L’anno zero delle spiagge libere: la “terra di nessuno” indifferente al virus

“Un anno fa eravamo qui a contare quanti comuni sulla costa stessero mettendo al bando la plastica monouso, oppure stavamo imparando a riconoscere e rispettare le tracce delle tartarughe per la deposizione delle uova sulle spiagge”. Insomma, nel mondo prima del COVID-19 la “moda sana” dell’estate 2019 erano le cannucce eco e i divieti di fumo […]

“Un anno fa eravamo qui a contare quanti comuni sulla costa stessero mettendo al bando la plastica monouso, oppure stavamo imparando a riconoscere e rispettare le tracce delle tartarughe per la deposizione delle uova sulle spiagge”. Insomma, nel mondo prima del COVID-19 la “moda sana” dell’estate 2019 erano le cannucce eco e i divieti di fumo in spiaggia, oscurati per qualche giorno solo dal mojito di Matteo Salvini nella consolle del Papeete.

Sebastiano Venneri, responsabile Turismo di Legambiente, parla per l’estate 2020 di “occasione persa a metà”, ovvero non aver fatto buon uso del “distanziamento fisico – guai a chiamarlo sociale – per unire il fronte sanitario con quello ambientale”. Dire, cioè, che se dobbiamo essere di meno perché distanziati, allora “è necessario pensare all’impatto che abbiamo” sulle parti più o meno delicate dei circa 7.000 chilometri di costa italiani.

 

Chiuse, riaperte, date ai privati: chiamale, se vuoi, spiagge “libere”

L’estate 2020, guardandola mentre galoppa a vampate di calore, non è altro che la conferma dei mesi di pandemia: la divisione dell’Italia in feudi regionali, che si traduce in provvedimenti diversi, a volte schizofrenici. La prova estiva, in questo caso, è l’accesso alle spiagge libere, con una corsa sfrenata al legare il destino politico a una app, a ognuno la sua (ma poi perché?), così da ritrovarsi con l’unica conseguenza di utilizzarla di meno, scegliere possibilmente destinazioni alternative, andare semplicemente di meno al mare. Il che, seguendo il ragionamento per cui “a ogni posto il numero giusto”, non è necessariamente un male, se fosse una scelta consapevole e non una conseguenza della confusione in riva al mare.

Più ad ampio raggio la fotografia che emerge è quella di un’Italia con una “terra di nessuno”, le spiagge libere, chiuse e poi riaperte, oppure affidate ai privati, mentre dal governo è stata semplicemente estesa ai “controlli sulle misure anti COVID-19” la battaglia dell’allora ministro Salvini contro i “vù cumprà”, “Spiagge sicure“, così da avere un occhio in più: uno alla contraffazione, uno alle catenine, e un altro al distanziamento, fisico o sociale che sia.

Nell’intervista che segue il senso di un allarme, quello lanciato lo scorso aprile da Legambiente, rimasto inascoltato.

 

 

Sebastiano Venneri, possiamo dire: “C’era da aspettarselo”?

Abbiamo visto situazioni differenziate: il problema relativo alla gestione delle spiagge libere alla fine è arrivato sulle spalle dei comuni, senza che questi avessero le professionalità, le competenze, e soprattutto le risorse per gestire questo patrimonio. Conseguenza: alcuni hanno risolto il problema semplicemente chiudendo i litorali (e poi riaprendoli, N.d.R.), come è avvenuto a Pozzuoli, in Campania. Si sono, cioè, sollevati dalle responsabilità. Altri comuni, invece, ne hanno affidato la gestione ai privati: è il caso di Salve (che comprende Marina di Pescoluse, le “Maldive del Salento, N.d.R.), dove ai titolari degli stabilimenti balneari è stata affidata la gestione di metà del litorale, presumendo che questi avessero più competenze. Sono poche invece quelle amministrazioni che hanno affrontato il problema rimboccandosi le maniche, cogliendo il fatto che questa può essere un’opportunità: può essere, cioè, un’occasione per i comuni di dedicare attenzione e risorse a un bene che spesso è stato identificato come una terra di nessuno, e che invece è la terra di tutti. Oggi viene chiesto di occuparsi del bene pubblico per eccellenza, vale a dire il demanio marittimo.

È un’occasione persa?

Diciamo che è sempre stato un bene molto importante, ma mai effettivamente gestito e curato. Le spiagge libere, negli anni, sono state affidate alla gestione dei bagnanti. Invece oggi si è presentata, per i comuni, l’occasione di riprendere confidenza con un pezzo di litorale, su cui avrebbero finalmente potuto mettere le mani, chiaramente in positivo. Ovvero: con l’occasione di gestirlo da un punto di vista sanitario, avrebbero potuto gestirlo anche da un punto di vista ambientale. In fondo il distanziamento fisico, io parlo sempre di quello fisico e non sociale, ben si sposa con quello che è il numero chiuso, o come alcuni lo chiamano “numero comodo”, che noi, come Legambiente, per anni abbiamo invocato su alcuni pezzi di litorale del nostro Paese.

