La Mare Jonio cerca ponti, non eroi

4000 miglia percorse in acque internazionali, sei casi di intervento diretto in due mesi, un team salvataggio in raddoppio, centinaia di ore spese per addestrare l’equipaggio in caso di soccorso di imbarcazioni in difficoltà, e oltre 400.000 euro raccolti affinché l’iniziativa umanitaria non si arresti. Dopo essere salpata il 4 ottobre dal porto di Augusta, […]

4000 miglia percorse in acque internazionali, sei casi di intervento diretto in due mesi, un team salvataggio in raddoppio, centinaia di ore spese per addestrare l’equipaggio in caso di soccorso di imbarcazioni in difficoltà, e oltre 400.000 euro raccolti affinché l’iniziativa umanitaria non si arresti. Dopo essere salpata il 4 ottobre dal porto di Augusta, in Sicilia, la Mare Jonio non getta l’ancora; anzi, si prepara a un altro anno di “disobbedienza civile“. Testimoniare, documentare e denunciare agli occhi dell’opinione pubblica la tragedia dei migranti che nessuno racconta è tra le priorità di questa nave battente bandiera italiana. A equipaggiare la Mare Jonio è Mediterranea Saving Humans, la piattaforma messa in piedi dalla società civile all’indomani della decisione del governo italiano di chiudere i porti alle navi delle Ong.

Il recente caso di Aquarius, che all’inizio di dicembre ha dovuto dichiarare ufficialmente conclusa la sua attività di ricerca e soccorso nelle acque del Mediterraneo perché nessuno Stato le ha concesso una bandiera, ben dimostra il clima di rimpallo di responsabilità da parte di diversi Paesi europei. Negli ultimi mesi il tema di “porto sicuro” è diventato scottante, scatenando una serie di reazioni dal basso.

“In un mare di odio e silenzio Mediterranea naviga per la solidarietà dei diritti umani”, si legge sulla cover dell’omonima pagina Facebook, che sta funzionando come cassa di risonanza per il crowdfunding. All’iniziativa hanno aderito diverse realtà, tra cui Banca Etica (che ha anticipato il capitale iniziale), Arci, Ya Basta Bologna, il magazine online I Diavoli, imprese sociali come Moltivolti di Palermo, l’Ong tedesca Sea-Watch e diversi esponenti della sinistra italiana, come Nichi Vendola e Nicola Fratoianni.

“Siamo dove non vogliamo essere, in acque internazionali che si vanno trasformando in deserto, e in cui diventa sempre più difficile intercettare le richieste di aiuto”: queste le prime parole di Luca Casarini, capo missione della Mare Jonio, quando lo raggiungiamo al telefono.

 

Segnale interrotto nel mare muto

Nel momento in cui scriviamo la Mare Jonio è in sosta tecnica presso il porto di Palermo per mettere a punto, tra le altre cose, dei sistemi di comunicazione e radar più sofisticati. “Da quando abbiamo iniziato a navigare abbiamo notato una progressiva diminuzione dei Navtext, l’allarme che secondo la procedura viene lanciato in caso un’imbarcazione sia in difficoltà. Siamo, quindi, in un mare muto, in completo silenzio radio da parte del MRCC (Maritime Rescue Coordination Centre), rappresentato in Italia dal Comando generale della Guardia Costiera di Roma. Questo per noi è da interpretare come una precisa strategia politica che vuole evitare di imbattersi in operazioni di salvataggio in mare. Per ovviare a tutto questo abbiamo deciso di puntare sulla nostra maggiore autonomia nell’avvistamento di potenziali barconi in difficoltà”, spiega Casarini, precisando che i membri dell’equipaggio della Mare Jonio “non hanno alcuna intenzione di fare gli eroi: il nostro compito è allertare le autorità competenti affinché intervengano. Vogliamo essere l’occhio vigile del Mediterraneo. Ecco perché a bordo della nave c’è sempre un parlamentare o un esponente politico: quando è lui a rivolgersi alle autorità ci prendono sul serio”.

Ed è proprio ai confini di questo ruolo da testimone scomodo della Mare Jonio che si apre una faglia paradossale della questione migranti nel Mediterraneo centrale.

