L’ambiente senza educazione

Educazione ambientale come driver dello sviluppo sostenibile. Questa era la concezione che era alla base della Conferenza di Tbilisi, organizzata dall’UNESCO nell’ottobre 1977 sul tema che però già allora, eravamo agli arbori dell’ambientalismo che in quegli anni cresceva con il rifiuto del nucleare, aveva sentore della complessità. In quella occasione, infatti, l’educazione ambientale fu definita […]

Educazione ambientale come driver dello sviluppo sostenibile. Questa era la concezione che era alla base della Conferenza di Tbilisi, organizzata dall’UNESCO nell’ottobre 1977 sul tema che però già allora, eravamo agli arbori dell’ambientalismo che in quegli anni cresceva con il rifiuto del nucleare, aveva sentore della complessità. In quella occasione, infatti, l’educazione ambientale fu definita come “guidare gli individui e le collettività a conoscere la complessità dell’ambiente nel suo complesso sia di quello naturale, sia di quello creato dall’uomo, complessità dovuta all’interattività dei suoi aspetti biologici, fisici, sociali, economici e culturali”.

Un senso di complessità che negli anni si è perso, sedimentando troppo spesso un pensiero molto settoriale che è stata una “difesa” all’aumento della complessità ambientale. Si tratta di un meccanismo abbastanza diffuso a livello intellettuale anche in altre discipline che però quando parliamo d’ambiente ha un aggravante. Rispetto al 1972, tanto per fissare un anno preciso, ossia quello del rapporto “I limiti dello sviluppo” commissionato dal Mit al Club di Roma, già nel decennio successivo la disponibilità dei dati ambientali si era decuplicata. Gli anni ottanta, infatti, furono quelli della scoperta del buco nello strato d’Ozono e di cambiamenti climatici che portarono negli anni novanta alla Conferenza di Rio sullo sviluppo sostenibile e al Protocollo di Kyoto. Il decennio successivo fu quello della contaminazione.

Un caso per tutti: il Rapporto Stern. Il 30 ottobre 2006 il Sole24Ore definiva questo documento: “Rapporto shock: l’economia mondiale minacciata dai cambiamenti climatici“. E a ragione visto che l’autore Sir Nicholas Stern non era un esponente di Greenpeace, ma aveva  rivestito il ruolo di capo economista della Banca Mondiale. E l’educazione ambientale, specialmente in Italia, di sicuro non ha seguito questi sviluppi. Mentre, per esempio, nei paesi anglosassoni si è utilizzato l’immenso patrimonio di analisi, riflessioni e dati ambientali delle Nazioni Unite, che sono pubblici e utilizzabili, per il marketing, il coaching d’impresa, il crisis management e la formazione aziendale, anche d’alto livello, in Italia l’educazione ambientale è rimasta al palo, al punto che oggi è complesso persino trovare le professionalità che possano intervenire su ciò. E bisogna scavare non poco per trovare realtà innovative. Senza alcuna pretesa di completezza ecco alcune esperienze che reputo interessanti e che soprattutto nascono dal “basso” ossia da iniziative autonome e non da istituzioni che troppo spesso hanno un approccio “settoriale” quale quello descritto.

Resilienza locale

Il primo è quello dell’esperienza di Dario Tamburrano come parlamentare europeo M5S che ha come plus, in questo caso positivo, di provenire dalla politica. Tamburrano una volta sbarcato a Bruxelles si è accorto che l’Unione Europea consente a ogni europarlamentare di gestire un ufficio locale, al fine di mantenere i contatti con i cittadini e informarli sulle proprie attività al Parlamento europeo.

Un metodo che nelle intenzioni della Ue serve a informare i cittadini sull’attività dell’Europa unita e che Tamburrano ha interpretato in una propria personalissima chiave. Sfruttando questa opportunità, l’eurodeputato pentastellato ha trasformato una piccola e vecchia palestra, sulla via Nomentana, a metà strada tra il centro e la periferia, in un’aula didattica multimediale dandogli il nome di Unità di Resilienza Locale (URL) che è connessa alla rete, con possibilità di streaming, e con alcune tecnologie per l‘efficienza energetica. La URL è aperta ai cittadini e vi si organizzano, eventi, incontri e corsi gratuiti di formazione e informazione ambientale legate ad obiettivi e legislazione UE.

