Il nero in rosso. La crisi delle onoranze funebri durante il COVID-19

Uscire di casa per lavorare, nonostante i rischi di contagio da COVID-19. Farlo per senso di responsabilità, perché si è italiani. Vedere le casse della propria impresa in perdita, mentre da fuori tutti sarebbero pronti a giurare il contrario, magari tacciandoti di essere, sotto sotto, un po’ avvoltoio. Nessuno spot li identifica come eroi in […]

Uscire di casa per lavorare, nonostante i rischi di contagio da COVID-19. Farlo per senso di responsabilità, perché si è italiani. Vedere le casse della propria impresa in perdita, mentre da fuori tutti sarebbero pronti a giurare il contrario, magari tacciandoti di essere, sotto sotto, un po’ avvoltoio. Nessuno spot li identifica come eroi in prima linea in questa surreale emergenza. Eppure sono loro, gli addetti delle onoranze funebri, a trattare con i corpi delle vittime da Coronavirus e i loro parenti confusi e straziati. Come è cambiato questo mestiere nell’emergenza?

Lo abbiamo chiesto a chi opera intorno alla capitale e a chi lo fa in provincia, precisamente nell’area in cui si è registrato il primo decesso da COVID-19.

Alessandro Taffo, onoranze funebri: “Con il COVID-19 il lavoro è cambiato. E qualcuno ha deciso di lasciare”

Alessandro Taffo, dell’omonima impresa di onoranze funebri, è celebre per aver scelto in passato una comunicazione decisamente alternativa. Di tutt’altro tenore le sue parole, oggi.

“Non abbiamo mai ricevuto indicazioni precise riferite al settore funerario”, ci spiega quando gli chiediamo come si sia mosso in questa emergenza. “Né la nostra regione di riferimento, il Lazio, né il Ministero della Salute, hanno emanato un protocollo indirizzato agli operatori. Abbiamo quindi deciso di omologarci prendendo le stesse protezioni definite per i medici, gli infermieri, per tutti gli addetti che si sarebbero dovuti recare in locali dove si trovavano corpi affetti da COVID-19. Quindi tute ignifughe, protezioni per gli occhi, guanti, mascherine. Tutti i presidi di protezione individuali specifici per gli operatori sanitari”.

Sappiamo che in alcune regioni il lavoro degli addetti alle onoranze funebri è aumentato in modo esponenziale, purtroppo. È successo anche a voi?

So che può sembrare paradossale, ma nel caso del Lazio e dell’area in cui operiamo, le morti del primo trimestre 2019 corrispondono più o meno a quelle dello stesso periodo del 2020. La chiusura di tutte le attività, la quarantena, hanno portato infatti le persone a restare a casa, e quindi si sono ridotte le uscite e ridimensionate tutte le morti accidentali. Purtroppo, dall’altro canto, hanno inciso sulle statistiche della mortalità i deceduti da coronavirus. Abbiamo assistito impietriti ai mezzi militari pieni delle bare di connazionali. Cimiteri stracolmi e, nelle zone più colpite come Bergamo, il ricorso agli spazi nelle chiese come stazione per i feretri.

In una situazione così inedita, tutti i famigliari hanno potuto scegliere se cremare o meno i propri congiunti, o l’emergenza pubblica ha superato il diritto privato?

Ogni famiglia, con un’autocertificazione, ha potuto chiedere il tipo di tumulazione desiderata e la cremazione, liberamente. Come detto io parlo della mia esperienza nel Lazio, ma so che le disposizioni sono rimaste le stesse a livello nazionale.

Vi eravate mai trovati in situazioni estreme prima d’ora?

Mi viene in mente il terremoto dell’Aquila. (6 aprile 2009, N.d.R.). Ci furono trecentosette vittime. Insieme ad altre onoranze, portammo via duecentoquaranta salme in un solo giorno.

Che cosa è cambiato oggi nel vostro lavoro?

Ci sono stati chiaramente dei momenti drammatici, anche di vera disperazione; momenti in cui non sapevamo come affrontare la cosa. Sono stati mesi tremendi, quelli trascorsi. Mi sono trovato più volte a incoraggiare i miei collaboratori, a cercare di dar loro la forza di andare avanti, anche se a dire la verità ero io a sentirmela venir meno. La paura del contagio nonostante tutta la “bardatura”, tutte le attenzioni. La paura per la salute della famiglia, quando la sera rientravano. So che alcune imprese hanno fatto delle scelte, che sia chiaro, non mi permetterei mai di giudicare, tanto meno in un momento così particolare. Ci sono state molte filosofie di lavoro, e qualcuno ha scelto di lasciare.

Che cosa intende?

