La solitudine del manager

La solitudine manageriale è qualcosa che tutti, più o meno inconsciamente temiamo, ma è proprio quando siamo chiamati a prendere decisioni importanti, che ci rendiamo conto dei nostri limiti. Facile o difficile, per un Manager, il decidere è comunque inevitabile nel suo percorso professionale e, in tali situazioni, egli può entrare in crisi e sentirsi […]

La solitudine manageriale è qualcosa che tutti, più o meno inconsciamente temiamo, ma è proprio quando siamo chiamati a prendere decisioni importanti, che ci rendiamo conto dei nostri limiti.
Facile o difficile, per un Manager, il decidere è comunque inevitabile nel suo percorso professionale e, in tali situazioni, egli può entrare in crisi e sentirsi terribilmente solo di fronte alle sue responsabilità.

Napoleone Bonaparte nelle sue memorie scriveva che: “Nulla è più difficile e quindi più importante del saper decidere”. Noi esseri umani non abbiamo positivi precedenti in fatto di decisioni. Una delle primissime decisioni umane fu davvero disastrosa. Eva decise di cogliere e gustare un frutto che Dio gli aveva espressamente vietato. Decisione che ci precluse per sempre il paradiso terrestre.
Alla luce della mia personale esperienza posso affermare che esistono sostanzialmente tre approcci per superare la “solitudine dei numeri uno”.

La ricerca di un aiuto divino

Tuttora molti manager cercano un aiuto “divino” rivolgendosi a fonti ritenute superiori quali: indovini, preveggenti, astrologi, maghi, se non consulenti con particolare carisma e grandi abilità comunicative.

Nulla di strano, né di deprecabile. La presenza di eventi prodigiosi nella storia  dei condottieri e dei grandi profeti, appare sovente per giustificare processi decisionali coronati da successo.
Si narra nella Bibbia (Ezechiele 21:21) che, nel bel mezzo di una campagna militare Nabucodonosor, capo dell’esercito e re di Babilonia, avvertisse il bisogno di consultare gli spiriti, “poiché il re di Babilonia sta sul bivio, in capo alle due strade per tirare presagi: scuote le frecce, consulta agli idoli, esamina il fegato”.

La comparsa in cielo di una croce con la scritta, In hoc signo vinces”, avrebbe contribuito non poco nella vittoria di Costantino su Massenzio, nella battaglia di Ponte Milvio, affrontata in condizioni di oggettiva difficoltà. Intimamente convinto di essere destinato a lasciare un segno nella storia come strumento del volere divino, Costantino nutrì sempre una fede incrollabile nel proprio successo. Comunque si siano svolti realmente gli eventi in quel lontano ottobre dell’anno 312, qualcosa d’importante, se non di origine divina, ebbe sicuramente luogo.
Personalmente ritengo che un aiuto “divino”, anche se auspicabile, non sia di facile acquisizione.

La ricerca spasmodica di conferme esterne

Alcuni manager cercano di colmare le proprie insicurezze, chiedono spasmodicamente ad una sequenza infinita di collaboratori o consulenti di fornire loro un giusto consiglio, finché non ne trovano uno che dice loro esattamente quello che vogliono sentirsi dire.
Altri ancora, continuano a frequentare corsi e seminari alla ricerca di nuovi modelli di riferimento, vissuti a tutti gli effetti come la loro classica “coperta di Linus” con funzione di rassicurazione e tranquillità di fronte alla potenziale solitudine decisionale.
Anche quest’approccio è ben noto. Nell’antico testamento si narra a lungo di Roboamo, figlio del re Salomone.

Quando, a seguito di una successione nel regno del padre fu costretto a prendere una decisione, anziché ascoltare i saggi consigli dagli anziani, preferì consultare i giovani che erano cresciuti con lui ed erano in grado di trasmettergli messaggi più rassicuranti. Come risultato prese una decisione insensata e, a causa della ribellione di dieci tribù che elessero un altro re, perse gran parte del suo regno. Come sempre, il chiedere consiglio a collaboratori e consulenti con una lunga esperienza, richiede una certa dose di umiltà che non tutti i managers possiedono.

Scelte multi fuoco e secondo coscienza

Io credo viceversa che, oggi più che mai, il processo decisionale di un managers sia notevolmente più complesso rispetto al passato, perché egli deve agire attraverso delle scelte, “multi fuoco”. Certamente ha una strategia, ha degli obiettivi da perseguire, ma non sempre trova, attraverso un’adesione volontaria dei suoi collaboratori, una reale condivisione dei suoi stessi valori, così come lo era quasi sempre nel passato. Non solo, molte volte questa condivisione è formale, ma non sostanziale.

Orbene, io ritengo che la “solitudine dei numeri uno” sia inevitabile e che esista un solo approccio per superarla; la profonda convinzione che le decisioni importanti vanno prese, secondo la propria coscienza e in conformità con sani princìpi morali.
Alla fine le scelte in linea con quanto sopra esposto daranno sempre un buon risultato.

Ma, tutto ciò non basta, il manager dovrebbe essere nel contempo un profeta e un condottiero: dovrebbe saper ascoltare i problemi e le valutazioni dei suoi collaboratori e, conoscendo le difficoltà e il contesto in cui si muovono, dovrebbe saper individuare la corretta direzione in cui andare. Capacità che non sono facilmente cumulabili in una sola persona.

Il profeta in verità era probabilmente il miglior ascoltatore del popolo, colui al quale tutti andavano a raccontare i loro problemi, le loro angosce, i loro timori e le loro valutazioni; lui correlando tutto questo insieme, riusciva a derivare le necessità e le direzioni verso cui muoversi. Nello stesso tempo il profeta era un buon condottiero perché conoscendo la sua gente, conoscendo le difficoltà nelle quali si muoveva, riusciva ad individuare le strade attraverso le quali raggiunge la Terra promessa.
Sovente la “solitudine dei numeri uno” assume connotati riscontrabili in un profeta e in un condottiero e, in sintesi, anche l’ego, come disse Sir Kenneth Henry Grange Industrial, designer inglese, assume la sua importanza. “L’ego individuale è importante perché porta al raggiungimento degli obiettivi finalizzati nella realizzazione di un progetto e perché, in ultima analisi, quando nessuno crede in una nuova idea, è l’ego che la sostiene”.

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