«All’inizio non avevo dato importanza a questa opportunità, ma poi ho iniziato a riflettere che si sarebbe potuta realizzare una struttura diversa, innovativa anche sotto il profilo sociale, più utile ai cittadini, che diventa anche un luogo di comunicazione dell’attività politica. Ciò anche per superare la scarsa comunicazione in materia di politiche europee che abbiamo in Italia, rispetto agli altri paesi UE. – ci dice Tamburrano – Solo sulle questioni europee e sulle dinamiche delle direttive Ue c’è un intero mondo da far scoprire ai cittadini. Quello che mi sono posto come obiettivo è far si che termini come economia circolare o efficienza energetica non rimangano delle parole vuote, ma si sappia come implementare nel concreto, queste tematiche, specialmente da parte delle persone».

E non si tratta solo di un investimento sul presente ma anche di cambiare la concezione, sociale e ambientale, di ciò che consideriamo, in Italia, il futuro. «Uno dei problemi del nostro Paese è che si considera futuro ciò che in altri paesi è già il presente. – prosegue Tamburrano – Per esempio la stampa 3D, che la Ue definisce una tecnologia chiave abilitante (ey enabling technology KET N.d.R.) con ricadute in campi diversi, da noi è considerata una tecnologia da “nerd” (smanettone informatico N.d.R.) e la maggior parte delle persone non ne vede l’utilità concreta sia nella vita quotidiana, sia in quella imprenditoriale». Nel giro di soli sei mesi nella URL di Tamburrano si sono tenuti una ventina di corsi, tra i quali quelli sull’efficienza energetica, sulla stampa 3D e sulla progettazione europea.

Leggi il giornale e ti educhi

Altra questione cruciale nello scenario italico dell’educazione ambientale è quello dell’informazione che si occupa di tematiche ambientali. E su questo fronte siamo al gap descritto all’inizio. Ossia l’informazione ambientale, come quella generalista, non è al passo con i tempi, intesi come contenuti e dati, per non parlare della gestione avanzata dell’informazione come quella legata ai big data e alle potenzialità del web e dei social.

E il tentativo di fare da ponte tra i contenuti ambientali e la scuola lo ha fatto Paola Bolaffio, ex giornalista “ruspante” di cronaca e inchiesta che dieci anni fa ha avuto l’idea di portare l’educazione ambientale nelle scuole italiane, usando come “cavallo di Troia” l’informazione sull’ambiente e fondando così Giornalisti nell’Erba (Gne). «L’idea è stata quella di utilizzare i giovani trasformandoli in dei “traduttori” e divulgatori dell’informazione scientifica, attingendo a notizie accurate su ambiente, energia, clima, sostenibilità. – ci dice Paola Bolaffio – E questi giovani diventano ottimi interpreti sotto a questo profilo, visto hanno voglia di capire e possiedono la libertà dai condizionamenti culturali che hanno molti operatori specializzati».

Ed è un vero e proprio giornale on line che fa da collante a questa rete nella quale sono presenti giovani tra i 3 e i 29 anni, insegnanti, ricercatori, aziende, istituzioni, ambientalisti, scrittori e giornalisti». Ed è interessante come da questa rete non definita, fatta di profili diversi, nasca informazione/educazione ambientale diversa da quella a cui siamo abituati. Durante tutta l’Expo 2015 la redazione di Gne ha prodotto oltre 200 servizi video, tutti realizzati, montati e messi on line, dal posto tramite tablet. Mentre per capire, e spiegare, al meglio i processi industriali che diventano sostenibili i giovani giornalisti di Gne hanno “tradotto” in un gioco di carte il bilancio di sostenibilità di Carlsberg Italia. «Attorno all’immagine dello stabilimento Carlsberg di Induno si esplicitano tutte le fasi necessarie a monitorare l’analisi dell’impatto ambientale (Lca) lungo tutto il ciclo di vita del prodotto, dalle materie prime al fine vita. – aggiunge la Bolaffio – È un puzzle/mosaico per sottolineare che ogni elemento ha un senso se unito al resto, e che serve per contare senza fatica i numeri del “peso” delle emissioni di CO2».

E alla birra, che è severamente vietata ai minori di 18 anni, i Giornalisti nell’Erba hanno deciso di aggiungere la pasta ed ecco allora che Barilla Group ha chiesto loro di mettere sotto alla loro lente giornalistica il proprio rapporto annuale di sostenibilità “Buono per Te, Buono per il Pianeta“, cosa che è stata realizzata “facendo la spesa d’informazioni” durante l’incontro annuale con i grandi stakeholder, quali Fao, Save the Children, Oxfam, Wwf, Greenpeace, Legambiente e riportando il tutto con gli strumenti giornalistici.

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