La felicità al lavoro è una competenza da allenare

Come sarebbe il mondo se ogni bambino, ogni persona, ogni professionista, ogni azienda, ogni governo, potesse avere accesso a giuste informazioni e solidi strumenti 
per costruire la propria felicità? Come cambierebbe l’esperienza di un paziente che entra in ospedale se tutti, dai medici agli infermieri, sorridessero e fossero gentili e positivi? Come cambierebbe l’esperienza di un […]

Come sarebbe il mondo se ogni bambino, ogni persona, ogni professionista, ogni azienda, ogni governo, potesse avere accesso a giuste informazioni e solidi strumenti 
per costruire la propria felicità? Come cambierebbe l’esperienza di un paziente che entra in ospedale se tutti, dai medici agli infermieri, sorridessero e fossero gentili e positivi? Come cambierebbe l’esperienza di un bambino in una scuola o di un dipendente in azienda? Queste domande potrebbero apparire retoriche e le risposte scontate. Ovvio, sarebbe molto meglio: chi non preferirebbe stare bene a lavoro e quindi fare star bene, di conseguenza, anche gli altri? Eppure non accade. Proviamo a capire perché.

I numeri della felicità al lavoro

Pensate, sono 1.752 le ore che ogni anno trascorriamo mediamente al lavoro, il 30% della nostra vita attiva. E per molti, oggi, questa percentuale è anche più elevata. Il lavoro è diventato una fonte di stress, tant’è che una legge obbliga tutti i datori di lavoro a valutarne i rischi derivanti per la salute, al pari di qualsiasi altra fonte di rischio esista nell’organizzazione.
I sondaggi di Gallup ci dicono che l’87% dei lavoratori nel mondo è demotivato e ce ne accorgiamo facilmente ogni giorno, leggendo i post sui social media o ascoltando le conversazioni la sera al bar: espressioni come “Black Monday” o “Thanks God is Friday” sono diventate di uso comune, a testimonianza non solo del malcontento, enormemente diffuso verso il lavoro, ma anche della percezione che questo sia qualcosa di completamente “separato” da ciò che intendiamo per “vita”.
In Italia 11 milioni di persone fanno uso di psicofarmaci. In famiglia all’aumentare dello stress dei genitori, i ragazzi sono per il 31% più esposti al rischio dipendenza da alcol o droghe. In Europa, 40milioni di lavoratori soffrono di stress da lavoro correlato. Il 65% dei lavoratori afferma di non sentirsi apprezzato. Le aziende con bassi livelli di engagement hanno cali del fatturato del 32.7% (fonte: Tower Perrins Report). Non sentirsi apprezzati è il principale motivo per cui i dipendenti lasciano le aziende ma, in tempi di crisi e disoccupazione galoppante — almeno in Italia — cambiare lavoro è un desiderio di molti che resta spesso troppo a lungo insoddisfatto.

L’era del cervello

Ciononostante, esistono motivi che spiegano perché si stia investendo tanto sul benessere a lavoro, su concetti come Positive Organization e Positive Business. Viviamo nell’era del cervello: oggi sappiamo dalle neuroscienze che la felicità è una competenza che possiamo allenare perché afferisce a come utilizziamo e facciamo funzionare il nostro cervello: sappiamo con certezza che in uno stato “positivo” (pensieri ed emozioni piacevoli) lavoriamo significativamente meglio che in uno stato neutrale o negativo: questo perché il cervello in uno stato positivo apprende più velocemente, è più creativo e intelligente per effetto di una serie di sostanze che produce, come la dopamina e le endorfine. Sappiamo anche che ci sono alcuni comportamenti sociali che ci fanno produrre sostanze e ormoni che ci fanno proprio bene: rinforzano il sistema immunitario, riducono il rischio cardiovascolare, ci rendono perfino più attraenti. Sappiamo, inoltre, che l’unico vero predittore della felicità che le ricerche hanno dimostrato è il capitale sociale, ossia la nostra capacità di costruire e mantenere relazioni di fiducia, sane, costruttive e positive con chi ci circonda. Questo perché siamo biologicamente predisposti alla socialità e infatti non è stata la specie più forte ad evolvere, ma quella che nel processo di adattamento all’ambiente esterno ha saputo cooperare.

La felicità paga

Motivo per cui vale la pena, oltre il solito abuso delle parole che ne sviliscono il senso, parlare di team o team building in azienda. Abbiamo chilometri di pagine di ricerche condotte negli ultimi dieci anni a testimonianza del fatto che la felicità “paga” e migliora tutti i risultati di business: +44% retention (Gallup); +37% vendite (Seligman); +300%innovazione (HBR); +31% produttività (Shawn Achor); -125% burnout (HBR); -66% assenteismo per malattia (Forbes); -55% turnover (Gallup). Un articolo pubblicato su “The Guardian” ha sintetizzato molto bene le più recenti scoperte scientifiche in tema di felicità e lavoro, evidenziando ad esempio come più soldi, più vacanze o un nuovo lavoro non bastino a renderci felici.

