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La mancia del Presidente
Nelle centinaia di articoli usciti sul nuovo presidente della Repubblica ai lettori più attenti non sarà sfuggito un particolare: Sergio Mattarella ha l’abitudine di lasciare la mancia. Al bar vicino alla Corte Costituzionale, al suo fidato barbiere di Palermo, Franco, che volentieri racconta: Quando viene paga 25 euro. Ma lui ne lascia 30 così cinque […]
Nelle centinaia di articoli usciti sul nuovo presidente della Repubblica ai lettori più attenti non sarà sfuggito un particolare: Sergio Mattarella ha l’abitudine di lasciare la mancia. Al bar vicino alla Corte Costituzionale, al suo fidato barbiere di Palermo, Franco, che volentieri racconta: Quando viene paga 25 euro. Ma lui ne lascia 30 così cinque sono di mancia ai collaboratori.
Diciamolo: quella di Mattarella è un’abitudine poco italiana, forse più consona ad un vecchio gentiluomo siciliano qual’è. In Italia la mancia la lasciano solo gli americani e i ricchi arabi nei ristoranti e nei grandi alberghi. Perchè da noi quest’usanza non ha mai attaccato? La spiegazione è semplice. In America, Canada e Messico camerieri e tassisti (questi ultimi perlopiù dipendenti) sono sottopagati e irrobustiscono lo stipendio con le mance, il 15 o il 20% del conto o del costo della corsa. Da noi invece i camerieri sono assunti con contratto e contributi mentre tutti i tassisti sono padroncini.
Raccontarla così però è forse troppo semplice. Quello della mancia è infatti un concetto ben più complesso. La teoria economica sostiene che nel mondo della ristorazione erogando un basso stipendio (che include il pasto) il datore di lavoro col sistema delle mance riduce il costo del monitoraggio del dipendente che in un mercato competitivo passa a carico del consumatore. Il risultato soddisfa al tempo stesso il cliente (sarà trattato meglio) e il “padrone”: essendo infatti la mancia una percentuale del conto i camerieri hanno tutto l’interesse che il cliente ordini di più. Vista dall’ottica di chi serve ai tavoli la mancia è l’equivalente delle stock option per i manager e al tempo stesso consente di individuare e separare i lavoratori più bravi (quelli che fanno incassare di più e che trattano meglio i clienti) dai fannulloni e dagli scortesi. Insomma il sistema delle gratuities aumenta la produttività, il profitto e incrementa la meritocrazia. A voi giudicare se la mancata introduzione di questa prassi in Italia dipenda (come sostengono alcuni) dalla storica forza dei sindacati che riescono a strappare paghe sicuramente più alte di quelle statunitensi lasciando però intaccato un sistema che obbiettivamente non incentiva i dipendenti. Tra l’altro avere parte dello stipendio in mance ridurrebbe il cuneo fiscale visto che su queste somme non si pagano le tasse.
Ma non è il versante italiano che ci interessa bensì quel che sta accadendo negli Stati Uniti. Dove la globalizzazione, la crescita dei movimenti antagonisti, l’insostenibile disuguaglianza sociale ha portato i tanti americani esclusi dalla redistribuzione della ricchezza a reclamare un aumento del salario minimo per i lavori umili, sia quelli che non prevedono le mance (ad esempio i dipendenti dei fast food) sia quelli che tradizionalmente li prevedono. Gli stessi datori di lavoro si chiedono se non sia meglio rivedere la struttura dei salari a vantaggio di stipendi più dignitosi. Sempre più pub e ristoranti pubblicizzano come una novità il divieto di elargire mance garantendo che da loro camerieri e baristi hanno una paga oraria più alta.
Oltretutto anche la clientela comincia a defilarsi da questa prassi. All’estero uno dei successi dei taxi Uber è la tariffa chiara perché orfana della mancia, che per la classe media americana sembra ormai diventata una specie di tassa privata sulla ricchezza. Chi entra in un ristorante di livello a New York o San Francisco spesso si trova costretto a pagare, oltre ad un robusto conto, la mancia al cameriere, al sommelier, alla guardarobiera e al valletto che parcheggia la macchina o chiama il taxi. In certi casi è come volare con alcune compagnie low cost: le spese accessorie ti costano quanto il biglietto. Non è un caso – dicono gli economisti – che l’abitudine della mancia negli Stati Uniti sia radicata solo per quei servizi che in passato erano appannaggio dei ricchi (il ristorante, il taxi). Se per assurdo infatti dovessimo estendere ad altri ambiti il concetto (pagare per esser trattati meglio) dovremmo domandarci: perchè al cameriere e al tassista sì e invece al commesso del supermercato o al maestro di sci no?
Domande che lasciamo volentieri ai consumatori anglosassoni che devono fare conti con un’altra novità forse più rivoluzionaria: la mancia elettronica, resa possibile dal minor uso del contante a beneficio dei sistemi di pagamento con i POS tramite tablet. Dove, accanto al costo da caricare sulla carta di credito, i software visualizzano direttamente la somma da elargire (1, 2 o 3 dollari) il che scoraggia gli acquisti di piccolo importo (per un caffè da due dollari te ne va un terzo di mancia) mentre altri sistemi prevedono opzioni come il 20, 25 o il 30% della spesa (chi vuol dare una somma differente deve vedersela con l’umore del cameriere).
Senza contare poi che si va diffondendo la moda, soprattutto nei locali frequentati da giovani, nerd e startupper, di usare le app per dare la mancia in Bitcoin, la misteriosa cripto moneta virtuale. Chissà se Franco, il barbiere di Mattarella, sarebbe disposto ad accettarli…
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