Pensa a qualche località in particolare?

Una su tutte, Baunei, nel Golfo di Orosei, sulla costa orientale della Sardegna, che quest’anno abbiamo premiato con 5 vele nella classifica di Legambiente. È una località che da sempre pratica il “numero comodo”, e che ospita alcune delle spiagge più belle e delicate del nostro Paese. Tra tutte, Cala Luna e Cala Gonone. Sono spiagge prese d’assalto, nei confronti delle quali l’unico approccio è sempre quello di dire: poniamo un limite. Bisogna comprendere che al di là dell’aspetto sanitario c’è un impatto antropico, sull’ambiente, su quegli ambienti delicati, che potrebbero trarre beneficio dal distanziamento fisico. Ma diverse sono le esperienze in questo senso: penso anche alla Spiaggia dei Conigli sull’isola di Lampedusa, o ancora al parco della Maremma, che da decenni sono a numero chiuso. Lì arriva un tot numero di persone, dopo di che si chiude la sbarra e devi aspettare che esca qualcuno.

Insomma, par di capire, il COVID ha confermato il virtuosismo di alcuni, storici, spezzando l’entusiasmo di allargare la sensibilità ambientale ad altri “neofiti”?

Sì, le località che avevano una solida tradizione ambientale hanno continuato ad applicarla in maniera più severa. Naturalmente questo non riguarda solo le aree protette, ma anche spiagge fuori dalle “riserve”: penso a quanto avvenuto sull’Adriatico, a Torino di Sangro, sulla Costa dei Trabocchi, in Abruzzo.

C’eravamo lasciati a settembre 2019 con la messa a bando della plastica.

Già. Noi diciamo di non fermarci all’impatto sulle spiagge solo da un punto di vista sanitario, ma di coniugare salute e ambiente. Nel mondo pre COVID i comuni stavano portando avanti con una certa caparbietà i temi legati alla sostenibilità ambientale sulle spiagge. Pensiamo, per esempio, al tema del plastic free. Per dire, l’anno scorso di questo periodo eravamo qui a contare quanti comuni sulla costa stessero mettendo a bando la plastica monouso. Era esplosa questa sana moda, chiamiamola così, delle ordinanze per rinunciare alla plastica, e alcuni comuni si erano spinti anche a vietare il fumo in spiaggia. Insomma c’era una corsa al virtuosismo ambientale. Il rischio è che tutto questo ora faccia meno notizia a favore delle vicende legate alla post pandemia.

L’idea è arrivare al “non pochi non troppi, ma giusti”.

Questa è l’occasione per cui queste misure di distanziamento fisico possono tradursi in un vantaggio da un punto di vista ambientale. Avere meno persone in spiaggia permetterebbe di fare un lavoro di sensibilizzazione sul plastic free, sull’ovodeposizione delle tartarughe, sul cui rispetto e riconoscibilità delle tracce era stato fatto un grande lavoro negli anni scorsi. In sostanza, visto che dobbiamo parlare di distanziamento fisico in spiaggia, parliamo anche di sensibilità ambientale.

Legambiente, penso allo studio 2019, ha messo in evidenza come solo il 40% delle coste sia spiaggia libera e fruibile. La maggior parte è in concessione ai privati. Che ruolo hanno i gestori degli stabilimenti nella sostenibilità ambientale?

In verità il lavoro intrapreso negli ultimi anni riguarda anche gli imprenditori costieri, con cui avevamo cominciato una forte collaborazione. Penso al lavoro che è stato fatto soprattutto in Toscana, con il progetto “Costa toscana sostenibile”, che si rivolge a 900 stabilimenti balneari che insistono sulla costa toscana, i quali avevano avviato un percorso virtuoso. I temi ambientali, cioè, sono entrati nella testa del privato e delle amministrazioni.

Che spiaggia troveremo, insomma, quest’estate?

La gestione post COVID delle spiagge libere evidenzia la disparità di approccio che hanno le diverse regioni, tale per cui per cui ogni territorio regionale si è inventato il proprio. Sarebbero invece necessarie alcune misure per dare sostegno ai comuni. Vale a dire: una normativa più omogenea tra regioni e maggiori risorse. Credo, insomma, che Stato e regioni potrebbero fare uno sforzo in più, in termini di risorse e di armonizzazione dei provvedimenti.

 

 

Foto: spiaggia di Baunei (Nuoro)

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