Secondo Sonja Lyubomirsky, psicologa e autrice del libro The How of Happiness, la chiave della soddisfazione è da ricercare nel perseguimento di specifici obiettivi collegati al proprio lavoro, piuttosto che obiettivi generici come “guadagnare di più”. È l’impegno quotidiano che sfida le nostre competenze per realizzare qualcosa di possibile, che garantisce il maggior livello di soddisfazione e felicità, non il risultato o l’obiettivo stesso. Avere obiettivi da raggiungere «ci aiuta a percepire sentimenti di scopo, efficacia e controllo del nostro tempo».

Inoltre, secondo Michelle Gielan, autrice di Broadcasting Happiness: «Avere buone relazioni sul posto di lavoro è il più potente predittore della soddisfazione di lungo termine. E non stiamo parlando di dozzine di amici o colleghi molto stretti; per sperimentare questi benefici basta una manciata di relazioni significative». Dunque, rafforzare un clima di lavoro amichevole e sereno è fondamentale per migliorare umore e stato d’animo.
Infine, i lavoratori felici sono quelli che “sentono” che il loro lavoro ha un senso: «E ogni lavoro può essere significativo se il tuo cervello dice che lo è», afferma Shawn Achor, psicologo e autore di The Happiness Advantage. «Possiamo infondere senso a qualsiasi attività lavorativa se ci focalizziamo sulla costruzione di relazioni, sullo sviluppo delle capacità o sul supporto che ne riceviamo per le nostre famiglie».

I falsi miti nel lavoro: “no pain no gain”, su tutti

Proviamo, quindi, ad abbandonare i falsi miti e a concentrarci su ciò che può davvero migliorare ogni giorno la qualità del nostro lavoro e renderci felici. Un falso mito da sfatare — e che in questo caso spiega perché la felicità è un proposta convincente per le aziende e conviene anche al business — è la formula del “no pain no gain”, ovvero il concetto del prima il dovere, il sacrificio e poi il piacere, il successo. Per decenni i nostri stili manageriali ed educativi hanno seguito questa logica, per anni abbiamo lavorato seguendo una formula tra successo e felicità che la scienza ha dimostrato essere completamente sbagliata e contraria a come funziona il nostro cervello. Sì, perché sotto sforzo, pressione costante, o in presenza di emozioni spiacevoli e pensieri catastrofici, il nostro cervello si chiude e si prepara alla reazione primordiale e fisiologica, cosiddetta di attacco o fuga, caratterizzata dalla produzione di sostanze come l’adrenalina o il cortisolo (il famoso ormone dello stress) che, se messe continuamente in circolo nel nostro organismo, hanno un impatto negativo sulla nostra salute e di certo non favoriscono il problem solving, l’innovazione, la collaborazione. Qualcuno di voi ha mai avuto una buona idea in una giornata in cui ha corso tutto il tempo o si è sentito sotto pressione, insoddisfatto, offeso o non considerato?

Il supporto delle neuroscienze

Oggi in tutto il mondo le Business School e le Università più accreditate (da Berkeley, ad Harvard, da Stanford alla London Business School) propongono MBA e percorsi dedicati al Positive Business e all’Happiness Management.

Parlare di felicità in azienda è sicuramente provocatorio ma, oltre ai percepiti e alle mode organizzative, oggi sono le neuroscienze a dare fondamento all’argomento e a porlo come base delle scelte più innovative e “sensate” per costruire un successo duraturo e sostenibile, sebbene questa scelta comporti un lavoro di cambiamento culturale non semplice né immediato ma che di certo vale la pena fare, perché crediamo che il lavoro possa e debba ritornare ad essere un tempo di vita e che le organizzazioni debbano essere luoghi dove le persone stanno bene.

(Photo credits: unsplash.com/Russn Fckr)

 

CONDIVIDI

Leggi anche

Il Dirigente della Pubblica Amministrazione non è più intoccabile: è l’ora del buon esempio

Il Dirigente di una Pubblica Amministrazione ha precisi doveri nei confronti dei dipendenti pubblici suoi collaboratori. Deve favorire un atteggiamento di trasparenza, imparzialità e reciproca lealtà, costruendo un ambiente sereno e valorizzando le potenzialità di tutti i soggetti che, sotto la sua guida, adempiono al loro ruolo professionale. La Riforma Madia approvata lo scorso anno, […]

Startup: che tipo sei?

L’identità è una cosa seria. Lo è per una persona, lo è per un brand ma lo è anche per una start up. Partire verso il mercato con la consapevolezza di chi realmente si è e dove si vuole andare permette di essere più credibili e convincenti nei confronti di Business Angels e Venture Capitalist. […]

Raccomandazione non è più una brutta parola

Filosofo o ingegnere che tu sia, se ti presenti con una buona capacità di comunicare oggi hai un vantaggio: ci sono molte vetrine online su cui sperimentarsi, dove qualcuno a tua insaputa sta cercandoti per offrirti un’opportunità. Personal Branding: sense and sensibility Di là dalla rete c’è una nuova sfida professionale oppure una possibilità che […]