 

La truffa della SAR Libica

Dall’inizio dell’anno ci sono stati più di 2.000 morti nel Mediterraneo centrale. Un dato doloroso soprattutto perché appreso troppo tardi, dopo la tragedia in mare. È Filippo Miraglia, responsabile immigrazione di Arci Nazionale, a fare luce su un altro aspetto paradossale: “Da quando la Libia ha tracciato i confini della sua zona SAR (Search And Rescue), l’Europa si è fatta da parte non sentendosi più responsabile di ciò che accade in quel tratto di mare. Ma in realtà abbiamo scoperto che la SAR libica è un’invenzione burocratica fuori legge. Sappiamo di migranti riconsegnati dalla guardia costiera libica nelle mani dei loro torturatori, di persone finite in centri di detenzione al solo scopo di ricattare le famiglie. Un terribile gioco dell’oca di cui siamo in parte responsabili”.

Testimoniare, documentare e denunciare agli occhi dell’opinione pubblica ciò che nessuno racconta è tra le priorità della Mare Jonio.”Se dovessimo incontrare delle imbarcazioni in difficoltà presteremo soccorso, aiutando le persone a raggiungere il porto più sicuro, come impone la legge. Se il governo dovesse impedirci di attraccare in un porto italiano potrebbe aprirsi un contenzioso”.

 

Professionisti del salvataggio in continua formazione

Ma il soccorso in mare non si improvvisa: va provato e riprovato, nella speranza di non dover mai avere occasione per metterlo in pratica. “La Mare Jonio – continua il suo capo missione – ha un team rescue che dedica circa sei ore al giorno alla formazione, coadiuvata dalle Ong europee Sea Watch e Open Arms. Ogni membro ha un compito ben definito: per esempio il guest coordinator si occupa dell’accoglienza dei possibili naufraghi. Niente è lasciato al caso, ci esercitiamo su come vadano lanciati i life jacket, su cosa fare in caso di ustioni da benzina, su come gestire le crisi di panico dei naufraghi. I nostri volontari partivano da zero, ma sono stati in grado di acquisire le competenze: anche questa credo sia una bella conquista. Naturalmente a bordo della nave abbiamo anche un personale tecnico, oltre che un medico, un mediatore culturale e un avvocato”.

 

Ponti, non muri

A chiudere il bilancio di questi primi mesi di missione della Mare Jonio c’è il significato simbolico sbandierato dal Tricolore. “Proprio in un Paese che ha fatto di recente della lotta all’immigrazione uno dei suoi temi portanti, Mediterranea si dichiara orgogliosamente italiana. È un segnale di speranza anche per l’estero, di cui stiamo iniziando a cogliere i frutti”.

Da poco è stata inaugurata una nuova alleanza tra Ong, di cui Mediterranea è parte, insieme a Sea Watch, Open Arms e i due aerei dei piloti volontari che sorvolano lo spazio aereo delle zone Sar (il francese Colibrì e il tedesco Moonbird). Nel 2019 ci sarà anche un aereo italiano e l’alleanza si sta già allargando ad altre navi che presto ne faranno parte. “Vogliamo rappresentare la volontà di essere uniti in un momento in cui il mondo è diviso“, conclude Casarini. “Là dove i governi europei vorrebbero muri, noi costruiamo ponti. Per salvare esseri umani, persone, naufraghi”.

 

Photo credits by https://www.facebook.com/Mediterranearescue/

CONDIVIDI

Leggi anche

Partite Iva, lo scenario è dietro il sipario

Lo scenario italiano quando si parla di partite Iva è abbastanza confuso: è difficile riuscire a definire il confine fra il numero di autonomi sempre “tartassato”, e i cui guadagni risultano non certo da capogiro, rispetto a chi invece fattura cifre importanti. Riuscire a mappare questo mondo in maniera approfondita e analitica non è affatto […]

Senza la Digital Records il cinema avrebbe rischiato di piangere

“Nessuno ha mai pianto davanti una scena senza musica”. Ha esordito così Goffredo Gibellini, mentre sfoderava il divano violentato da un cane capriccioso e io mi perdevo tra i cavi colorati che si attorcigliavano elegantemente sul banco dello studio tra centinaia di pulsanti, manopole e potenziometri. Nella stanza grande, dall’altra parte del vetro, regnava invece un […]