Le pause italiane viste da Bruxelles

La bella capoccia che vi presentiamo mentre si avvicina la pausa estiva del nostro giornale è un professionista italiano che lavora all’estero, professore in Istituzioni di Diritto dell’Unione Europea  e policy ana­lyst presso la DG Ricerca del Par­la­mento Euro­peo. In passato è stato nomi­nato Coor­di­na­tore dei rap­porti con i cit­ta­dini e del sito web nell’Ufficio stampa della Pre­si­denza […]

La bella capoccia che vi presentiamo mentre si avvicina la pausa estiva del nostro giornale è un professionista italiano che lavora all’estero, professore in Istituzioni di Diritto dell’Unione Europea  e policy ana­lyst presso la DG Ricerca del Par­la­mento Euro­peo. In passato è stato nomi­nato Coor­di­na­tore dei rap­porti con i cit­ta­dini e del sito web nell’Ufficio stampa della Pre­si­denza del Con­si­glio dei Mini­stri dopo varie esperienze come esperto spe­cia­li­sta in comu­ni­ca­zione presso la Pre­si­denza del Con­si­glio dei Mini­stri. Si chiama Gianluca Sgueo e, quando gli chiedo esattamente che cosa faccia a Bruxelles, mi risponde che lavorare al centro studi del Parlamento europeo è paragonabile a quello che abbiamo nel nostro Parlamento.

Là oggi contribuisce a produrre rapporti su diversi temi legati a”trasparenza”, “società civile”, “ONG” e “lobbying. Mi dice che si sente molto concentrato su questo lavoro, anche se non esclude nuovi spostamenti. Le nostre chiacchiere, ad un certo punto, finiscono col ruotare inevitabilmente attorno al concetto di pausa, pausa estiva, vacanze e scansione del tempo lavorativo.

Di recente abbiamo letto che l’Italia non è uno dei primi paesi in Europa a concedersi tante pause e giorni di ferie, a differenza di quanto il senso comune immagini, e così come spesso mal raccontato dai nostri partiti: qual è il tuo pensiero in merito? 

Ho letto anche io i risultati di quello studio che classificava i Paesi in base al numero di ore lavorate. Immagino che non sia solo l’attitudine personale di un popolo a determinare quale sia l’attitudine alla quantità di lavoro svolta.
Ma sono davvero i giorni di stop dal lavoro a rendere un sistema più o meno efficiente?
Credo sia l’intero sistema di norme e tutele del lavoro che determini la predisposizione del sistema ad avere lavoratori più o meno workaholisti.
E qual è un paese virtuoso a cui ispirarsi, per fare un esempio?
Dal confronto tra le mie esperienze di lavoro in Italia e all’estero mi sono accorto che noi italiani abbiamo la tendenza a giudicare meno produttivo chi termina di lavorare quando termina l’orario ufficiale. Nelle istituzioni europee, per farti un esempio, la filosofia del lavoro è quella della qualità delle ore lavorate. Per cui, anche se molto dipende dal settore in cui si lavora e dall’istituzione, tendenzialmente i funzionari terminano di lavorare quando termina l’orario. Non c’è alcuna cultura dello straordinario che peraltro, salvo casi specifici, non sarebbe pagato.
Quale significato ha nel tuo lavoro il concetto di “pausa”?
In un lavoro come il mio, nella ricerca, la pausa è un concetto ambizioso. Si tende a pensare che chi lavora nella ricerca, parlo soprattutto del settore umanistico, lavora meno ore è vero solo in parte. Il fatto di lavorare per scadenze rende le pause un concetto elastico, adattabile alle esigenze del momento, ma anche ambizioso, perché molti provano senso di colpa se sono in pausa, e faticano a distinguere tra lavoro e riposo.
E se dovessi scrivere un capitolo per il tuo Alfabeto italiano, in che modo inseriresti questo argomento? 
Bella domanda! Non saprei. Quel libro, che che scrissi anni fa ormai, nacque na una riflessione condivisa delle parole attraverso cui raccontare la storia dell’unità d’Italia. Se pausa fosse stata in quella lista avrei probabilmente cercato un collegamento con qualche evento cruciale, raccontandone magari i momenti di stanca anziché quelli di azione.
Lo sapevi che tu sei uno dei primi in Italia ad aver aperto un blog e utilizzato i social media per comunicare un lavoro piuttosto tecnico all’interno degli spazi politici? Credo questo ti abbia aiutato a renderti visibile nel tuo ambiente…
Non saprei dirti se sono stato davvero uno dei primi a fare una cosa del genere. Anzi credo che ci siano molti esempi di persone con più competenze ed esperienza del sottoscritto. Personalmente i vari blog che ho gestito (attualmente ne ho uno su Formiche.net) sono stati un modo per scrivere cose in leggerezza, e diffondere le notizie. Il (minimo) seguito che ho avuto credo dipenda dall’interesse verso i contenuti. Per cui non credo questa attività mi abbia portato a risultati particolari, soprattutto dal punto di vista professionale. Probabilmente mi ha aiutato a prendere parte a qualche evento e convegno.
Oggi quali risultati ti portano? Perchè hai abbandonato “Postilla”? 
Postilla era un blog cui contribuivo diversi anni fa. La collaborazione si interruppe pacificamente, quando mi resi conto di non avere tempo da dedicare a quel progetto.
Tra i tuoi colleghi presenti sul web, quale Bella Capoccia ci consiglieresti di seguire?
Sono sicuro che se faccio qualche nome poi faccio torto a qualcuno, dimenticandomene! Ce ne sono tantissime. Posso dirti come scopro io le persone che ritengo interessanti. Prevalentemente attraverso le numerose newsletter a cui sono iscritto. Ne ricevo molte e passo del tempo a distinguere contenuti meritevoli di lettura da contenuti poco interessanti. Di solito se c’è qualcuno preparato su un tema è anche presente sui social, per cui diventa facile seguirlo. Ho anche un feed rss che controllo a intervalli regolari. Credo però che, anche a rischio di dire una banalità, ciascuno possa trovare punti di riferimento diversi a seconda dei propri interessi.
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