L’aria condizionata spacca il fronte ambientalista

È uno dei tormentoni dell’estate italiana, nella quale gli abitanti delle grandi città sono letteralmente assediati da temperature che sono più alte di circa cinque gradi con tassi d’umidità simili alle regioni monsoniche. Parliamo dell’aria condizionata che se da un lato è la principale “imputata” degli alti consumi elettrici, dall’altro viene considerata come dannosa per […]

È uno dei tormentoni dell’estate italiana, nella quale gli abitanti delle grandi città sono letteralmente assediati da temperature che sono più alte di circa cinque gradi con tassi d’umidità simili alle regioni monsoniche. Parliamo dell’aria condizionata che se da un lato è la principale “imputata” degli alti consumi elettrici, dall’altro viene considerata come dannosa per la salute, specialmente da molti ambientalisti. Ma andiamo con ordine.

Sul fronte dei consumi, la diffusione dell’aria condizionata nel settore delle abitazioni e del terziario ha di fatto sancito, da alcuni anni, il mese di luglio come quello record per i consumi elettrici, superando i mesi invernali. La cosa è dovuta alla sovrapposizione dei consumi manifatturieri che nel mese di luglio, al contrario d’agosto, sono attivi – nonostante un calo dovuto alla crisi – e al fatto che buona parte dei consumi termici invernali, quelli per il riscaldamento, utilizzano il gas naturale. E a poco sono serviti i miglioramenti tecnologici dei sistemi di climatizzazione. Tutti i condizionatori, da una quindicina d’anni a questa parte, sono infatti dotati della tecnologia a inverter che consente di modulare i consumi e quelli a pompa di calore consentono prestazioni ancora migliori. Per non parlare di ciò che si può realizzare con la geotermia a bassa e media entalpia (ossia che lavora su basse e medie temperature del sottosuolo).

Le tecnologie per risparmiare sul fronte del condizionamento quindi ci sono ma si dovranno aspettare i tempi di ricambio dei sistemi per vederne i frutti. E nel frattempo, a luglio scorso, sia a Roma sia a Milano si sono verificati dei blackout locali per i sovraccarichi di rete. Lasciando da parte la scarsa flessibilità delle reti di distribuzione e l’altrettanto scarso adeguamento alle mutate condizioni di mercato, quindi di consumo, la cosa interessante è che cosa è successo sui social network al presentarsi del fenomeno. All’arrivo dei vari blackout, infatti, si è scatenata la condanna tout court di chi usava l’aria condizionata, specialmente da parte degli ambientalisti, secondo i quali si tratta di una tecnologia da abbandonare, condannandola senza mezzi termini. Anche sotto il profilo sanitario, ossia secondo la vulgata per la quale “l’aria condizionata fa male”.

Insomma, contro il condizionamento d’aria si è chiusa una triplice tenaglia rappresentata dai consumi energetici, dai “danni sanitari” e dall’anti industrialismo presente ancora in parecchi settori dell’opinione pubblica, anche ambientalista, per la quale qualsiasi cosa sia in odore di modernità è il “male”.
E invece il condizionamento d’aria avrà un ruolo chiave all’interno dello scenario dei cambiamenti climatici, specialmente per ciò che riguarda l’adattamento.

Per adattamento si intendono quelle pratiche necessarie a far fronte agli effetti dei cambiamenti climatici che producono effetti già oggi. La climatizzazione, infatti, avrà un ruolo essenziale nel garantire la sopravvivenza delle fasce più deboli della popolazione nel fronteggiare le ondate di calore che da alcuni anni affliggono anche l’Europa, continente particolarmente esposto a ciò vista l’anzianità, sempre in crescita, della sua popolazione. Una riprova di ciò sta nei dati, ufficiali, relativi alle vittime della canicola del 2003 in Francia, citati nel libro del sociologo francese Pascal Acot, “Catastrofi climatiche e disastri sociali”.

I dati ufficiali parlano di 14.802 persone uccise dalla canicola, dato che deve essere letto attentamente. Mentre a Parigi, infatti, la canicola faceva registrare un aumento delle morti del 127% (il doppio della media nazionale), nelle baunlieue vicine si registrava il 171%. E non è che le nelle periferie parigine si siano registrate temperature più alte. Semplicemente la popolazione è più povera, con un accesso più problematico a condizioni di vita migliori. Stesso discorso per quanto riguarda l’età. L’aumento delle morti è stato del 70% per la fascia tra 75 e i 94 anni e del 120% per le persone al di sopra dei 95%. Percentuali molto inferiori si sono raggiunte dividendo queste fasce d’età per censo. Ossia gli anziani ricchi, per la canicola, hanno subito meno danni. Da quest’esperienza si deduce che il condizionamento, e l’accesso più in generale alle pratiche d’adattamento, sarà determinante sul versante della linea di confine tra la vita e la morte delle fasce socialmente più deboli di fronte ai cambiamenti climatici: saranno quindi sempre più a rischio anziani, bambini, cardiopatici e ammalati in generale.
Una questione della quale gli ambientalisti dovrebbero tenere conto, pena l’impopolarità di tutte le pratiche per la tutela ambientale che se non fanno i conti con il “sociale” sono destinate a essere minoritarie.

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