In certi momenti la situazione era così drammatica che alcune imprese hanno deciso di non lavorare. Hanno rifiutato incarichi. Non se la sono sentita di rischiare. So per certo che c’è stato anche chi ha applicato rincari di prezzo fortissimi per eseguire le esequie. E chi, come la nostra impresa, ha accettato, dopo una valutazione e un confronto molto combattuto, di andare avanti anche se in perdita. Va spiegato infatti che quello che era il servizio funerario oggi si è ridotto a trasporto funerario. Niente più veglia, niente più fiori. Il nostro mestiere si compone di varie funzioni, che ora non c’è il tempo di effettuare. I costi per le imprese si sono quadruplicati però, perché i presidi di protezione individuale di massimo livello costano. Siamo quindi sulla soglia minima dei livelli economici, e non nascondo che la Pubblica Amministrazione, con la quale lavoriamo molto, non si è calata neanche per un attimo nei nostri panni. Attualmente le cose si stanno calmando, ma si teme il dopo ripresa. Come avverrà? Che cosa accadrà? C’è un gran timore per il ritorno dei lavoratori nei rispettivi luoghi operativi.

Che cosa l’ha portata a continuare?

È stato mio papà. Ci ha spinto ad andare avanti. È riuscito a ridarci coraggio durante una soffertissima riunione con tutto il mio personale. Proprio mentre ero sul punto di mollare, preoccupatissimo per i miei collaboratori e le nostre famiglie, lui è intervenuto. Ci ha detto semplicemente che eravamo chiamati anche noi a fare la nostra parte, da italiani.

Cremazioni solo per scelta: neanche il virus passa sulle volontà dei defunti

Dalle regione della capitale ai piedi dei Colli Euganei, in provincia di Padova, a pochi chilometri da Vo’ dove il 21 febbraio scorso l’Italia contò la sua prima vittima da COVID-19. Siamo a Monselice. Qui lavora, tra le altre imprese, la Lefer di Boccardo M. & C.

Graziana Boccardo si occupa da anni della parte amministrativa, ed è quindi lei a cogliere come sul piano tecnico il coronavirus abbia forzato i tempi dell’aggiornamento della burocrazia. “Può sembrare assurdo e incredibile – dice – ma la necessità di rispettare la distanza sociale per motivi di sicurezza ha costretto la burocrazia a snellire i suoi cavilli, e a fare dei passi avanti sotto tanti punti di vista. Moltissimi degli atti da espletare per una persona deceduta ora possono essere affidati al pc; vengono svolti via mail, con la PEC”.

“Qui fortunatamente non abbiamo vissuto la situazione terribile che purtroppo abbiamo visto in Lombardia, ma ci sono stati comunque dei momenti in cui abbiamo dovuto darci una mano tra imprese funebri, e da una ventina di giorni anche noi qui in provincia ci stiamo occupando di casi COVID-19. L’altro aspetto nuovo per noi sono state naturalmente le protezioni individuali, che nell’ultimo periodo, non posso fare a meno di notare, sono rincarate in un modo che a mio avviso è vergognoso. Il ricorso alla cremazione è in aumento, ma questo trend è iniziato molto prima che scoppiasse l’emergenza. Perché i congiunti del defunto scelgono questa soluzione, o addirittura perché la persona stessa, quando ancora in vita, ha manifestato espressamente questo desiderio.”

Quanto costa questo procedimento di sepoltura? “Dipende”, ci spiega il fratello Maurizio Boccardo. “Ad esempio: per i residenti a Padova la spesa ammonta a 240 euro più alcune marche da bollo, per un totale che si aggira sui 300 euro. Per le persone residenti in provincia, 500 euro. In questi giorni abbiamo registrato un calo delle morti, finalmente e per fortuna, ma va sottolineato che comunque, anche nel periodo dell’emergenza, la cremazione è rimasta come sempre una libera decisione dei famigliari. Il diritto di manifestare la volontà è rimasto sempre assolutamente intoccabile, non è stato imposto niente a nessuno”.

“C’è poi una considerazione da fare. Le numerose cremazioni registrate nei casi di Bergamo sono state dovute al fatto che il numero enorme di defunti nello stesso arco di tempo, purtroppo, ha messo in difficoltà gli spazi dei cimiteri già in sofferenza. Fenomeno, questo, diffuso da tempo un po’ in tutta Italia. Per questo il comune ha consigliato – voglio rimarcare: consigliato – la cremazione, al fine di trovare un posto nei luoghi di sepoltura locali. Alcune persone, ad esempio, hanno scelto di tenere in custodia le ceneri del congiunto. Questa decisione è prevista per legge a prescindere dalla straordinaria situazione che stiamo vivendo. Va chiarito che le ceneri, in questo caso, vanno conservate dalla persona che se ne assume la custodia, nell’abitazione o comunque a un determinato numero civico, che diventa una sorta di estensione dell’anagrafe cimiteriale. Ogni spostamento deve essere motivato e comunicato al comune, che valuta se concederne l’autorizzazione o meno. Tutto è stato rimesso sempre e comunque alla volontà dei famigliari.”

Foto by difesapopolo.it

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