Il trasporto merci italiano va lento come la burocrazia

L’Italia perde ogni anno 42 miliardi di euro di Pil a causa delle inefficienze logistiche, soprattutto del trasporto merci. E’ l’allarme lanciato da Confcommercio in occasione del 1° Forum internazionale di Conftrasporto, tenutosi a Cernobbio il 12 e il 13 ottobre. Per l’occasione, è stata presentata l’indagine “Nota sui problemi e le prospettive dei trasporti […]

L’Italia perde ogni anno 42 miliardi di euro di Pil a causa delle inefficienze logistiche, soprattutto del trasporto merci. E’ l’allarme lanciato da Confcommercio in occasione del 1° Forum internazionale di Conftrasporto, tenutosi a Cernobbio il 12 e il 13 ottobre. Per l’occasione, è stata presentata l’indagine “Nota sui problemi e le prospettive dei trasporti e della logistica in Italia”, condotta dall’Ufficio Studi Confcommercio in collaborazione con ISFORT (Istituto Superiore di Formazione e Ricerca per i Trasporti).
I risultati dello studio rendono perfettamente l’idea di quante coincidenze perda il nostro Paese e di quanti affari si faccia scappare per l’incapacità di mettersi al passo con i tempi. Un esempio su tutti: le operazioni di export/import nei porti italiani impiegano mediamente 18,5 giorni, contro i 9,5 della Spagna, gli 8,5 del Belgio, gli 8,2 della Germania e i 6,5 dell’Olanda, per citare alcune concorrenti europee. Insomma, l’Italia per trasportare le merci impiega il doppio o addirittura il triplo del tempo rispetto agli altri paesi dell’Ue. E, dei 18,5 giorni necessari, 10,5 si perdono per la documentazione burocratica.
Nelle statistiche, gli effetti di questo gap sono evidenti: dal 2007 a oggi il trasporto merci nel suo complesso (su gomma, su rotaia, via mare e via aerea) si è ridotto del 17,6 per cento, ovvero quasi tre volte il calo del Pil (6,6 per cento). E il ritardo italiano – se prendiamo come riferimento l’indice Lpi (Logistic Performance Index, aggiornato al 2014) della Germania – pesa sul Pil per circa 42 miliardi di euro l’anno (2,8 per cento). Citando la similitudine usata dal presidente di Confcommercio Carlo Sangalli, è come se su ogni cittadino pendesse “una tassa occulta di 700 euro”.
Ma perché l’Italia è fanalino di coda per i servizi di logistica e trasporti? Cosa le impedisce di garantire tempi di consegna competitivi? La prima causa del deficit italiano è l’inadeguatezza delle infrastrutture. Come documentato nello studio di Confcommercio, il nostro Paese si colloca al 15esimo posto in Europa per i trasporti ferroviari, al 17esimo per quelli su strada, al 19esimo per il sistema portuale e al 21esimo per quello aeroportuale. E la crescita della rete stradale e di quella ferroviaria ad alta velocità sono state comunque troppo modeste per poter competere con quelle delle altre reti europee.
Concorre alla lentezza delle nostre esportazioni, inoltre, la scarsa accessibilità materiale (in termini di costi e di tempistiche) e digitale dei territori. Le criticità più forti in tal senso si registrano al Sud: se in Piemonte e Lombardia l’accessibilità si attesta intorno al 70 per cento, Calabria e Basilicata si aggirano sul 40 per cento e la Sardegna addirittura sul 30. Il rischio è che si vada verso l’isolamento di alcune aree geografiche. Il presidente di Conftrasporto Paolo Uggè, intervenuto al Forum di Cernobbio, ne ha dato un’idea: “Delle dieci grandi reti di comunicazione entrate nella Quick list della Commissione Ue, ben quattro attraversavano l’Italia. Oggi il corridoio 5, che passa da ovest a est, è rallentato e il corridoio 8 è di fatto annullato perché si sposterà sui Balcani”.
A far perdere al Paese ulteriore terreno sui mercati internazionali ci pensano le lunghe e complicate procedure burocratico-amministrative (predisposizione dei documenti, sdoganamento, ispezioni e controlli, movimentazione e trasporto dei carichi). Uggè ha citato il caso di Evergreen, uno dei più grandi operatori logistici del mondo, che voleva investire nel porto di Taranto oltre 100 milioni. Ebbene, la burocrazia ha sospeso i suoi lavori di ampliamento dei fondali e il colosso ha dirottato i suoi investimenti su Atene e Barcellona.
Uno dei maggiori errori dello Stato – secondo gli autori dello studio Confcommercio-ISFORT – è quello di non aver mai considerato la logistica come un settore produttivo in sé. Infatti si è sempre pensato quasi esclusivamente a produrre, come se il trasporto venisse poi in automatico. Questo anche perché molto spesso sono gli stessi clienti a farsi carico delle spedizioni, acquistando i prodotti franco fabbrica.
Eppure non è tutto nero. Secondo due recenti studi della Commissione Navigazione a Corto Raggio di Confitarma (Confederazione Italiana Armatori), l’Italia risulta al secondo posto fra i paesi Ue e al primo nel Mediterraneo per tonnellate di merci trasportate attraverso gli 800 km di autostrade marittime, per un giro d’affari di circa 5 miliardi di euro. Un dato che trasmette fiducia ma anche rabbia, in quanto rende l’idea di come l’export potrebbe trainare l’economia italiana verso la ripresa se solo si colmassero certe lacune del sistema.
Ma come agire a tale scopo? il Paese non può fare a meno di una politica per i trasporti e la logistica, che preveda investimenti strategici sulla rete infrastrutturale, sulle nuove tecnologie applicate alle piattaforme logistiche, e a favore di uno snellimento delle fasi procedurali e organizzative che precedono la partenza delle merci. Tutte misure che produrrebbero allo stesso tempo un abbattimento dei tempi e un contenimento dei costi marginali della distribuzione dei beni, aumentandone l’appetibilità. Una sfida difficile ma imprescindibile affinché l’immenso valore riconosciuto in tutto il mondo al made in Italy non vada sprecato.

 

(Photo Credits: Samuel Zeller)

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