonisti nel commercio mondiale. Imprese di piccole dimensioni faticano molto a fronteggiare picchi di domanda così importanti, col rischio di perdita del copyright dei propri prodotti e di conseguente perdita del mercato. In questo ambito, la conduzione famigliare spesso non permette una capacità di interpretazione e gestione dei mutamenti del mercato. Il fondatore-proprietario ha spesso in sé la genialità dell’innovatore, ma non quella del manager, che in un mondo sempre più globalizzato, diventa figura essenziale, in quanto portatore di competenze e relazioni specifiche. Infine, l’accesso al finanziamento: l’eccessiva dipendenza dal credito bancario rende le PMI dei distretti molto più vulnerabili ai mutamenti delle condizioni di finanziamento (sia per quanto riguarda la quantità che il costo), con un impatto negativo sui nuovi investimenti.

Ora, rendere i distretti meno vulnerabili rispetto alla crisi significa prima di tutto cercare di risolvere questi problemi, aprendo ad un ruolo più attivo dei manager e cercando – laddove possibile – di pervenire ad un consolidamento di alcune imprese, aumentandone la dimensione, per poter aggredire i mercati con maggiore sicurezza e poter interagire con il sistema bancario da una posizione più robusta. Il ruolo del private equity rimane cruciale per lo sviluppo delle imprese appartenenti ai distretti.
Il sentiero per la crescita oggi passa attraverso la definizione di strategie e professionalità evolute, permettendo l’interazione tra la capacità innovativa e quella manageriale. Se i distretti sapranno sfruttare il momento positivo per rinnovarsi dall’interno, diventeranno più grandi, più globali (come cultura e mercato) e meno vulnerabili.

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